Sinodo: scuola e chiesa

di:

chiesa italiana

Vince il “plurale” nel documento preparatorio intitolato Per una chiesa sinodale. Una sfida in tempi di individualismo marcato e complicato dalla pandemia.

Anche laddove è indicato il privilegio degli apostoli, non si parla di singolarità isolate ma di personalità che hanno avuto contatti con l’evento Cristo e la folla: altre e altri dai volti e nomi diversi, anche sconosciuti. È una comunità in cammino e in dialogo quella che viene disegnata come in una sinopia o in un cartone preparatorio in attesa di un affresco che, si auspica, mani diverse sapranno colorare.

Pur conoscendo e apprezzando la forza spirituale di alcuni movimenti ecclesiastici e i carismi di alcune figure che li abitano, mi sembra che la realtà della parrocchia possa essere privilegiata in questa avventura.

Qui si affacciano presenze diverse per età, sesso, cultura, ceto sociale e – sempre più- etnia. Si ritrovano nel banchetto eucaristico (per una madre di famiglia come sono non è poca cosa veder sedere persone allo stesso tavolo) e a volte in altri ambienti che la disponibilità di spazi abitativi e architettonici (pensiamo alle sale per teatro e cinema) che una parrocchia può offrire. Anche questo non è poca cosa.

Una larga esperienza di vita ecclesiale (in diversi ambiti  della diocesi di Milano) e di vita scolastica ( come insegnante di Scuole Superiori  statali e private in Lombardia) mi sollecita a un confronto tra queste due specie di comunità che hanno in comune la formazione non solo di giovani (chi insegna sa che sono i giovani a stimolare i docenti nella loro crescita) e la ricerca di mediazioni culturali che giovino alle stesse comunità e a quelle più allargate sulle quali chiesa e scuola si affacciano.

La loro vitalità è infatti molto legata alla capacità di aprirsi al territorio e non isolarsi tra pochi devoti. Tra le altre cose in comune mi sembra si possano confrontare le figure del parroco e del preside o della preside, con il rammarico di non scorgere ancora una presenza femminile nel primo caso.

Entrambi sono indispensabili per dirigere e governare più “anime” che si radunano e incontrano. Tuttavia, molto conta la loro disponibilità a concedere voce- e microfoni- a chi fa parte di questo gruppo e soprattutto a individuare le diversità e valorizzarle. A volte le voci presenti nella comunità sono sopite; a volte parlano lingue incomprensibili (come quelle dei più piccoli e degli stranieri).

Altre volte sono altisonanti o votate a compiacere chi guida, anche con interessi obliqui. Concedere loro spazio con gentilezza e fermezza (virtù non agli antipodi ma complementari) fa realmente crescere una comunità che sappia riconoscere in chi la presiede un riferimento significativo e autorevole in quanto disponibile ad ascoltare e concedere valore alle critiche e agli incoraggiamenti autentici. Così il “plurale” acquista importante peso e spessore.

Vorrei concludere con alcune proposte concrete che i due ambiti richiamati mi sollecitano:

  • Le “arti liberali” – così chiamate nella tradizione medioevale – presiedono anche oggi alla formazione di soggetti che vogliono diventare realmente “liberi”. Oltre la scuola, la parrocchia non dovrebbe rinunciare a questo compito non solo organizzando servizi di doposcuola (come già accade in alcune belle realtà, vista la pesante emergenza educativa in atto) ma promuovendo occasioni di lettura, visioni cinematografiche, incontri culturali. Con una importante attenzione però: poco servono i nomi altisonanti delle accademie, giornali e televisione come speaker se manca nella stessa sede un gruppo di persone che studia, legge, anima i dibattiti e favorisce tali incontri. I giovani, ben più vigili e creativi degli adulti, possono aggregarsi con piacere e notevoli stimoli.
  • Accanto agli educatori – già presenti nelle parrocchie soprattutto durante gli oratori estivi – potrebbero comparire figure femminili in formazione presso alcune facoltà (come Scienza della Formazione e Psicologia) presenti in ottime università. L’apertura della Chiesa alle donne potrebbe passare anche da questa strada.
  • I locali parrocchiali, con qualche postazione internet e qualche scaffale di testi in consultazione, potrebbero essere aule di studio – come avviene nelle biblioteche dove gli studenti si ritrovano volentieri a leggere e studiare. Se poi attigua all’aula ci fosse una piccola cucina minimamente attrezzata l’occasione per un incontro tra diversi (anche solo per sorseggiare insieme tè o caffè) sarebbe più appetibile.
  • Sempre più studenti scelgono la Facoltà di Mediazione linguistica. La figura del mediatore potrebbe presentarsi nelle parrocchie e favorire incontri anche formativi per la comunità.
  • Nelle scuole a fine anno studenti, insegnanti e genitori sono invitati a rispondere a questionari per lo più anonimi per migliorare la qualità dei servizi, favorire trasparenza nelle scelte effettuate e quindi maggiore democrazia e “sinodalità” nella presa di decisioni. Perché non promuovere tale stile comunitario nelle parrocchie verificando la qualità dei servizi offerti (comunicazioni, segreteria attività degli educatori/trici, catechisti/e dei religiosi/e)?
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