La Chiesa oltre se stessa

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appello21

Il Sinodo ha come linee direttrici la comunione, la missione e la corresponsabilità di tutte le componenti del popolo di Dio per essere sempre più luogo della mutua accoglienza e perdono, «accreditando la comunità cristiana come soggetto credibile e partner affidabile in percorsi di dialogo sociale, guarigione, riconciliazione, inclusione e partecipazione, ricostruzione della democrazia, promozione della fraternità e dell’amicizia sociale» (Documento preparatorio 1).

Papa Francesco ci esorta ad essere Chiesa in uscita: è necessario uscire dal chiuso degli ambiti e delle eccessive preoccupazioni intraecclesiali per aprirsi alla gente, per incontrarla dove essa vive, alle prese con i problemi di ogni giorno e sempre minacciata dal rischio di perdere di vista il proprio orizzonte di figli di Dio rinati dal fonte battesimale o comunque di creature di Dio,

Francesco ci invita ad essere Chiesa non come dogana ma come ospedale da campo, buon Samaritano che si china per prendersi cura, per guarire le persone ferite dalla vita e farlo mettendo da parte gli impacci burocratici.

Chiesa in uscita. Come?

Occorre però essere mentalmente, culturalmente in uscita, prima di esserlo fisicamente.

È quanto diceva già nell’immediato dopo-Concilio Karl Rahner, le cui parole sono puntuali e sempre attuali: «La comunità di oggi e di domani deve essere una comunità di fratelli che si conoscono e si amano, una comunità unita che crea l’ambiente indispensabile alla convinzione comune, alla comune missione, all’aiuto e all’amore reciproci, una comunità da cui può dipanarsi una fede cristiana senza complessi, vissuta nella pienezza delle sue possibilità.

La comunità cristiana non deve essere una stufa che riscalda solo sé stessa, un ricovero per inabili alla vita, un rifugio di bigottismo per spiriti innocui che altro non sanno fare che mostrarsi pii, gettando in pari tempo il discredito su tale religiosità. La comunità dei cristiani deve assomigliare ad una sana famiglia moderna, la quale non vuole essere più un clan del tutto autarchico, appartato nella sua autosufficienza. Non è quindi più lecito ritenere che una comunità cristiana possa essere oggi spiritualmente, socialmente, culturalmente e politicamente autarchica» (“Il cristiano e il suo ambiente” in Nuovi saggi II, pag. 118 e segg. – il corsivo è mio).

C’è ancora chi è malato di presenzialismo, quasi a voler affermare, di fronte ad una società secolarizzata: ci siamo anche noi! Non hanno capito certuni che la società certe cose le sa fare anche meglio e che non è l’esibizionismo il compito del cristiano. Piuttosto, laddove Romae consulitur, mentre Saguntum expugnatur, il cristiano è chiamato a essere fattivamente presente come buon Samaritano e in buona compagnia di chiunque senta lo stesso impulso.

«La comunità cristiana – continua Rahner – non può e non vuole essere più la fortezza inespugnabile, munita di piccole feritoie da cui spia i nemici, ma l’ampia casa dalle grandi finestre, da cui si può spaziare su tutti i paesi del mondo, segno di grazia non solo per coloro che vi abitano dentro, ma anche per quelli che cercano la strada giusta con buona volontà e coscienza sincera e portano così a compimento la loro esistenza» (ivi).

Chiesa quindi in uscita, ma a condizione di avere la mente aperta e le credenziali in ordine, fatti salvi i limiti di una comunità fatta di uomini santi e peccatori; comunità riconciliata al suo interno, consapevole di essere Ecclesia de Trinitate, sua credibile icona, animata dalla passione per l’unità e per la koinonìa, per essere così realmente abilitata a riconciliare gli uomini con sé stessi e con Dio.

Padre Ernesto Balducci, un profeta fra i tanti del ’900, nell’immeditato dopo-Concilio vedeva per le comunità cristiane la necessità di abbandonarsi totalmente alla sovranità di Dio. Solo così «sapranno abitare senza disperazione nel crocevia delle disperazioni storiche; solo se nello spirito di una continua conversione sapranno accettare il rischio di essere nel mondo nient’altro che un resto, un piccolo gregge emarginato, esse sapranno custodire e testimoniare la speranza di un ordine nuovo. Solo se smetteranno di difendersi davanti agli uomini Dio si farà loro avvocato».

Sereno equilibrio

La nostra visione del mondo non dovrebbe essere oscillante in maniera metereopatica. Anche di fronte ad orizzonti negativi occorre conservare fiducia, consapevoli che la società e il popolo di Dio immerso in essa hanno sempre vissuto periodi critici in cui tutto sembrava perduto. Nel passato, accanto e dietro le maestose cattedrali, spesso c’era un vuoto di vita cristiana.

Prevale, invece, un certo pessimismo che porta a fare calcoli sconsolati sul calo numerico, sul numero effettivo di cristiani nel territorio partendo da una visuale piuttosto limitata: i praticanti.

Si dimentica ciò che diceva von Balthasar a proposito del cristiano, che non è tanto e soltanto colui che pratica la messa, bensì chi pratica il vangelo nella vita. Il Signore ha un popolo più numeroso di quanto noi possiamo immaginare.

Si stenta a riconoscere di essere diaspora e di non occupare più gli spazi di una volta. Bisogna piuttosto creare dei processi che nel tempo agiscano nella società come fermento, lievito, sale, senza bisogno di aspettarsi riconoscimenti, nella consapevolezza di essere, come Chiesa, segno sacramentale della salvezza di coloro che non le appartengono ancora in maniera autentica e viva.

Una comunità non può né deve necessariamente «essere tormentata dall’idea che solo il 15% dei suoi membri sono praticanti, ma per prima gioire del numero dei suoi membri effettivi attivi: avrà allora maggiori possibilità di possedere uno spirito missionario che non una comunità nella quale domina in partenza l’opprimente sensazione di non essere in realtà ciò che dovrebbe essere, appunto perché l’85% dei suoi membri non sono praticanti» (cf. K. Rahner, Saggi X, pag. 215).

L’esperienza di stare a contatto con la gente, di ascoltare il loro vissuto ci fa capire che veramente lo Spirito soffia dove vuole, negli spazi aperti della vita e non solo nel chiuso delle chiese e dei nostri gruppi.

Non dimentichiamo che «anche oggi è importante scoprire la santità nel popolo santo di Dio: nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza.

La testimonianza di una condotta cristiana virtuosa, vissuta nell’oggi da tanti discepoli del Signore, è per tutti noi un invito a rispondere personalmente alla chiamata ad essere santi». Sono dei santi «della porta accanto, che tutti conosciamo, quelli che, con la grazia di Dio, si sono sforzati di praticare il Vangelo nell’ordinarietà della vita» (papa Francesco).

Certo, gli eventi negativi che la cronaca quotidiana registra ci colpiscono e potrebbero rafforzare una visione negativa. In certi momenti diventa difficile conservare, nei confronti della realtà concreta in cui si è immersi, apertura e simpatia.

Occorre, tuttavia, tenere ben salda la convinzione che è la fede che salva; che la fede e il sale della Persona e della parola di Cristo salvano dalla corruzione, sono destinate a questo mondo che Dominique Collin volutamente descrive a tinte fosche: «Un mondo che così com’è e così come va è intollerabile. Lo volete, voi, un mondo che disumanizza a tutta velocità? Un mondo che determina la mercificazione di tutte le cose? Un mondo che suscita l’invidia, accresce disuguaglianze, declassa ed esaspera i più fragili che disprezza mentre li sta sfruttando?» (Credere nel mondo a venire).

Gesù stesso, d’altronde, era consapevole del fatto che nella sua Palestina e nel mondo non tutto quadrava: c’erano guerre e ogni sorta di iniquità. Certe sue parabole non sono quadretti idilliaci. Gesù nel suo itinerario terreno certamente desiderava ardentemente vedere il regno di Dio realizzarsi nelle vite salvate di uomini e donne: avvicinava tutti, seminava abbondantemente senza aspettarsi risultati immediati da mettere in bilancio. Si rallegrava tuttavia dei risultati, pochi o molti che fossero, si stupiva della fede di persone al di fuori di ogni appartenenza.

Non poteva raggiungere tutti, salvare tutti: potrà farlo e lo fa a partire dall’umiliazione e dall’impotenza apparente della croce.

Ottimismo salvifico

Non dovremmo mai dire che Dio è stato spodestato dal mondo dalla secolarizzazione montante.

«In realtà – diceva padre Balducci – non è che Dio sia morto, è la nuvola che si è spostata, è andata avanti e noi siamo rimasti nell’accampamento. Bisogna fare presto perché Dio è più avanti, non è morto». Un chiaro invito ad essere Chiesa in cammino, attenta alla voce dello Spirito e ai segni dei tempi.

Bisogna riconoscere che il Cristianesimo non esiste ancora e che siamo chiamati a presentare un Vangelo inaudito (D. Collin). Non basta agire con buon senso per testimoniare Cristo: occorre il buon senso evangelico, che non è certo una sorta di galateo conformista e inoffensivo.

Rahner nutriva un ottimismo salvifico: considerava tutta l’umanità sotto l’influsso della Grazia, della potenza del Risorto, della benedizione di Dio a partire dalla creazione, pur nella costatazione della reale e tragica possibilità di chiudersi a tale irradiazione, «barricandoci contro di essa, condannandoci da soli a una libertà infernale».

«Quel che noi denominiamo Grazia è sì ovviamente una realtà che viene data da Dio in un rapporto dialogicamente libero ed è quindi indebita e soprannaturale. Ma la Grazia è, contemporaneamente, una realtà che è data sempre e dappertutto nel centro più intimo dell’esistenza umana fatta di conoscenza e di libertà, nel modo dell’offerta, nel modo dell’accettazione o del rifiuto, così che l’uomo non può uscire da questa caratteristica trascendentale della sua esistenza» (La Grazia come centro dell’esistenza umana, pag. 29).

Anche l’eventualità realistica del rifiuto deve essere temperata dalla speranza di un possibile ravvedimento, frutto congiunto della Grazia e delle circostanze ed esperienze di vita.

La Grazia come offerta è, quindi, sempre presente al centro stesso di ogni esistenza umana e la sua azione è per realizzare il progetto divino di salvezza universale.

L’umanità, purtroppo, in tante sue manifestazioni continua a celebrare le sue tragiche e crudeli liturgie, a cui fa da contrappunto quella del Signore crocifisso e risorto che intercede incessantemente per la nostra salvezza.

La Chiesa trova proprio nella celebrazione eucaristica la sua vera identità di sacramento di salvezza, comunità orante unita all’incessante intercessione di Cristo per tutta l’umanità. La nostra visione (e azione) pastorale dovrebbe essere guidata da maggiore serenità, dettata non solo dalla consapevolezza dell’azione dello Spirito che non conosce confini e classificazioni, ma anche da una conoscenza delle condizioni di vita delle persone. Proprio per questo papa Francesco invita la Chiesa a non frapporre barriere, a sentirsi ospedale da campo, a non stare sempre con l’indice puntato.

La salvezza individuale

Ecco, a riguardo della condizione umana e in ordine alla salvezza la visione realista e non catastrofica di Karl Rahner: «L’uomo povero, debole, angustiato da mille gravami del suo ambiente, non entra in realtà tanto facilmente e tanto spesso con la sua libertà morale in conflitto con la volontà di Dio, al punto che questo conflitto (qualora non sia appianato col pentimento) dovrebbe ricevere in risposta dalla giustizia santa di Dio la dannazione eterna.

Forse oggi riteniamo addirittura – e anche qui non in una maniera ingiustificata a priori – che la colpa realmente grave sotto il profilo oggettivo, che meriterebbe giustamente la dannazione eterna, non è qualcosa che si verifichi molto spesso o molto in fretta nella vita normale di un cristiano onesto. Su questo punto – e perché ciò non dovrebbe esser giustificato? – siamo più ottimisti.

Non giudichiamo incondizionatamente in maniera favorevole il cristiano normale per quanto attiene alla sua qualità morale; sappiamo che è ignorante, debole e succube della pubblica opinione, benché questa sia magari assai acristiana; a motivo della sua predisposizione genetica, della mancanza di istruzione, delle vicende della sua vita è forse realmente ottuso e primitivo sotto l’aspetto morale, e proprio guardando all’umanità di oggi non ce la sentiamo di pronunciare giudizi molto entusiastici circa la sua qualità morale.

Ma che questa umanità, così come essa è concretamente, nel caso normale sia così radicalmente e liberamente cattiva da dire in genere un “no” assoluto a Dio, “no” che è solo l’altro lato dell’eterna perdizione, noi cristiani odierni non ce la sentiamo di affermarlo» (Nuovi saggi X, pag. 555-556).

L’analisi che Rahner faceva del cristiano medio in rapporto al quarto sacramento, alla fine la estendeva alla situazione di gran parte dell’umanità di oggi: uno sguardo che si avvicina a quello compassionevole di Gesù sulle folle.

La profezia

Quanto papa Francesco ha espresso in Evangelii gaudium, magna carta del suo pontificato, a molti sarà parsa una novità rivoluzionaria. Lo è, difatti, ma con le radici nella Parola e nella profezia espressa dal Concilio e da tante voci spesso inascoltate, fra cui quella di padre Ernesto Balducci.

Sono tutti da evidenziare i molti contatti tra quello che il papa va esponendo e il pensiero espresso dal grande scolopio nell’immediato post-concilio e fino alla morte.

Padre Balducci delinea le premesse interiori, teologiche, che devono esserci in una Chiesa in uscita, così che quella espressione non si limiti ad essere uno slogan sbandierato, ma senza un fondamento interiore che si traduca in prassi.

«Per essere adatta agli nuovi orizzonti la Chiesa deve deporre ogni grandezza che la rende schiava del passato e impaurita del futuro: deve accettare le dimensioni della sua originaria piccolezza, per essere in grado di affrontare la nuova grandezza del mondo. La sua grandezza è nell’ordine dell’agape e non negli altri ordini dominati dalla scienza. Essa deve dimostrare con i fatti che l’Infinito di cui porta il messaggio e che sovrasta l’universo, prende contatto con la realtà storica ogni volta che due o tre si riuniscono attorno a un tavolo e, dopo essersi ripetuta la Parola del Signore, spezzano il pane e si passano la coppa del vino. Solo diventando come se non fosse, la Chiesa vince, nel nome e nel modo pacifico del suo Signore, tutte le cose del cielo e della terra» (Verso una nuova immagine della Chiesa, pag. 5).

La missione

La visione ottimista non significherà tuttavia atteggiamento passivo. La vocazione di essere pescatori di uomini per sottrarli a ciò che mette a rischio la loro salvezza appartiene ad ogni battezzato chiamato comunque ad essere luce e sale destinati ad influire positivamente nella società.

Andrea Grillo al riguardo dice: «La questione oggi più evidente è quella di un Chiesa chiusa in sé e incapace di uscire. Uscita da dove e verso dove? Si tratta per la Chiesa di uscire da sé, o, meglio, di far uscire Cristo da sé, perché possa raggiungere il mondo» (Munera, 14/4/2023).

La comunità che non voglia essere una stufa che riscalda sé stessa al riparo dal mondo che appare esternamente molto profano e pagano, è chiamata ad essere missionaria. Il talento della fede ricevuto nel battesimo deve fruttificare per amore e a vantaggio del mondo, così come si presenta.

Il cristiano consapevole del dono ricevuto e del proprio ruolo nell’ambiente in cui vive «dovrà perlomeno darsi da fare affinché la comunità rimanga viva, cresca e guadagni nuovi membri attingendoli dal paganesimo che la circonda» (Rahner).

Lo farà ovviamente evitando ogni forma di proselitismo e propaganda, indici di una appartenenza morbosa e patologica.

Chi vive nello stile di Cristo con serenità, senza complessi di inferiorità ma nell’umiltà, saprà trovare le parole adatte per comunicare la «felicità di essere cristiano», quella che Paolo Borsellino, esempio di cristiano senza pose ed esemplare per il suo impegno per la giustizia e la legalità, desiderava tanto trasmettere ai suoi figli, come a loro confidava.

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4 Commenti

  1. Pier Giuseppe Levoni 2 maggio 2023
  2. Salfi 30 aprile 2023
  3. Gian Piero 29 aprile 2023
    • Pietro 30 aprile 2023

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