Un sinodo inutile?

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Si è appena concluso il sinodo dei vescovi dedicato ai giovani. Leggendo le conclusioni, è sorto il fondato dubbio che sia stato inutile.

Pur apprezzando l’idea e concedendo, con il dovuto rispetto, le buone intenzioni è evidente che, seguendo lo schema classico deduttivo, il linguaggio, i contenuti, i destinatari sono coloro che già, abbondantemente, vivono all’interno del mondo cristiano.

Pur dichiarando che il sinodo si rivolge ai giovani, in realtà si rivolge a quanti, formati e cresciuti all’interno del mondo cattolico, sono incoraggiati a proseguire sulla strada intrapresa.

Le conclusioni possono essere utili ai seminaristi, alle giovani vocazioni delle religiose, a quanti frequentano la parrocchia, agli scout, ai ragazzi dell’oratorio.

Le statistiche, ma anche l’esperienza pastorale dicono che solo una minima parte frequenta, dopo la cresima (quando è celebrata), la Chiesa.

I ragazzi e le ragazze seguono altri mondi, altre emozioni, altri ambienti. Iniziare con l’invocazione dello Spirito e proseguire con l’immagine dei due discepoli di Emmaus è molto bello per chi già crede e ha molta dimestichezza con la Scrittura e la meditazione.

Così è avvenuto per la famiglia. Lo stile “dottrinale” per chi vuole dialogare con i ragazzi (prima ancora dei 16 anni suggeriti dal sinodo) non ha valore perché, ben che venga, essi ti guardano senza capire che cosa dici.

Occorreva un linguaggio induttivo: cercare i frammenti del loro mondo per iniziare l’ascolto.

Non siamo attrezzati per fare questo. Siamo rimasti chiusi nel nostro schema e non riusciamo a inventare nulla. Le conclusioni del sinodo assomigliano alle mille Istruzioni di un qualche Dicastero della Santa Sede a proposito di vocazione.

Si indicano ancora la scuola, l’università, la parrocchia, gli oratori come luoghi adeguati a offrire dialogo: ma se quasi nessuno frequenta, il dialogo con chi avviene?

Il mondo degli adulti

Si nota un’aggravante notevole: nessun accenno a noi adulti che abbiamo fatto nascere e crescere questi nostri figli e figlie, affidando loro un mondo che, se ha fatto progressi, ha anche costruito uno stile egoista, solitario, materialista.

In fondo alimentiamo continuamente e ossessivamente consumo, benessere, godimenti senza più remore e pentimenti.

I grandi gruppi finanziari e commerciali tempestano le loro menti e le loro sensibilità, salvo poi accusare i giovani di essere indolenti, disattenti e autocentrati.

È vero che qua e là le conclusioni del sinodo accennano a giovani che vivono mondi difficili e ingiusti. Ma le cause? Chi sono i persecutori e le vittime? Domande che un adulto dovrebbe porsi e alle quali dare risposte, chiedendo perdono.

Si parla di rete e dei relativi strumenti: un modo utile per comunicare. Perché questa rete stenta ad avere regole? Le impediscono i grandi gruppi speculatori quotati in borsa certamente non gestiti da ragazzi. Si invoca la testimonianza: nella sostanza di essere efficienti, visibili, arrivati.

Educarli con questi presupposti è molto difficile: sono costruiti per diventare trappola, senza possibilità di eccezioni.

Senza speranza?

In diversi capitoli delle conclusioni ci sono passaggi automatici dall’analisi delle situazioni alla proposta religiosa, come ad esempio dall’io al noi (sinodalità), la valorizzazione della donna, la corporeità (sessualità, identità e inclinazioni sessuali), la famiglia, l’accompagnamento vocazionale…

Mondi giusti che vanno a impattare altri mondi nei quali spesso non c’è logica, né etica, ma solo emozioni, frammenti, spiragli di storie vissute e anche patite.

Non è vero che non si intravveda speranza. Occorre agire con pazienza e saggezza. La strada percorsa nel passato non è più idonea a dialogare nel mondo materializzato dei ragazzi.

Occorre saper leggere le loro emozioni: oscillano tra l’arroganza e la depressione, tra l’orgoglio e la paura. Chi può capire che cosa dicono i loro dialoghi, le loro musiche, le loro interlocuzioni? Senza entrare nel loro mondo, la porta del dialogo è chiusa.

Il primo passaggio è l’ascolto: a condizione di non dare risposte saccenti. In fondo essi cercano sicurezza, amicizie, complicità. È un tempo che non si può conteggiare. Spesso appare come energie sciupate: l’affetto, il rispetto, la benevolenza invece lasciano il segno, nella memoria e nel cuore.

Il discernimento esige una raffinata attenzione tra gli spiragli dell’apparire. I sentimenti, le buone volontà, l’agire onesto emergono anche nelle vite più contorte.

La testimonianza deve essere sincera: anche nei limiti e nelle contraddizioni degli adulti. La stima ha le basi nella sincerità e non nell’autorità. Per ascoltare ed essere ascoltati occorre essere amati.

Infine, lo sforzo di suggerire ideali grandi, leali, vicini alle sensibilità espresse e non espresse. Il mondo che abbiamo costruito poggiava su alcune direttive che per noi erano importanti: occorre lasciar spazio ad altre linee, altre sensibilità, altri ideali.

Nessuno, nella storia, è riuscito a completare l’appello evangelico. Nei vari tempi e luoghi sono sorte sensibilità, religiosità, vocazioni. Continua anche oggi ad essere così.

La fede viene dopo, senza sentire il dovere di spiegare, per l’ennesima e inutile volta, le riflessioni e i richiami detti e stradetti. Dio offre la grazia e illumina le menti. Noi possiamo ripetere quanto Gesù ha detto a Bartimeo: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” lasciando alla provvidenza divina di agire.

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Un commento

  1. Adriano Bregolin 1 novembre 2018

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