Sinodo amazzonico: una sfida im-possibile

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Una sfida impossibile? Alla fine della lettura dell’Instrumentum laboris («Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale») per il sinodo sull’Amazzonia (Roma, 6-27 ottobre 2019) emerge l’incredulo stupore davanti all’altezza del compito. Non tanto per le pur rilevanti accentuazioni sul tema dei ministeri ordinati, sottolineato da molti, quanto per la potenza della chiamata. Quello che si indica è un conflitto diretto con il potere del paradigma tecnocratico, una rinnovata comprensione della complessità sociale e culturale dell’area e l’“invenzione” di un soggetto ecclesiale paradigmatico per il futuro della Chiesa.

Chiesa in Amazzonia

Contro l’«impero»

Sulla scorta della Laudato si’ il testo (presentato il 17 giugno) non nasconde la distanza rispetto al modello neo-liberale e tecnocratico imperante: «Essere Chiesa in Amazzonia in modo realistico significa porre profeticamente il problema del potere, perché in questa regione le persone non hanno la possibilità di far valere i loro diritti contro le grandi imprese economiche e le istituzioni politiche. Oggi, mettere in discussione il potere nella difesa del territorio e dei diritti umani è mettere a rischio la propria vita, aprendo un cammino di croce e di martirio» (n. 145).

La memoria dei martiri (come sr. Dorothy Stang) vuol dire opporsi ai modelli estrattivisti e ai progetti che violentano l’ambiente, allearsi ai movimenti sociali di base, ascoltare il grido della terra ferita, difendere i diritti dei popoli dell’Amazzonia.

Consapevole dell’ambiguità del proprio comportamento durante la colonizzazione la comunità cristiana non può sottrarsi alla «santa indignazione» provocata dalle ingiustizie e davanti a promesse non mantenute e a tradimenti di ogni tipo (n. 41).

Vi è un respiro mondiale nell’aver dato figura alla regione amazzonica come uno dei  punti decisivi per la salvaguardia del creato, assieme al bacino del fiume Congo e alle grandi aree glaciali dell’Artico. L’opzione preferenziale per i poveri e per la cura del creato alimenta una lettura critica che rifiuta «l’alleanza con la cultura dominante e il potere politico ed economico per promuovere le culture e i diritti degli indigeni, dei poveri e del territorio» (n. 119). Ben sapendo di trovarsi di contro alla gran parte della struttura comunicativa mondiale. «I mezzi di comunicazione sociale di massa trasmettono modelli di comportamento, stili di vita, valori, mentalità che influenzano, trasmettono una cultura che tende a imporsi, e a uniformare il nostro mondo interconnesso. È il problema della seduzione ideologica della mentalità consumistica» (n. 140).

Si capiscono l’allarme e i sospetti dei centri finanziari ed economici e dell’amministrazione Bolsonaro (Brasile), che considera i diritti dei popoli indigeni come ostacolo al libero sfruttamento dell’area. Il ministro dell’interno (Augusto Heleno Ribeiro), nel febbraio scorso, ha smentito che i servizi segreti spiassero le attività in preparazione al sinodo, ma ha sottolineato la preoccupazione per alcuni punti dell’agenda sinodale che, a suo avviso, configgono con gli interessi dello Stato.

Chiesa in Amazzonia

Area altamente vulnerabile

Come dare figura unitaria e interpretazione adeguata ad una area di quasi 8 milioni di kmq, che interessa 9 paesi e contiene il 40% della superficie globale delle foreste tropicali? Gli ecosistemi amazzonici ospitano dal 10 al 15% di tutte le biodiversità della terra. I popoli autoctoni sono 380, parlano 86 lingue e un centinaio di essi vivono nascosti. Sono chiamati i popoli indigeni in isolamento volontario (PIAV). Ma nel loro insieme non superano i 4 milioni (su 34 milioni di persone nell’area). Una minoranza esigua rispetto alle popolazioni dei paesi interessati.

Vi è una enorme sproporzione fra l’esiguità degli indigeni chiamati a difendere l’identità dei luoghi e l’enormità dei territori, fortemente appetibili dagli interessi economici. La scommessa del sinodo e della Chiesa è riconoscere l’Amazzonia come soggetto unitario «che non è stato sufficientemente considerato nel contesto nazionale o mondiale né nella vita della Chiesa» (n.2). Area altamente vulnerabile, ma custode di un «buon vivere» che si esprime nell’armonia con se stessi, con gli altri, con la natura e con l’essere supremo. Esempio di connessione fra valori materiali, umani e trascendenti, capace di una cosmovisione in cui tutto è collegato.

Fra le aggressioni di cui si sentono colpite le comunità amazzoniche si ricorda: l’assassinio dei leader, la privatizzazione dei beni naturali, le concessioni a grandi aziende per il disboscamento, i megaprogetti idroelettrici, l’inquinamento, il narcotraffico (n. 14-15). Anche i diritti precedentemente riconosciuti, come il diritto alla consultazione e al consenso previo, sono erosi e rimossi.

«Attualmente, i cambiamenti climatici e l’aumento degli interventi umani (deforestazioni, incendi e cambiamenti nell’uso del suolo) stanno portando l’Amazzonia a un punto di non ritorno» (n. 16). Aggressioni dirette e indirette che rendono le popolazioni autoctone o no «vittime della seduzione del denaro, delle tangenti e della corruzione da parte di agenti del paradigma tecno-economico della “cultura dello scarto”» (n. 53).

Migrazioni e città

Migrazioni pendolari, spostamenti forzati, migrazioni volontarie, migrazioni internazionali fanno dell’Amazzonia una fra le regioni «con la maggiore mobilità interna e internazionale» (n. 64). Alle origini vi è il drammatico peggioramento della qualità della vita. Con l’esito di distruggere le famiglie e esporre i più giovani ad ogni tipo di abuso. «I rapidi cambiamenti attuali incidono sulla famiglia amazzonica. Troviamo così nuovi formati di famiglia»: monoparentali, separazioni, unioni consensuali, famiglie assemblate ecc. (n. 77). Con problemi sempre più gravi per l’educazione. Salta il modello di organizzazione comunitaria e peggiora lo stato della donna. Compaiono nuove malattie (a causa del mercurio) che le «farmacopee viventi» nella foresta non sono in grado di ovviare e guarire.

L’urbanizzazione ha ormai coinvolto il 70-80% della popolazione, trasmettendo uno stile di vita assai lontano da quello tradizionale. Nascono problemi non piccoli come la violenza, l’abuso sessuale, la droga, il traffico di armi, la crisi di identità, lo sfaldarsi delle famiglie, l’inefficienza dei servizi e delle infrastrutture.

Molto esplicito il capitolo sulla corruzione, sia fuori della legge sia dentro una legislazione ingiusta. «La corruzione raggiunge così le autorità politiche, giudiziarie, legislative, sociali, ecclesiali e religiose che ricevono benefici per consentire a queste società (le grandi imprese) di operare» (n. 81). «Si crea così una cultura che avvelena lo Stato e le sue istituzioni, permeando tutti gli strati sociali, comprese le comunità indigene. Si tratta di una vera e propria piaga morale; di conseguenza, si perde fiducia nelle istituzioni e nei suoi rappresentanti, il che scredita totalmente la politica e le organizzazioni sociali. I popoli amazzonici non sono estranei alla corruzione e ne diventano le principali vittime» (n. 82).

Chiesa in Amazzonia

Chiesa originale, creativa, inculturata

Il dinamismo più creativo del documento è quello ecclesiologico, quasi a “inventare” un nuovo soggetto ecclesiale. Mentre infatti i precedenti sinodi speciali hanno avuto come riferimento situazioni di Chiese o territori abitati da lungo tempo da comunità cristiane (Paesi Bassi, Ucraina, i cinque continenti, il Medio Oriente), l’Amazzonia si impone non sulla base delle Chiese e della storia, ma su quella dell’emergenza ambientale e di un soggetto ecclesiale declinato al futuro, pur con qualche lunga radice nella storia. Il riferimento è più alla REPAM (Rete ecclesiale panamazzonica, attiva dal 2014) che alle Chiese nazionali.

L’urgenza dell’annuncio evangelico si fonde con un luogo che è a un tempo territorio, emergenza (ambientale) e scelta preferenziale dei poveri. Nasce dentro le esperienze ecclesiali latino-americane con una presenza originale, creativa e inculturata. «Il suo programma di evangelizzazione non corrisponde a una mera strategia di fronte ai richiami della realtà: è l’espressione di un cammino che risponde al kairos che spinge il popolo di Dio ad accogliere il Regno in queste bio-socio-diversità». «La diversità originale offerta dalla regione amazzonica – biologica, religiosa e culturale – evoca una nuova Pentecoste» (n. 30).

Lasciate alle spalle le ambiguità legate ai processi colonizzatori, «negli ultimi anni la missione della Chiesa si è svolta in alleanza con le aspirazioni e le lotte per la vita e il rispetto per la natura dei popoli amazzonici e delle loro stesse organizzazioni» (n. 33). L’ecologia integrale «che si basa sul riconoscimento della relazionalità come categoria umana fondamentale» (n. 47) e cioè sulla relazione con noi stessi, gli altri, la società, la natura e Dio trova un corrispettivo nella «cultura amazzonica che integra gli esseri umani alla natura (e) diventa un punto di riferimento per la costruzione di un nuovo paradigma di ecologia integrale» (n. 56).

«La Chiesa proclama il mistero della morte e risurrezione (di Gesù) a tutte le culture e a tutti i popoli» (n. 115) e cerca di condividere il Vangelo con i popoli amazzonici. Nonostante le ferite del passato e la permanente mentalità coloniale e patriarcale, essa si apre a una Chiesa partecipativa, a una Chiesa accogliente, a una Chiesa creativa e a una Chiesa armoniosa (n. 113). Un intento che chiede di passare  «da una “pastorale della visita” a una “pastorale della presenza”, per riconfigurare la Chiesa locale in tutte le sue espressioni: ministeri, liturgia, sacramenti, teologia e servizi sociali»» (n. 128).

Cosmologie e ministeri

Si tratta anzitutto di recuperare il senso positivo delle tradizioni, dei miti, dei riti della tradizione locale. Riconoscere cioè un patrimonio spirituale che si alimenta delle esperienze ancestrali e delle cosmologie condivise: «Recuperare i miti e attualizzare i riti e le celebrazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica» (n. 104). «È necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore, il senso di comunione e di armonia con la terra, il senso di solidarietà con i propri compagni» (n. 121), il rapporto vivo con la natura, l’atteggiamento contemplativo e il senso del  sacro del territorio. Le teologie latino-americane, e in particolare la teologia india, sembrano gli strumenti più adatti per comprendere la sfida.

In tale quadro si capisce l’attenzione rinnovata ai servizi e ai ministeri. Dal riconoscimento dell’agente pastorale come ministero speciale alla presidenza dell’eucaristia. «“La Chiesa vive dell’eucaristia” e l’eucaristia edifica la Chiesa. Per questo, invece di lasciare la comunità senza l’eucaristia, si cambino i criteri di selezione e di preparazione dei ministri autorizzati a celebrarla» (n. 126). «Affermando che il celibato è un dono  per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana» (n. 129).

Ci si chiede che tipo di ministero conferire alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che spesso esercitano. Ma ci si interroga sul ruolo dei laici, dei giovani, della donna. Rilevante anche la richiesta per la vita consacrata («alternativa e profetica, intercongregazionale, interistituzionale» n. 129), disponibile per i compiti più esposti e difficili. Sembra quasi che si relativizzino non solo le appartenenze istituzionali ma anche il carisma. In realtà, è nella piena condivisione (lingua, cuore, testa, mani) con il popolo di Dio e la Chiesa locale che ai religiosi e alle religiose tutto viene ridonato.

Con senso realistico si propone un’azione pastorale di frontiera a tutte le diocesi interessate e, soprattutto, il rafforzamento della Rete ecclesiale panamazzonica. «Date le caratteristiche specifiche del territorio amazzonico, si suggerisce di considerare la necessità di una struttura episcopale amazzonica per realizzare l’applicazione del sinodo. È richiesta la creazione di un fondo economico a sostegno dell’evangelizzazione, della promozione umana e dell’ecologia integrale, soprattutto per l’attuazione delle proposte del sinodo» (n. 129). L’Amazzonia è uno dei polmoni del mondo. La Chiesa se n’è accorta.

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Un commento

  1. Luc Van Looy 25 giugno 2019

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