40 anni di impresa sociale. Un racconto

di:

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Abbiamo chiesto a p. Giuliano Stenico, dehoniano, fondatore e presidente del Centro italiano di solidarietà (Ceis) di Modena, di raccontare l’origine, l’attività e lo sviluppo di una singolare esperienza di servizio sociale. Oltre 30 comunità sul territorio emililano, 500 dipendenti, 2.000 assistiti, 13.000 persone coinvolte: i numeri svelano l’attraversamento creativo di molte marginalità. I 40 anni di attività suggeriscono il susseguirsi delle emergenze, ma anche la crescita delle competenze e delle risposte. Gli orientamenti valoriali, l’originalità della gestione, l’apertura alla ricerca entrano in un circuito virtuoso nel rapporto con l’amministrazione, la Chiesa locale e il territorio. Una storia, festeggiata nell’aula consigliare del Comune di Modena il 15 dicembre scorso, dove gli “scarti”, come li indica papa Francesco, possono alimentare la vita civile di tutti (red.).

Comunità terapeutiche per tossicodipendenti

6

Comunità terapeutica per madri tossicodipendenti con bimbi

1

Comunità maschile per minori tossicodipendenti

1

Comunità per HIV

2

Comunità per malati mentali

1

Comunità madri con bimbi

2

Comunità per persone con il disturbo del comportamento alimentare (DCA)

1

Comunità educativa femminile per minorenni

1

Comunità integrata maschile per minorenni

1

Comunità per minori italiani e stranieri (MSNA )

13

Comunità diurna per minori isolati sociali e problematiche a salienza psichiatrica

1

Case famiglia per minori

2

Comunità per carcerati in espiazione fine pena

1

Diurni per anziani

2

Posti letto per rifugiati richiedenti asilo

195

 

Dipendenti 505
Volontari 230
Assistiti in strutture residenziali (presenze nominative nell’anno 2022) 1.797
Assistiti tramite consulenze 304
Persone coinvolte in attività preventiva e formativa in ambito scolastico 13.254
Studenti iscritti all’Istituto Giuseppe Toniolo* 176

* È l’Istituto superiore di scienze dell’educazione e della formazione che rilascia il titolo di laurea breve in Operatore sociale educatore nei servizi socio-educativi e nei servizi educativi per l’infanzia, affiliato alla Pontificia facoltà Auxilium, di cui p. Enzo Brena, provinciale dei dehoniani dell’Italia settentrionale, è moderatore.

  • I territori di intervento sono le province di Modena, Bologna, Parma e Ravenna.
I tossici degli anni Settanta

Alla fine degli anni Settanta e inizi anni Ottanta, la tossicodipendenza si manifesta e si diffonde quasi improvvisamente, raggiungendo una rilevanza sociale tale da sollecitare l’opinione pubblica e l’attenzione delle istituzioni e degli organismi sia sanitari che sociali competenti, sollecitati ad intervenire secondo le loro specifiche responsabilità, in assenza di risposte curative efficaci e di un quadro normativo apposito, tutto da costruire.

Colpiva prevalentemente i giovanissimi e i giovani che facevano quasi esclusivamente uso di eroina, situazione ben diversa da quella odierna che vede una galassia di dipendenze che interessano tutte le età: dalla dipendenza da cocaina, dai farmaci combinati, dall’alcol, dal gioco, dalla pericolosa dipendenza affettiva che, purtroppo, miete tante vittime tra le donne. A ciò si aggiunge il fenomeno recente degli isolati sociali e la crescita esponenziale di minori e giovani affetti da disagio psicologico, psichico e relazionale non risolvibile con un semplice percorso terapeutico individuale.

Rimane la necessità di gestire comunità e/o appartamenti per pazienti HIV, malati mentali, minori stranieri non accompagnati e rifugiati richiedenti asilo. Anche la solitudine degli anziani è in crescita, soprattutto di quelli affetti da disabilità cognitive; cresce l’esigenza da parte dei caregiver di essere sostenuti. A tutte queste problematiche il Ceis ha cercato di rispondere.

Una questione di metodo

L’esplosione del fenomeno della tossicodipendenza coglie tutti impreparati. Le famiglie interessate, in quel clima sociale e culturale, sono attraversate e attanagliate da sentimenti di negazione, vergogna, solitudine, abbandono, impotenza, auto-isolamento, senso di colpa, fallimento, indebolimento delle reti amicali e stigmatizzazione sociale.

Alcuni di loro, però, tra i più consapevoli, motivati e capaci a costruire relazioni sia con il Pubblico che con gli Enti del Privato Sociale, allora già sorti, superano dolorosi stati d’animo e si mettono attivamente alla ricerca di risposte adeguate alla soluzione del loro problema. Tra le esperienze contattate risulta loro convincente il Ceis di Roma, fondato da don Mario Picchi che aveva adottato una metodologia, sorta negli USA agli inizi degli anni ’60 ad opera di mons. O’Brien, denominata Daytop Village, fortemente basata su un approccio caratterizzato dall’auto mutuo-aiuto.

A differenza delle altre realtà già operanti allora in Italia, quasi sempre per impulso di sacerdoti o religiosi, il Ceis di Roma era più definito negli obiettivi, nei metodi e negli strumenti da utilizzare nel percorso riabilitativo di recupero. Il forte orientamento all’inserimento sociale post-trattamento degli utenti, attuando un sostegno e un accompagnamento lungo nel tempo, fino al raggiungimento di una completa autonomia e il coinvolgimento dei familiari come parte attiva, lo differenziava rispetto alle altre proposte di recupero allora operanti.

Tant’è vero che ai genitori era richiesta la partecipazione settimanale ai gruppi di auto mutuo-aiuto che mirava alla condivisione comune dei vissuti in ordine alla riassunzione di un ruolo genitoriale appropriato, in quella situazione sempre dismesso, inadeguato o contraddittorio. Non solo, ma superata la fase iniziale e raggiunto un certo equilibrio nella gestione del ruolo genitoriale e nella dinamica delle relazioni familiari, i genitori erano stimolati ad investire ed esprimersi nel volontariato in differenti forme, compresa l’intercettazione e il sostegno offerto ad altre famiglie con il problema.

Lo sforzo corale

Così i genitori modenesi si recavano a Roma tutti i giovedì sera per partecipare ai gruppi di auto aiuto e, contemporaneamente, si organizzarono costituendosi come Associazione di Volontariato per dare origine a Modena ad un programma terapeutico analogo a quello romano. Interpellarono e coinvolsero le istituzioni interessate, il Comune, i Servizi Sanitari e la Diocesi che risposero molto positivamente, raggiungendo così l’obiettivo durante il corso del 1982, anno in cui, grazie a loro, nasce il Ceis di Modena.

Un aspetto, assolutamente originale del programma Daytop, consisteva nel responsabilizzare gli utenti, qualora lo scegliessero e mostrassero di avere sviluppato le abilità e le competenze necessarie, ad operare la scelta di proporsi come operatori. In quella vision quasi tutti gli operatori erano ex, dato anche il forte sospetto nutrito verso le professionalità, considerate eccessivamente “specialistiche” e poco adatte a indagare i vissuti degli utenti. In Italia questa dicotomia divisiva non ebbe luogo in quanto, fin dall’inizio, la formazione degli operatori, anche in possesso di un titolo specifico, come quello di psicologo, prevedeva un tirocinio caratterizzato da una full immersion nella vita comunitaria, insieme agli utenti, esperienza estremamente stimolante.

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I riferimenti decisivi

Dunque, l’attivazione e il contributo, connesso e integrato, al percorso riabilitativo in essere da parte di tutti gli attori interessati, utenti, familiari, amici, operatori e professionisti, è l’elemento base che ha dato origine all’approccio specifico del Ceis, negli anni arricchito, modulato e articolato per far fronte alle diverse fragilità, che via via ha deciso di affrontare e gestire, offrendo risposte adeguate alla loro specificità.

Allo scopo è stato elaborato un linguaggio comune, costituito da assunti di fondo, condivisi e praticati che assicurano la connessione, la coerenza, l’appropriatezza degli interventi, pur operando in ambiti così diversificati. I più significativi sono:

  • l’accompagnamento delle persone accolte in un percorso articolato, considerate nella loro dimensione personale e sociale, non solo come destinatari della relazione di aiuto ma come coattrici e corresponsabili nel processo di cambiamento;
  • la costruzione di contesti relazionali comunitari e/o gruppali fondati sull’ascolto, l’empatia, il contenimento, il coinvolgimento, la condivisione, il confronto, la partecipazione, l’assunzione di responsabilità e l’attitudine al cambiamento, tutti elementi che costituiscono “il lavoro di comunità”;
  • la rivisitazione richiesta alle persone accolte della propria storia personale, familiare e relazionale più ampia attraverso la partecipazione a colloqui e gruppi condotti dagli educatori e da altri professionisti che operano secondo una modalità coordinata e complementare attraverso una visione bio-psico sociale che utilizza diversi strumenti continuamente aggiornati nelle tecniche e nelle teorie di riferimento, seguendo le ricerche e gli studi sul fenomeno più attuali;
  • la consapevolezza della necessità di un accompagnamento lungo nel tempo, in un percorso caratterizzato da steps (tappe), che ogni individuo vive in una propria dimensione personale, temporale e sociale, accettando che la sua vicenda può non svolgersi in modo lineare, ma è soggetta a eventi interiori ed esterni che modificano la sua diversa disposizione e la forza del suo investimento per migliorare la qualità della vita.

Teorie e pratiche

I riferimenti teorici dell’approccio Ceis possono essere i seguenti: la Field Theory di Kurt Lewin, che definisce il gruppo qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri; la teoria delle rappresentazioni sociali di Moscovici, secondo cui la famiglia è frutto di processi interattivi, simbolici sia individuali che interpersonali/familiari e sociali; l’approccio sistemico, elaborato da Gregory Bateson della scuola di Paolo Alto, che propone la concezione relazionale della famiglia; il pensiero “ecologicizzantedi Morin che, con i principi della complessità, considera ogni realtà parte di un complesso più ampio e auspica il superamento della specializzazione delle discipline, intesa come separatezza, a favore un’integrazione dialogica tra loro, tale da generare la capacità di esercitare un’attitudine alla “comprensione umana” e l’anelito alla costruzione della cittadinanza.

La convinzione di fondo che alimenta questa vision è che per favorire la formazione e lo sviluppo della relazionalità e la promozione e la gestione di contesti favorenti a beneficio sia degli utenti che delle persone che accedono ai servizi ambulatoriali o di gruppo, è necessario che l’aspetto pedagogico, quello psicologico e/o psichiatrico siano sempre compresenti e complementari, seppur con diverse accentuazioni, nei percorsi proposti in quanto assicurano l’attivazione di tutte le aree della persona e degli ambiti di vita, oltre che il consolidamento dei risultati nel tempo, essendo l’accompagnamento temporale indispensabile per la consistenza della crescita e della maturazione personale.

Inoltre, la centralità della persona accolta e la conseguente focalizzazione sull’operatività, per non essere risucchiati e svuotati dall’attività, ci ha sempre spinti a coltivare una riflessione comune non disarticolata dalla prassi, ma a servizio di essa con continuità e coerenza, tenendo sempre presente la necessità di analizzare attentamente le nuove problematiche ed elaborare risposte appropriate, cercando di mantenere una comunicazione circolare, per condividere e trasmettere i saperi acquisti agli operatori e offrire loro una formazione coerente.

Un Istituto (Toniolo) e le sorprese

Proprio allo scopo di favorire la circolarità tra teoria e prassi abbiamo aperto l’Istituto di Scienze Superiori dell’Educazione Giuseppe Toniolo, affiliato all’Università Pontificia Auxilium di Roma, che rilascia il titolo di Laurea Breve come Educatore Sociale e dell’infanzia, e facciamo parte di una rete Europea a cui partecipano diversi paesi che ci permette scambi sulle buone prassi.

Per raggiungere questo obiettivo si tiene presente il principio di serendipità (serendipity), concetto introdotto nel XVIII da Horace Walpole, che designa la capacità o l’intuizione di fare per caso inattese e felici scoperte in campo scientifico, mentre si sta cercando altro. Applicato al servizio alla persona significa che, mentre sto operando secondo un approccio e una conoscenza acquisita, posso intuire la presenza di altri fattori e di altre dimensioni o avverto la necessità di porre accenti più forti su aspetti fino ad allora trascurati.

In questa prospettiva, la progettazione e la partecipazione a progetti europei che comporta, oltre la realizzazione di progetti specifici per utenti, anche la possibilità di inviare e ricevere operatori per periodi di confronto o di tirocinio è curata dall’apposito Ufficio Progetti.

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Un vestito per governare (la governance)

La priorità assoluta delle persone ospitate e della qualità del lavoro ci ha guidati, fin dall’inizio, nel cercare di strutturare gli aspetti organizzativi e impostare e gestire i fattori economici non a sé stanti, ma a servizio delle attività svolte, come elementi favorenti e non condizionanti l’operato, che rimane sempre il fulcro e la forza di gravità del tutto. È la persona in stato di bisogno con le sue relazioni primarie al centro e non l’organizzazione. Perciò, in tutte le riunioni decisionali è sempre compresente, oltre la Presidenza e la Direzione Generale, anche la Direzione Amministrazione e la Direzione del Personale.

La necessità di coniugare la sostenibilità e la qualità del lavoro, oltre che la professionalità, la motivazione e lo spirito di volontariato, ci ha orientati nell’affidare la gestione non più ad un’Associazione di Volontariato, ma ad una Fondazione che avesse come obiettivo la cura e il mantenimento della mission, delle relazioni con le Istituzioni del Pubblico e del Privato Sociale, la proprietà dei beni, la stipula delle convenzioni e di accordi con i Comuni, le AUSL e altri Enti, oltre che la responsabilità della Formazione.

Alla Fondazione compete la valutazione della coerenza dei progetti e delle iniziative intraprese con la mission; tutto questo per evitare che essa si appiattisca, come spesso succede, solo sull’aspetto economico-finanziario e sulla proprietà dei beni.

Fondazione, cooperativa, aree di lavoro

La Cooperativa Ceis-ARTE, a cui aderiscono tutti gli operatori, riceve dalla Fondazione il mandato operativo in quanto gestisce tutti i programmi riabilitativi e di recupero, sia residenziali che non, secondo una modalità partecipativa. Il rapporto tra Fondazione e Cooperativa, così pensato, si propone di evitare il rischio che, da Impresa sociale, il Ceis diventi semplicemente Impresa.

Proprio per coniugare governance e comunicazione, assicurare la lettura dei cambiamenti delle problematiche che gestiamo, cogliere le nuove emergenze che insorgono e rispondervi con offerte educative e riabilitative appropriate, è stata attribuita ai membri della cooperativa coordinatori di area (area dipendenze patologiche, area educativa per minori, area stranieri minori e adulti, area socioassistenziale e genitorialità, area psicologica e sanitaria per minori e adulti, area prevenzione, area scuola e centro studi) parte della funzione di promozione, cioè il rapporto con gli invianti e i committenti, e la funzione progettuale, cioè il cambiamento degli interventi in sintonia con il mutamento dei fenomeni e l’elaborazione di risposte adeguate all’insorgere delle nuove emergenze, compiti da assolvere in accordo con la Presidenza, la Direzione Generale, Amministrativa e del Personale.

Amministrazioni pubbliche: alleanze e controlli

La nascita della Fondazione Ceis e i suoi successivi sviluppi, corrisponde in pieno all’attuazione di uno dei principi base della Dottrina sociale della Chiesa, cioè del principio di sussidiarietà nella sua dimensione orizzontale, inteso come risposta autonoma dei cittadini per risolvere un problema di carattere generale particolarmente drammatico.

Mi piace, però, parlare di “sussidiarietà circolare” perché risponde meglio a come la Fondazione ha inteso e intende rapportarsi con il pubblico e rispecchia in maniera più corrispondente il mio pensiero.

L’aggettivo “circolare”, infatti, fa luce sull’ambiguità che si può annidare nel termine sussidiarietà, inteso da alcuni come una delega in toto al privato che, in tal caso, gestirebbe in autonomia, senza connessioni con il pubblico le proprie iniziative e, d’altra parte, sottolinea la pari dignità dei soggetti del privato sociale nella relazione con il pubblico, in ordine all’integrazione più che all’affidamento puro e semplice di un servizio.

L’aggettivo circolare attribuito al potere sussidiario esprime meglio, a proposito del lavoro nel sociale, che non conta tanto rivendicare primazie o priorità d’iniziativa, sia essa presa da cittadini o da amministrazioni pubbliche, conta invece il fatto che si alimenti una “necessaria integrazione” delle iniziative di ogni tipo, un loro reciproco aiutarsi. È credere all’idea di una relazione pubblico-privato di tipo “virtuoso” che non si basa su tensioni e sospetti, su volontà elitarie di potere e di centralità assoluta, ma di attivazione di partecipazioni larghe, focalizzate sulle risposte da offrire a tutte le forme di fragilità…

L’esordio della comunità semiresidenziale, denominata Gen Z, aperta dal Ceis in data 1.12.2022, dedicata a minori “isolati sociali” o affetti da disagio psicologico, psichico e relazionale non risolvibile con un semplice percorso terapeutico individuale, è un esempio di questo approccio. Di fronte ad un’emergenza di recente insorgenza, aggravata dalle restrizioni Covid, l’interrogativo sulle possibili soluzioni da realizzare è stato sollevato dal Direttore del DSM (Dipartimento Salute Mentale) che ha coinvolto il Ceis, riconoscendone le competenze e richiedendone la realizzazione. La progettazione è stata costruita insieme attraverso un confronto e una prassi condivisa.

Le fonti valoriali

La Fondazione investe con costante impegno energie volte a costruire contesti relazionali favorenti la crescita, lo sviluppo e la maturazione della persona unitamente al suo ben-essere.

Perciò si sente particolarmente interpellata a collaborare per contrastare e modificare alcune tendenze che impoveriscono e rischiano di svuotare l’umano, dissolvere le reti amicali e sociali oltre che indebolire il riconoscimento delle competenze e dei ruoli, la valorizzazione e il rispetto delle Istituzioni, atteggiamenti molto presenti nella nostra società in questi inizi del millennio.

A fondamento del suo operato, lo statuto del Ceis fa esplicito riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa, laddove si legge:  «La Fondazione Ceis opera nel disagio, in particolare giovanile, da qualunque motivo originato, traendo ispirazione dal messaggio cristiano e dall’intervento nel sociale della Chiesa».

La Dottrina sociale della Chiesa (DSC) ha elaborato sei irrinunciabili principi come guida di quest’azione: il principio personalista, il bene comune, la destinazione universale dei beni, la sussidiarietà, la partecipazione e la solidarietà. Papa Francesco li ha rivisitati introducendo il concetto di fratellanza e amicizia sociale. Essi sono tutti inestricabilmente e coerentemente collegati.

È stato citato sopra il principio di sussidiarietà, declinato come sussidiarietà circolare, che deriva ed è connesso con un altro principio fondativo e imprescindibile della Dottrina sociale della Chiesa: la centralità della persona, costrutto base che performa l’azione del Ceis in tutti gli ambiti di impegno. Il concetto viene così definito dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes: «Dal carattere sociale dell’uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, la persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno di una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali» (GS 25).

L’uomo-persona è il soggetto e il centro della società, la quale con le sue strutture, organizzazioni e funzioni ha come scopo la creazione e il continuo adeguamento di condizioni economiche e culturali che permettano al maggior numero possibile di persone lo sviluppo delle loro capacità e il soddisfacimento delle loro legittime esigenze di perfezione e felicità.

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La Dottrina sociale attraversa la modernità

È da rammentare che, alla costituzione della Dottrina sociale della Chiesa, l’unica elaborazione sociologica che ha attraversato la modernità e agevola e accompagna validamente nella lettura della post-modernità, hanno contribuito da protagonisti il fondatore dei dehoniani, padre Leone Dehon, insieme, tra gli altri, a Giuseppe Toniolo, in dialogo costruttivo anche con il pensiero di stampo marxista che ha in Gramsci un intellettuale di tutto rispetto.

La presenza del Ceis nell’ambito ecclesiale, pur non essendo una realtà confessionale, è stata e continuerà ad essere possibile e feconda proprio grazie a questi riferimenti, chiave di lettura dei fenomeni sociali e orientamenti coerenti nell’attuazione di tutti gli interventi volti superare le fragilità.

Il mondo cattolico di partenza esprimeva in quegli anni un grande fermento e una grande creatività, supportata non solo dalla DSC, ma anche dalla centralità della lettura della Parola, personalmente e comunitariamente meditata e ascoltata, che ha generato un’attenzione specifica alle povertà, a imitazione di Cristo povero che è venuto perché nessuno vada perduto.

L’esigenza non era di proclamare delle verità astratte per contrastare la secolarizzazione, ma realizzare delle esperienze che evidenziassero come la fondamentale verità, rivelata e operante da e in Gesù, che Dio è Padre di tutti e di ognuno, a cominciare dagli ammalati, dagli smarriti, e perfino dagli ingiusti era capace di rigenerare le persone a cui si arrecava aiuto.

Comunità religiosa e statu nascenti

Non è casuale, allora, che la nascita del Ceis sia stata promossa da un appartenente alla comunità di Modena, su suo mandato. Fondata dall’attuale Presidente della Fondazione insieme a dei confratelli non ancora sacerdoti come esperienza di formazione alternativa a quella seminaristica e come proposta di rinnovamento della vita religiosa, la comunità aveva, infatti tra i propri presupposti e le proprie finalità la sfida di vivere una vita comunitaria fraterna e sobria, illuminata dalla relazione con Cristo, attraverso l’ascolto meditato e condiviso della sua parola, attitudine che suscitava, alimentava e sosteneva una sensibilità intensa e convinta a lasciarsi interpellare dalle fragilità e dalle povertà che via via si presentavano, e la predisposizione spirituale, affettiva e mentale a concretizzare risposte possibili.

Proprio per aver avvertito la forte propensione della comunità dehoniana ad essere ascoltati e accolti insieme alla disponibilità di collaborare, alcuni genitori di ragazzi tossicodipendenti avanzarono la richiesta di progettare ed elaborare insieme per rispondere efficacemente al loro specifico problema.

A partire dall’evento iniziale, dallo statu nascenti, costituito dall’ascolto, dal coinvolgimento e dalla condivisione di una profonda sofferenza poco gestibile, si sono concretizzate le altre risposte al disagio, realizzate via via dalla Fondazione, man mano che si presentavano.

C’entra il Vangelo

In esso è radicato l’impianto valoriale del Ceis da cui discende in maniera coerente un approccio educativo, riabilitativo, terapeutico e assistenziale che considera le fragilità non semplicemente come “problema”, ma come una risorsa, ossia come “ragione” e “motore” di un particolare impegno e di una specifica immaginazione e azione sociale.

La fragilità umana è una delle grandi aree dell’esperienza personale e sociale da cui, come singoli e come cittadini, responsabili della società civile nella quale viviamo, siamo chiamati in causa. È una dimensione che ci attraversa tutti e che può irrompere in modo intenso e sconvolgente nella nostra esistenza in momenti particolarmente destabilizzanti. Ci costituisce come esseri relazionali: soltanto chi è fragile desidera e sperimenta l’amore dell’altro per sé e scopre la gioia di avere valore.

Le fragilità, inoltre, rappresentano un punto di osservazione privilegiato per leggere, analizzare e prospettare soluzioni circa la situazione esistenziale dell’uomo e contengono interrogativi riguardo alla sensatezza degli stili di vita e dei percorsi educativi offerti dalle diverse agenzie educative.

Sottesa a questa visione è la concezione antropologica biblica dove il povero, l’oppresso, il bisognoso, il carcerato, lo straniero, lo smarrito, e perfino il peccatore, sono oggetto privilegiato dell’amore misericordioso del Padre, una concezione non esclusiva, ma che fa emergere, più di altri approcci, una dimensione che si fa fatica a riconoscere, pur costatando che la relazionalità propria dell’essere umano, la sua identità dialogica, non può formarsi e maturare senza incontrare la propria e l’altrui fragilità.

E anche la democrazia

Non per niente l’ascolto, inteso come attitudine ad affinare la propria sensibilità per accogliere il mondo dell’altro mettendo tra parentesi i propri vissuti e i propri punti di vista, l’empatia come atteggiamento che assicura la risonanza affettiva, indispensabile ad ogni comunicazione autentica, soprattutto se vuole essere guarente, il coinvolgimento nella situazione di disagio o di sofferenza delle persone incontrate, la condivisione esperita come la possibilità di comunicare i propri vissuti e di confrontarsi con altri adulti sulle proprie modalità aiutanti, l’assunzione in prima persona della responsabilità necessaria per modificare il proprio stile di vita e contribuire al benessere comune, sono gli atteggiamenti/valori che vengono declinati nella trama relazionale propria dei contesti comunitari e di gruppo che il Ceis realizza.

Essi, peraltro, sono anche il fondamento dei valori sociali, dei beni pubblici come la pace, il diritto dei deboli, la libertà, la giustizia, il benessere inteso come qualità della vita, irrinunciabili ingredienti di una perdurante vita democratica.

Costituiscono l’identità dell’Europa e hanno valore universale. Possono essere fondamento delle identità dei singoli e possono essere declinati secondo le specificità delle culture. Ma hanno bisogno di uomini e donne che li pratichino e li custodiscano, disponibili a pagare il prezzo che comportano: il riferimento all’altro, l’accoglienza della diversità e la generosità, perché «Solo la costruzione dei legami, rendersi conto che siamo sulla stessa barca, garantisce i diritti umani soggettivi» (Edgar Morin).

Politica: l’arte di includere

La Fondazione Ceis connessa al Sistema dei Servizi, si propone, unitamente ad essi, di fungere da ponte tra le fasce svantaggiate e la società, tra società e marginalità per promuovere l’inclusione. Questo compito può essere assolto dai diversi soggetti del Sistema con funzioni e ruoli diversi in relazione alle caratteristiche delle specifiche mission e delle diversità organizzative-gestionali. Tale approccio dovrebbe mantenere e migliorare la relazione individuo-istituzioni, individuo e società.

Il prendersi cura, infatti, non può che tendere all’attivazione di tutte le risorse presenti nella società e richiede, oltre alla consapevolezza dell’insufficienza di un percorso riabilitativo o di un servizio, la preoccupazione di intessere una rete di opportunità aiutanti in cui vengano coinvolti il territorio, le sue agenzie, le istituzioni e le associazioni attraverso anche la partecipazione ampia di figure non professionali. I gruppi di auto-mutuo aiuto e la promozione del volontariato ne sono un esempio.

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In un contesto sociale dove la progressiva frammentazione delle esperienze di vita e la segmentazione dei rapporti sociali producono una vera e propria emergenza relazionale che provoca disorientamento e instabilità anche nella cosiddetta normalità, diventa urgente promuovere riferimenti solidali e sentirsi responsabili della qualità della vita civile.

Le emergenze accompagneranno sempre le società, come i limiti, le incoerenze e le fragilità fanno parte del corso della nostra esistenza. La pazienza e l’attesa sono qualità indispensabili per una vita veramente democratica. Sono dimensioni proprie della prassi non violenta, l’unica che ha dimostrato di dare risultati nei tempi lunghi.

La stabilità e la sicurezza della convivenza civile, infatti, non consistono nell’eliminazione dei problemi che la affliggono, obiettivo impossibile da raggiungere, ma nella capacità di reagire e di inventare risposte adeguate superando l’indifferenza e la delega e accettando il pluralismo dei punti di vista. La qualità della vita civile dipende dall’impegno e dalla creatività degli attori che la compongono nel farsi carico delle urgenze e nell’individuare, in modo dialettico, risposte adeguate.

La funzione che, chi opera nel sociale svolge, è, allora, esercitare verso la politica un’azione non ideologica, consistente nel fornire una lettura adeguata delle problematiche che affronta e pretendere una risposta consonante e una normativa che ne permetta il superamento. Attraverso la conoscenza diretta dei fenomeni ricopre il compito specifico di dissolvere le paure, i fantasmi, le percezioni manipolate che ogni volta accompagnano un problema nuovo e promuovere modi di pensare adeguati e atteggiamenti costruttivi con una narrazione reale non distorta ad arte, come purtroppo succede anche solo per accrescere il consenso.

In passato molto impropriamente si è paragonata l’AIDS alla lebbra o alla peste, ben differenti dal punto di vista epidemiologico, ma molto simili, purtroppo, negli atteggiamenti di condanna, vergogna, esclusione, isolamento o estraneità che ne sono scaturiti. Analogo esempio può essere fatto, oggi, circa la percezione del problema dell’immigrazione narrato come “invasione” di “immigrati economici”, propensi alla delinquenza.

La solidarietà poggia su una lettura appropriata delle problematiche che si esprime in un impegno concreto a salvaguardia e promozione del rispetto degli altri, e non solo di sé stessi.

Comporta un atteggiamento militante, socialmente orientato. Solo così si impara che non esistono soluzioni immediate, che non sono praticabili scorciatoie, che la repressione o l’esclusione non pagano, che estendere il controllo in tutti gli aspetti del vivere non è possibile, ma che è molto più costruttivo immaginare soluzioni che costituiscono, anche per chi si impegna, un antidoto a un’esistenza pesantemente condizionata dall’obbligo crescente di essere “prestazionali”, in sé dimensione relazionale irrinunciabile per l’essere umano, ma situazione esistenziale all’origine di tante forme di disagio sociale, psicologico, psichico e spirituale.

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