La vocazione all’adultità /4

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chi è il prete?

Pubblichiamo la IV puntata della rubrica «Verso il Sinodo sui giovani», firmata da don Armando Matteo per la rivista Vita pastorale. Ringraziamo il direttore per il consenso a pubblicare la rubrica anche su Settimana News. Qui gli interventi finora pubblicati: Crescere in una società senza adulti /1; Se credere non è più di moda /2; Ripartire dagli adulti/3.

Per questa puntata, prendo spunto da una riflessione molto efficace di Pierangelo Sequeri (che si può ascoltare qui sotto). A suo avviso, è oggi urgente scardinare i meccanismi di profonda autoreferenzialità che contraddistinguono la maggior parte della popolazione occidentale, per rimettere in modo una feconda prossimità a ogni livello della società e in particolare nei rapporti tra mondo adulto e quello giovanile. La mossa risolutiva in tale direzione – prosegue il teologo milanese – sarà quella di spostare l’attuale ossessiva ricerca di una risposta alla domanda: «Chi sono io?», in direzione della risposta all’interrogativo assai più vero: «Per chi sono io?».

Si tratta di capire che la vera autorealizzazione non passa da un’asfissiante manutenzione del proprio benessere fisico, psichico, economico, concedendo solo qualche briciola di attenzione agli altri; quanto piuttosto dalla disponibilità a porre al centro delle proprie cure la piena realizzazione degli altri. La nostra felicità è sempre dono della felicità di cui siamo capaci di far sperimentare agli altri. Nessuno è mai felice da solo.

Un tale ragionamento è, a mio avviso, il cuore vero di ogni processo di maturazione di una piena identità adulta. Si diventa cioè adulti – e non si dimentichi che il termine indica il compimento di un cammino su di sé e non solo un accumulo di anni – proprio nella misura in cui si è capaci di dimenticarsi di sé in vista della cura d’altri; nella misura in cui il proprio spirito è profondamente afferrato da quell’affermazione di Gesù: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere». È questa la vera vocazione umana: la cura adulta dell’altro.

Per tali ragioni, ritengo che il secondo principio fondamentale della nascente pastorale giovanile vocazionale dovrà essere proprio quello di sollecitare tutti, a cominciare dagli adulti, a onorare la propria vocazione all’adultità. Ecco il grande messaggio da spargere oggi in ogni luogo, a vantaggio delle generazioni che ora vengono al mondo: «Onora l’adulto che c’è in te!». Si deve, al più presto, restituire buona fama alla dimensione adulta dell’esistenza umana. Non si può più andare avanti, pensando e agendo – soprattutto noi adulti – come se non ci fosse vita umana oltre la giovinezza e tutti i tentativi illusori di prolungarla all’infinito.

C’è vita, invece, oltre la giovinezza. Di più: la vita è oltre la giovinezza. La struttura elementare dell’essere giovane testimonia di questo movimento in uscita, di questa tensione verso altro da sé, di questa sua essenziale connotazione di percorso. Si è, in verità, giovani per diventare adulti, per accedere allo spazio autenticamente umano dell’esistenza della nostra specie. Noi siamo nati per essere adulti, cioè capaci di donare felicità agli altri. Proprio qui, poi, si comprende bene anche il senso della fede cristiana. Noi crediamo alle parole di Gesù per poter, sino in fondo, onorare l’unica vera vocazione che accomuna tutti: la vocazione all’adultità.

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