I simboli non vanno violati

di:
salvini
I simboli sono per elevare al Mistero

I simboli vanno ascritti all’indole ancora fortemente secolarizzata dell’esistenza del­l’uomo di oggi, così attivistica e funzionalista (in questa va compresa la politica), il soffo­camento in lui delle sue attitudini contemplative, la disaffezione verso un simboli­smo, talora la ricerca di un’esperienza religiosa più an­tropocentrica che misterica, nella quale i rapporti umani e l’impegno per i problemi dell’uomo hanno maggiore rilevanza rispetto a esperienze spirituali, che certamente non debbono sostituire gli impegni storici, ma che debbono però affiancarli e anche oltrepassarli.

Le religioni vivono di simboli: sono il loro linguaggio più usato e più importante. Il cristianesimo, da parte sua, li ha sempre usati nella liturgia e anche nella pietà popolare; e, in modo sorprendente, oggi torna al simbolismo con interesse rinnovato, intuendo che il Mistero è bene alluso dal simbolo, spesso più di quanto sappia fare un pensiero categoriale.

Capiamo bene che i simboli vogliono elevare e intensificare il significato della comunicazione portando verso le soglie alte della pietà e del Mistero. L’offesa ai simboli cristiani può avvenire in tanti modi, ma anche con strumentalizzazioni per usi prettamente profani, ad esempio, per interesse bassamente politico.

I simboli cristiani non vanno violati mai

Perfino alla rinascita del simbolo nella cultura e nei linguaggi umani la teologia cristiana oggi si lega per favorire il ritorno ad un uso fecondo del simbolo specificamente cristiano, cioè a livello di linguaggio di fede, considerandolo come sua valida premessa. Per tutti i servizi cristiani della Parola il simbolo umano può servire da supporto per accedere a un simbolismo che, quando è vero e corretto, è supplementare (superiore!) nei confronti di una qualsiasi altro linguaggio: in esso «gli elementi naturali rice­vono un supplemento di significato».[1]

Il linguaggio simbolico cristiano, che prevede l’uso anche di oggetti simbolici (ad esempio, nell’ambito liturgico o devozionale), serve per la preghiera, per la contemplazione dei misteri cristiani, per aiutare a immaginare e a pensare l’opera caritativa e di testimonianza. Esso, perciò, va tenuto lontano da usi strumentali, incongrui e di cattivo gusto, come è quello di mostrare la “corona del rosario” per avvalorare una proposta politica, che sarebbe da sapere, fra l’altro, quanto cristiana sia.

Risparmiamo la Vergine e i suoi simboli

Di là di tutto questo, è fuori posto brandire il “rosario mariano” in un comizio politico. Che c’entra? Qual è il nesso? Nulla a livello di contenuto del comizio. Chi l’ha usato s’aspettava di accrescere credibilità e affidabilità, col riferimento a Maria, sulla propria persona? Sarà così, ma è cosa riprovevole da ogni punto di vista.

E, come didascalia, chi ha posto quel gesto ha aggiunto ne ha dato la spiegazione: chiedere alla Vergine di auspicare a lui e a suoi alleati un successo alle prossime europee, oltre ad aiutarlo nel realizzare il suo programma politico che conosciamo a memoria, il cui punto più insistito è quello dei “porti chiusi”.

Inoltre, egli ha pensato di chiudere il suo comizio con una critica a papa Bergoglio.

I santi monaci d’Irlanda del IX secolo che praticavano la recita di 150 Salmi di Davide e che, con essi, hanno posto le basi lontane per la trasformazione del Salterio biblico nel Salterio mariano nel XII secolo, non avrebbero mai potuto immaginare un abuso così volgare del “rosario mariano”. Né il certosino Enrico di Kalkar che, nel XIV secolo, ha strutturato il rosario nella forma attuale, avrebbe mai previsto un tale scempio; uguale disagio si sono risparmiati san Domenico e il beato Bartolo Longo, che del rosario hanno fatto non un talismano politico, ma un’arma per convertire i non credenti e i peccatori.

“Cos’altro manca per suscitare l’indignazione dei cattolici?”

A questa domanda preoccupata di p. Antonio Spadaro si risponde: nulla manca. Intanto, credo occorra fare eco:

1) anzitutto all’osservazione garbata e chiara del card. Pietro Parolin, che ha affermato: «Dio è di tutti, invocarlo per sé è pericoloso»;

2) poi alle ammonizioni del direttore di Civiltà cattolica: «Non nominare il nome di Dio invano»; «Rosari e crocifissi sono usati come segni dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto al passato: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio»;

3) infine, al settimanale Famiglia cristiana che, in suo un editoriale, fa leggere: «Il rosario brandito da Salvini e i fischi della folla a papa Francesco, ecco il sovranismo feticista». A Milano «è andato in scena l’ennesimo esempio di strumentalizzazione religiosa per giustificare la violazione sistematica nel nostro Paese dei diritti umani. Mentre il capopopolo della Lega esibiva il Vangelo, un’altra nave carica di vite umane veniva respinta e le Nazioni Unite ci condannavano per il decreto sicurezza».

Rintuzzare l’alterazione del linguaggio simbolico e quello non democratico

Non dimentichiamo che i simboli cristiani sono un modo di leggere il mondo e d’interpretare l’universo. Essi costituiscono una chiave di lettura o una porta di accesso che permette d’arrivare a comprendere il significato più profondo dell’uomo e del mondo: un uso profanante di essi deve destare nei cristiani attenzione critica e preoccupata.

Un’osservazione ad hominem. Fa bene l’onorevole a chiedere per sé “rispetto”, ma va aggiunto che anche le comunità cristiane hanno diritto al rispetto dei suoi simboli. Inoltre, non “dà fastidio” a nessuno che uno creda in Dio o chieda “la protezione di Maria”. Quello che dà molto fastidio è usare la fede e i suoi simboli per un uso strumentale, incongruo e fuori posto, come è accaduto in un comizio milanese di qualche giorno fa per motivi pacchianamente politici.

Senza simboli, la vita diventa volgare; ma anche facendone un uso indegno la volgarità cresce e diventa grave e greve. Non dimentichiamo che – come ammoniva Biagio Pascal – «di pesantezza si muore».

In coda a questo intervento, aggiungerei di vigilare, oltre che sul cattivo uso dei simboli cristiani, anche sulla deviazione da un chiaro e inequivoco linguaggio democratico, sia nell’espressione verbale, sia in quella non verbale, gestuale e dei segni o, meglio, dei sintomi di qualcosa di malato cui si riferisce.

Vigilare, vigilare, vigilare. Ce lo ricorda un maestro di umanesimo pedagogico del Novecento, John Dewey. Egli ha insistito argutamente sulla graduale e progressiva scomparsa delle buone prassi di dialogo, di consultazione e di partecipazione. L’insidia sta nel fatto che tale cedimento può avvenire non con atti vistosi ed eclatanti, ma in modo talora quasi impercettibile e, conseguentemente, più insinuante e pericoloso, tale perciò da richiedere un’attenzione alta e continua.[2]


[1] A. Vergóte, Interprétation du langage religieux, Paris 1974, p. 70.

[2] Cf. Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 2000; cf. anche: M. Alcaro, John Dewey. Scienza prassi democrazia, Laterza, Roma-Bari 1997.

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7 Commenti

  1. Luciano Zappella 22 maggio 2019
  2. Bartolomeo Sorge 22 maggio 2019
    • Claudio Bargna 22 maggio 2019
      • Mario Berna 22 maggio 2019
        • Claudio Bargna 23 maggio 2019
          • Mario Berna 23 maggio 2019
  3. Paola Palagi 21 maggio 2019

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