È tempo di amare

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La rubrica dedicata al Sinodo dei giovani firmata da don Armando Matteo per la rivista Vita pastorale prosegue «Dopo il Sinodo», con alcune considerazioni a partire dal documento finale. Riprendiamo di seguito la terza puntata della rubrica del dopo Sinodo.

Il terzo capitolo del documento finale del Sinodo sui giovani è particolarmente ricco di provocazioni per un’azione pastorale sempre più attenta alle inquietudini, alle domande, alle attese e alle ferite dei giovani. Tra queste ultime merita un posto di particolare rilievo quella relativa al dialogo tra le generazioni. Al suo posto, infatti, si deve amaramente registrare «una reciproca estraneità» tra vecchi e adulti, da una parte, e giovani, dall’altra. E la situazione di reale disagio, di questi ultimi, non potrà che crescere e aggravarsi. Su questo terreno, una qualche parola profetica, da parte della comunità cristiana, sarebbe davvero urgente.

La norma fondamentale del dialogo intergenerazionale suona ora più o meno così: quando i vecchi e gli adulti fanno i vecchi e gli adulti, i giovani possono fare i giovani; quando invece i vecchi e gli adulti non fanno i vecchi e gli adulti, i giovani non possono fare i giovani. Ma – ed è questo il vero snodo – quando i giovani non possono fare i giovani, in quanto i vecchi non fanno i vecchi e gli adulti non fanno gli adulti, rubando egoisticamente spazi, possibilità e opportunità ai primi, allora è il bene di tutta intera la società ad essere in pericolo.

Permettere ai giovani di essere i giovani, in verità, non è un gesto di cortesia. È la legge della vita. I giovani, sin dal nome che li connota (dal latino iuvare), sono coloro che portano aiuto e forza. Inoltre, proprio per la loro condizione di ultimi arrivati, sono come i nani sulle spalle dei giganti di cui parlava Bernardo di Chartres. Al pari di questi ultimi, essi possono vedere cose che i vecchi e gli adulti non possono scorgere. E, grazie alla loro posizione, vedere le cose che i vecchi e gli adulti da sempre vedono in modo diverso. È così che introducono novità e progresso. Si pensi solo a come uno sparuto gruppetto di ventenni abbia potuto sconvolgere le nostre esistenze con la rivoluzione digitale.

I giovani sono quella forza, quella novità, quella genuinità, genialità ed energia di cui la vita umana ha bisogno per continuare il suo percorso nella storia. Essi sono i veri eredi del mondo, che devono ricevere dalle mani dei vecchi e dalle mani degli adulti. Richiamare i vecchi e gli adulti all’elementare dovere di fare i vecchi e gli adulti è, pertanto, impegno che ogni parrocchia dovrebbe, più coraggiosamente, assumere.

In fondo, esso non è altro che un richiamo all’amore, al vero amore per i giovani, come alcuni anni fa indicava Hannah Arendt: «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti».

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