A scuola di libertà

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«Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore anche la serietà». Queste parole del presidente Sergio Mattarella – pronunciate a Sassari, conversando con alcuni partecipanti alle celebrazioni in onore di Cossiga – sono state ampiamente riportate e commentate, nei giorni scorsi, da tutti i quotidiani.

Dove era chiaro il riferimento ad un’affermazione del premier britannico Boris Johnson il quale, alla Camera dei Comuni – rispondendo ad un deputato dell’opposizione che chiedeva come mai la pandemia facesse meno vittime in Germania e in Italia che nel Regno Unito –, aveva risposto: «C’è un’importante differenza tra il nostro paese e gli altri del mondo, cioè che il nostro paese ama la libertà». Perciò, aveva concluso, «è davvero difficile chiedere alla popolazione britannica di obbedire uniformemente alle linee guida nel modo necessario».

Quale libertà?

Non bisogna perdere di vista il contesto in cui Johnson parlava: nel Regno Unito la pandemia ha determinato, su una popolazione di 67 milioni di abitanti, quasi 420.000 contagi e più di 42.000 morti, a fronte dei 304.000 contagi e 35.000 morti – su 60 milioni di abitanti – dell’Italia. Con un trend negativo che lascia prevedere un’ulteriore accentuazione del divario, dato che in Inghilterra i contagi giornalieri sono migliaia (il solo 24 settembre, 6.634, con 40 decessi), mentre in Italia non raggiungono ancora i 2.000 (nello stesso giorno 1.786, con 23 decessi).

Non a caso recentemente il prestigioso «Financial Times» ha elogiato l’Italia per le modalità in cui ha gestito l’emergenza Covid. Uno schiaffo per il governo inglese e per tutti quelli che avevano deriso le severe misure adottate nel nostro paese – il primo in Occidente ad essere aggredito dal coronavirus, e in modo brutale –, sostenendo che, per far fronte efficacemente alla pandemia, esistevano altre strategie meno restrittive delle libertà individuali.

Si comprende dunque il tono della risposta di Johnson a una domanda che esplicitamente stabiliva il confronto tra Regno Unito e Italia. Con la risposta, pacata ma ferma, di Mattarella. Ma, al di là dell’episodio polemico, in fondo abbastanza irrilevante, quello che sembra meritevole di approfondimento è il diverso modo di intendere la libertà che sembra emergere dalla posizione del premer inglese e di quella del nostro presidente della Repubblica, in cui si evocava il rapporto di questo concetto con la «serietà».

Serietà e responsabilità

Per comprendere il senso che Mattarella dava a questo termine, può essere rileggere ciò che egli ha detto il 31 luglio scorso, in occasione della cerimonia del Ventaglio: «Talvolta» – aveva detto il capo dello Stato in quell’occasione – «viene evocato il tema della violazione delle regole di cautela sanitaria come espressione di libertà. Non vi sono valori che si collochino al centro della democrazia come la libertà. Naturalmente occorre tener conto anche del dovere di equilibrio con il valore della vita, evitando di confondere la libertà con il diritto far ammalare altri».

Dove è chiaro il nesso tra la «serietà» evocata nella risposta a Johnson e la responsabilità che ogni persona deve avere nei confronti degli altri. Un nesso che in realtà sfugge anche a molti nostri concittadini e spiega le accuse rivolte al governo italiano per avere limitato notevolmente i diritti nella fase del lockdown e per le restrizioni che continua a imporre adesso.

Il punto è che il modo di intendere la libertà attribuito da Mattarella al popolo italiano, da tempo è ormai surclassato, anche in Italia – come del resto in tutto il mondo occidentale –, da quello di matrice liberale che, in piena conformità con la tradizione del suo paese, è stato utilizzato dal premier inglese.

Diritti senza doveri e crisi delle comunità

Sono stati i filosofi inglesi del Seicento, infatti, a codificare un concetto di libertà consistente non tanto e non più, come nel pensiero medievale, come libertà di scelta, bensì come «mancanza di impedimenti esterni». Dove, evidentemente, la libertà viene dislocata dalla sfera interiore della persona – quella in cui si fanno le scelte – a quella esteriore, diventando sinonimo di autonomia da vincoli esterni.

Ovviamente dei vincoli, nella vita sociale, ci sono e non vengono negati. Ma si è liberi, in questa prospettiva, nella misura in cui si è esonerati da essi e si può fare quello che si vuole senza doverne rispondere a nessuno. In questo modo libertà e legge, libertà e legami relazionali, coesistono, ma sono inversamente proporzionali. Si è tanto più liberi quanto meno ci si deve confrontare con i limiti posti dalle istituzioni e dagli altri. Lo spazio dell’individuo si amplia se si restringe quello della comunità, e viceversa.

È in nome di questo concetto di libertà, ampiamente diffuso ormai in tutte le società occidentali, che i diritti individuali sono stati enfatizzati fino a mettere in ombra i doveri e a relegare in secondo piano il ruolo delle relazioni comunitarie. La crisi profonda di queste ultime – dalla famiglia, alla società civile, a quella politica, alla stessa Chiesa – è sotto i nostri occhi. Si continua, naturalmente, ad aver bisogno dei rapporti umani, ma essi vengono sempre più spesso cercati sulla rete e nei social, dove si può essere «amici», o comunque comunicare, senza impegnare la propria identità e senza creare veri legami.

Un problema preesistente

È chiaro perché in quest’ordine di idee possa apparire una evidente violazione della libertà individuale ogni limitazione imposta in nome del bene comune. Non abbiamo avuto bisogno di attendere il coronavirus per sperimentare l’insofferenza verso ogni forma di solidarietà verso i più poveri e più deboli, in nome di una “prima noi” che rifletteva, più in profondità, un «prima io». La pandemia è venuta a evidenziare un problema che in realtà è culturale, prima che politico, e che sta facendo avvertire il suo peso in tutto l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, dove, in nome della libertà e dei diritti, le proteste contro il lockdown – là dove si è tentato, sporadicamente, di introdurlo –. Sono state violentissime.

Ma veramente la libertà è «mancanza di impedimenti esterni»? Dicevo che, nella originaria tradizione occidentale, essa era stata piuttosto collegata al «libero arbitrio» e, come suo naturale sviluppo, alla capacità di usarlo rettamente aderendo al bene.

Basta guardarci intorno per renderci conto che una libertà ridotta ad autonomia nel fare quello che si vuole – nell’ambito in cui ciò è possibile – è solo parziale. Vediamo oggi la maggior parte delle persone, nella società consumistica, abbracciare volontariamente certi stili di vita solo perché le mode impongono loro precisi modelli, a cui essi aderiscono più o meno consciamente, senza mai chiedersi se, oltre a poter «fare» ciò che vogliono, sono anche in grado di «scegliere» che cosa volere. L’uniformità agghiacciante dei comportamenti di massa dimostra abbondantemente quanto poco la volontà dei singoli rifletta una scelta veramente personale.

La libertà di accettare dei vincoli

Solo quando l’autonomia è guidata da una scelta consapevole essa è libera. Ma, in questo caso, essa non è rivendicata come un tesoro geloso da difendere nei confronti dei vincoli esterni, perché questi possono al contrario essere voluti liberamente in funzione del fine individuale e/o collettivo che la persona si propone.

Si può, allora, considerare più libero chi è capace di accettare dei vincoli, per una scelta motivata, che non colui che assolutizza la propria autonomia per fare quello che vuole, senza però davvero averlo scelto. Un ragazzo o una ragazza che hanno preferito rinunciare ad andare in discoteca o alla movida, per senso di responsabilità verso nonni anziani che avrebbero potuto poi essere contagiati, sono stati in realtà più liberi dai tanti che, seguendo le mode, hanno ritenuto «sacro» il diritto di fare quello che tutti fanno.

Questa è la «serietà» di cui ha parlato Mattarella. Che non è il contrario della libertà, ma la sua dimensione più specificamente umana (anche gli animali non umani possono essere «lasciati liberi» di «fare quello che vogliono», se vengono sciolti dal guinzaglio; solo l’essere umano decide se, quando e come approfittare di questa possibilità).

Possiamo rallegraci che di fatto molti italiani abbiano accettato questa logica – quanto consapevolmente è difficile dirlo e varia nei singoli casi. Quel che è certo è che l’idea dominante di libertà, di matrice liberale, favorisce, purtroppo, chi, passata la paura iniziale, tende a snobbare le misure di sicurezza, in un momento in cui la seconda ondata del coronavirus, quella autunnale, comincia a farsi sentire anche in Italia. Senza rendersi conto che in questo modo rischia di «confondere la libertà con il diritto far ammalare altri».

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