Polonia: l’altra voce del sinodo

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Rispetto al “neomessianismo” della presidenza dei vescovi, dei laici più tradizionalisti e del mondo politico governativo polacco (cf. SettimanaNews, qui), la sintesi nazionale sinodale (10 capitoli, una cinquantina di pagine a stampa), presentata al Vaticano, rappresenta l’altra voce della Chiesa: più consapevole, dialogante e umile.

Come ci si preoccupa di notare in sede di presentazione del documento, le critiche interne sono ispirate all’amore per la Chiesa e non costituiscono un materiale statistico o sociologico. Esprimono un atteggiamento interiore, uno stato d’animo.

Alle riunioni sinodali diocesane hanno partecipato circa 50.000 persone, ma i 6.800 coordinatori hanno attivato riunioni fra il 30 e il 65% delle parrocchie diffuse in 45 diocesi ed eparchie. Una minoranza, quindi, ma espressiva dei “convinti” e frequentanti.

Meglio dialogare che condannare

«Abbiamo parlato molto delle ferite della Chiesa. I partecipanti alle riunioni sinodali hanno condiviso l’immagine di una Chiesa ferita, colpita da scandali e miserie umane, il cui lato peccaminoso legato alla debolezza umana spesso causa scandalo e sofferenza. È una Chiesa talora impotente, colpita dallo shock del cambiamento, che provoca frustrazione tra i fedeli, assomigliando più ad una istituzione mal gestita che ad una comunità guidata da pastori sapienti».

Si diffida dalla “via tedesca” e dei suoi (supposti) cambiamenti dottrinali e non si mette in discussione il ruolo dei vescovi e del clero e, tuttavia, si insiste in più passi ad aprirsi a quanti «cercano un’esperienza di fede, a coloro che sono stati feriti dal clero, a coloro che vivono in relazioni irregolari… a persone Lgbt, ai rifugiati e ai tossicodipendenti».

Si guarda con preoccupazione alla progressiva lontananza dei giovani, all’assenza di voce per le donne, alla paura delle riforme. «Abbiamo bisogno di riforme per adempiere la nostra missione nel mondo moderno. Questa necessità non riguarda solo la Chiesa istituzionale, ma coinvolge tutti noi, laici e clero».

In particolare, si enfatizza l’urgenza del dialogo interno alla Chiesa: «È stato detto che la mancanza di dialogo, di ascolto reciproco e di apertura allo Spirito di Dio nella comunità rende la Chiesa un’istituzione senz’anima».

«La nostra difficoltà di entrare in dialogo riguarda il rapporto clero/laici. Sacerdoti e laici vivono in due mondi diversi e separati, in “bolle” non comunicanti. I sacerdoti e i vescovi non capiscono che, per evangelizzare, devono confrontarsi col mondo al di fuori dello spazio della propria curia e dialogare con i laici/parroci per includere coloro che rimangono alla periferia della Chiesa». Un dialogo che chiede un nuovo linguaggio e una testimonianza diretta della fede.

Si denuncia il disinteresse del clero per il percorso sinodale («un gran numero di sacerdoti non ha partecipato al processo sinodale»). «Spesso i sacerdoti non ascoltano i fedeli laici, perché non sono interessati alle loro esigenze, ma solo all’attuazione del piano pastorale». Da qui nascono omelie di tipo moralistico o eccessivamente politico. Insomma, «un clericalismo radicato e diffuso, di cui sono responsabili non solo i presbiteri, ma anche i laici che alimentano tali atteggiamenti nei preti».

I rifugiati e la scoperta dell’ecumenismo

Molto interessante è lo sviluppo dell’ecumenismo che nasce dall’ampiezza dell’accoglienza di profughi dall’Ucraina (quasi due milioni), aggredita militarmente dalla Russia. «Il vero dialogo ecumenico-sinodale si svolge tuttora nelle stazioni ferroviarie, nelle strutture dello stato e del volontariato, e soprattutto nelle case dei polacchi che si sono aperte, che hanno accolto gli ucraini in difficoltà e li hanno aiutati senza badare a spese e difficoltà… Con l’attuale migrazione dall’Ucraina, l’ecumenismo non è più una questione teorica per le nostre parrocchie. È necessario approfondire con gli ortodossi che vivono accanto a noi. Da qui la domanda di una catechesi sulle altre fedi».

Un recente sondaggio CBOS illustra i cambiamenti sociologici generali. Si definiscono “cattolici” l’84% (erano il 94% nel 1992). Pratica il 42% rispetto al 70% di tre decenni fa. Nelle città i non praticanti sono il 37% e fra i giovani il 38%.

Fra le ragioni che vengono addotte per il distacco dalla Chiesa: il 17% dichiara di non avere più bisogno della fede, il 12% per il carattere “mafioso” dell’istituzione, il 9% per il suo entrismo politico, il 7% per la perdita di fiducia.

In alcuni gruppi sociali come i giovani, gli abitanti delle città, e sempre più fra le donne si allarga un atteggiamento generale di avversione alla Chiesa che sarà difficile erodere e ridurre.

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