Sinodo: la sfida è appena iniziata

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Sinodo: giovani e riforma

Un testo di 167 paragrafi, strutturato sull’icona dei discepoli di Emmaus, sintetizza i lavori del sinodo dei giovani, che si è svolto dal 3 al 28 ottobre a Roma.

Il primo frutto della discussione, messo in evidenza da papa Francesco, è – non sembri scontato – la capacità di assumere come Chiesa uno stile sinodale, cioè di restare aperta alle domande e alle sfide provenienti sia dall’interno della vita di fede che dal contesto socio-culturale senza irrigidirsi nelle posizioni, senza essere “dottrinalisti” o moralisti, ma sviluppando la capacità di un autentico dialogo.

È questa, anzitutto, l’immagine che dà vita al sinodo e che, alla fine, rimane: una Chiesa in cammino, che ascolta, accompagna, si coinvolge. Proprio imparando da Gesù che – come ci viene mostrato dall’immagine evangelica della domenica in cui il sinodo si è concluso – non è frettoloso nei confronti di Bartimeo, né si limita a dare qualche informazione religiosa al mendicante seduto ai bordi della strada; al contrario, si ferma ed esercita l’arte di una compassione che si fa vicinanza, prossimità, coinvolgimento personale.

assumere come Chiesa uno stile sinodale

In ascolto

Il documento finale stigmatizza gli atteggiamenti e le situazioni in cui, talvolta, la Chiesa non è stata capace di rendere evidente l’atteggiamento del Risorto sulla strada di Emmaus, facendo prevalere «la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione» (n. 8).

L’ascolto è ciò che rende possibile un autentico incontro e favorisce uno scambio di libertà, nel quale i giovani possono sentire come sia importante il loro contributo all’interno della Chiesa specialmente nel porre domande inedite e forme nuove di annuncio del Vangelo; dall’altra parte, la Chiesa può sostenere con un discernimento illuminato le numerose scelte di vita che i giovani devono affrontare, talora in condizioni di insicurezza, disagio e frammentazione sociale. Per questo ministero dell’ascolto però – e qui il sinodo suggerisce già una pista – occorre maggiormente investire nella formazione di pastori e laici esperti nell’accompagnamento. Ciò, a sua volta, «implica un ripensamento per rinnovare le forme con cui ordinariamente il ministero presbiterale si esprime e una verifica delle sue priorità. Inoltre il sinodo riconosce la necessità di preparare consacrati e laici, uomini e donne, che siano qualificati per l’accompagnamento dei giovani» (n. 9).

La trasmissione della fede e l’adulto

Un tema messo a fuoco dal Sinodo riguarda un urgente e impellente sforzo rinnovato nel campo dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede. Le giovani generazioni – con numeri che destano non poca preoccupazione – spesso non riescono a essere affascinate dalla proposta del Vangelo e dalla pratica ecclesiale; i percorsi dell’iniziazione cristiana, così come quelli della catechesi, non sempre riescono a far intravedere la bellezza della proposta e ad integrarsi con una vita – quella dei giovani – modulata su ritmi veloci, in un mondo che cambia velocemente e che offre una diversificata offerta di criteri, di stili e di modelli.

L’assemblea sinodale chiama in causa la crisi dell’adulto: madri e padri che spesso non hanno più tra le priorità familiari la trasmissione della fede ai propri figli, ma anche conflitti generazionali crescenti tra giovani e adulti, anche dovuti al fatto che «talora gli adulti non cercano o non riescono a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza oppure assumono stili giovanilistici, rovesciando il rapporto tra le generazioni. In questo modo la relazione tra giovani e adulti rischia di rimanere sul piano affettivo, senza toccare la dimensione educativa e culturale» (n. 34).

Da una parte, occorre perciò ridare vigore al carattere “adulto” della fede, cioè alla sua capacità di integrarsi e, al contempo, di interrogare e accompagnare la vita reale, segnata da una varietà di elementi e situazioni e inserita in un contesto plurale nel quale pullulano diverse forme di disagio, difficoltà e perfino violenze ed emarginazioni; si tratta di non alimentare il tratto “infantile” della fede, dando l’impressione che essa sia una realtà superata o valida solo fino a quando ancora, essendo bambini, non bisogna affrontare le sfide più ardue della vita.

Dall’altra parte, occorre aiutare gli adulti a recuperare il senso profondo della loro vocazione educativa; i giovani vivono il passaggio fondamentale del “diventare adulti”, ma ciò viene spesso impedito non solo dalla cultura del provvisorio che non aiuta le scelte definitive, ma anche dalla mancanza di figure autorevoli tra gli adulti, capaci di generare alla vita, di far crescere e di aiutare a maturare il proprio discernimento alla luce della fede, senza autoritarismi o manipolazioni (cf. nn. 69-71).

Per una buona trasmissione della fede, inoltre, non si può trascurare il tema della ricezione degli insegnamenti morali della Chiesa, talvolta percepiti come spazio di giudizio e di condanna. Dinanzi al rischio della banalizzazione e della mercanzia dell’uso del corpo, la Chiesa deve offrire una parola chiara, ma al contempo empatica; essa intende ribadire che ogni figlio è amato da Dio e, dunque, la Chiesa ritiene riduttivo definire le persone in base al loro orientamento sessuale o, peggio ancora, escluderle.

assumere come Chiesa uno stile sinodale

Polittico del Sinodo

Accompagnare e discernere

Volendo ribadire che ciascun uomo ha una vocazione da realizzare per esprimere pienamente la propria umanità e offrire il proprio originale contributo alla società, il sinodo sottolinea le parole chiave dell’azione ecclesiale, che riguardano in generale ogni ambito pastorale e, in special modo, la pastorale giovanile e quella vocazionale.

Accompagnare e discernere è ciò che si rende necessario. Nel mondo contemporaneo, così aperto a una disponibilità sempre più ampia di opzioni e a ostacoli che impediscono ai giovani di realizzarsi, il tema delle scelte di vita si fa importante e delicato; la Chiesa deve aiutare i giovani a non pensare che la loro vita sia frutto del caso o un destino già scritto, ma, al contrario, deve diventare uno spazio familiare in cui essi sono accompagnati e sostenuti, con amorevolezza e tenerezza, nel loro cammino verso il futuro. Solo così essi potranno essere aiutati a inserirsi nella società, nella vita professionale e anche nei cammini di speciale consacrazione (nn. 91-94).

Questo accompagnamento richiede e include l’arte del discernimento spirituale, che inserisce le persone in quella dinamica spirituale attraverso cui si diventa capaci di riconoscere la volontà di Dio sulla propria vita e di integrarla nella propria situazione (n. 104). La Chiesa potrà diventare l’ambiente dell’accompagnamento e del discernimento, soprattutto favorendo quella familiarità dell’incontro con il Signore, «nelle diverse forme con cui si rende presente: i Sacramenti, e in particolare l’Eucaristia e la Riconciliazione; l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio, la Lectio divina nella comunità; l’esperienza fraterna della vita comune; l’incontro con i poveri con cui il Signore Gesù si identifica» (n. 110).

Al contempo, non sarà possibile introdurre i giovani alla scoperta del Vangelo e renderli protagonisti dell’azione ecclesiale, senza un rinnovamento strutturale della pastorale, che investa il cambiamento della parrocchia nella direzione di una maggiore flessibilità che non la confini soltanto nei limiti territoriali e la apra creativamente ad attività e proposte più variegate.

Tra queste, ritengo sia degno di nota sottolineare il n. 161 del Documento, che invita tutte le Chiese particolari, le congregazioni religiose e altre istituzioni ecclesiali a pensare “esperienze di accompagnamento” dei giovani, magari proponendo loro luoghi e tempi in cui possano sperimentare una vita comunitaria e fraterna, nella condivisione della preghiera e di qualche forte esperienza apostolica.

Una Chiesa diversa

In conclusione, penso che si possa dire che il sinodo sia riuscito almeno nell’intento di “scompigliare” il clima talvolta imbrigliato, che aleggia su certe discussioni ecclesiali. Da oggi in poi, nessun pastore o consacrato, nessun operatore pastorale o laico attivamente impegnato potrà trascurare nella propria riflessione e azione il pensiero di come raggiungere i giovani e di come far loro spazio.

Certamente, quanto il sinodo è andato discutendo ed elaborando deve essere visto come un punto di partenza e non come una mèta: non si faccia l’errore, cioè, che celebrata una bella assise come questa e magari rilasciato un bel documento, il problema sia risolto. Non occorrono né l’entusiasmo senza radici, che si spegne in fretta, tantomeno la disillusione e la sfiducia di chi pensa che, tutto sommato, stiamo bene così e tutto tornerà presto come prima.

Al contrario, il sinodo è anzitutto una sfida aperta sul futuro della Chiesa. La comunità cristiana si è impegnata a riconoscere il volto vero dei giovani e intende porre in atto quella conversione pastorale e spirituale in chiave missionaria, che deve mettere in moto i singoli e le strutture, aprendole a nuove elaborazioni e nuovi percorsi di evangelizzazione non solo per i giovani, ma anche con i giovani.

Il cuore di questa conversione dovrebbe essere una pastorale giovanile in chiave vocazionale, cioè un superamento dell’attuale frammentazione degli ambiti e degli uffici pastorali al fine di “tenere insieme” la cura dei giovani con la questione della chiamata specifica rivolta a ciascuno di essi, sia nella Chiesa che nella società, facendo intravedere, così, che l’ambito della fede non è separato dalla vita reale che essi vivono e che il fascino della figura di Gesù è una possibilità buona e degna per sviluppare la propria vita.

La sfida è appena iniziata. Come singoli e come Chiesa, camminando sulle strade del mondo, dobbiamo riconoscere che proprio questa è l’ora di affiancarci, camminare accanto, ascoltare, accompagnare e annunciare in modo nuovo il Dio della vita.

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  1. Anna Maria Palma 1 novembre 2018

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