Cattolicesimo e coesistenza umana

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coesistenza

Spesso ho qui scritto: in questo mondo, vogliamo vivere insieme tra credenti e non credenti, tra persone di fedi diverse, o – da occidentali prioritariamente – vogliamo imporre agli altri come vivere? E, sebbene con le migliori intenzioni vogliamo vivere insieme agli altri, è davvero possibile? La mia posizione è nota: non solo è possibile, ma è necessario. Ora.

Trovo che ci siano almeno tre pagine molto importanti nella recente storia che aiutano a prendere questa strada, a provarci. Sono: il colloquio tra il cardinale Joseph Ratzinger e il professor Jürgen Habermas, quello tra papa Benedetto XVI e il professor Hans Küng, la pubblicazione dell’esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii gaudium.

Oggi recupero qui, succintamente, alcuni tratti caratteristici delle tre, sostenendo che, dopo due occasioni sprecate, non si debba sciupare anche la terza. Una nuova pagina si può sempre aprire, se a guidare verso il futuro è il senso del pluralismo umano nella percezione autentica della fede e delle fedi.

Ratzinger e Habermas

Vediamo, dapprima, il “carteggio” tra Ratzinger e Habermas. Questi era partito da un’evidenza relativa al centro dello Stato liberale, che Giancarlo Bosetti aveva così riassunto, brillantemente: «lo Stato liberale si nutre di premesse normative che esso da solo non può garantire (perché se predicasse qualche forma di etica non sarebbe più liberale). È dunque possibile che la religione possa fornire ancora riserve di moralità. Questo supporto supplementare al progresso civile e giuridico era già stato del resto codificato da John Rawls nell’opera della sua maturità, Liberalismo politico, quando si era reso conto che non poteva escludere dalla storia e dalla teoria della giustizia l’esperienza delle mobilitazioni religiose che avevano consentito l’affermazione dei diritti civili».

Da parte sua, il cardinale Ratzinger, dunque ben prima della elezione a pontefice, aveva accolto la reciproca limitazione tra fede e ragione, onde tenere a bada il fondamentalismo religioso, da una parte, quello tecnico-scientifico, dall’altra.

Quindi identificava la necessità di una prospettiva interculturale e – come sempre esplicitato da Bosetti – «riconosceva come sia il cristianesimo sia la razionalità occidentale non potessero pretendere di rappresentare un’assoluta universalità, e come essi fossero il prodotto di un contesto storico determinato. Ragione per cui occorreva dialogare con altri contesti, musulmano, buddista, induista, tutti attraversati da tendenze devianti e radicali, ma anche da controtendenze aperte alla razionalità e alla tolleranza».

Non siamo, in questi termini, per quanto semplificati, già alla ricerca di un’etica comune, ovvero di un’etica globale? Non si stava già compiendo uno sforzo da due prospettive diverse? Mi appare piuttosto evidente che il cardinale che avrebbe poi condannato senza attenuanti il relativismo nella sua famosa omelia pro eligendo Pontifice di qualche anno successiva, distinguesse chiaramente il relativismo dal pluralismo.

Benedetto XVI e Küng

Passo alla seconda pagina: quella del, purtroppo, dimenticato incontro di papa Benedetto XVI con il professor Hans Küng, a Castel Gandolfo, a inizio pontificato.

Küng ne ha parlato in modo diffuso nel suo libro Davanti al papa, edito da Rizzoli. La storia del complesso e profondo rapporto tra i due è abbastanza nota, dai tempi in cui furono insieme protagonisti al Concilio Vaticano II, agli anni di Tubinga, a quelli della contestazione e poi della separazione culminata nella sospensione dall’insegnamento teologico del professor Küng, per disposizione di papa Giovanni Paolo II. Küng, così, divenne l’espressione di un’altra teologia rispetto a quella di Ratzinger, quanto meno del Ratzinger degli anni in cui guidò la Congregazione per la dottrina della fede.

Sta di fatto che – appena divenuto papa – lo stesso Ratzinger accordò un’udienza al suo vecchio collega-avversario: lo ricevette, come nel suo stile, con amicizia e cordialità. Senza soffermarci qui sui dettagli di quel colloquio – pur importanti e riportati nel libro di Küng – vado subito al punto: quel colloquio si concluse con la pubblicazione di un comunicato ufficiale, che i due teologi concordarono in ogni dettaglio e che fu ufficialmente divulgato dalla sala stampa della Santa Sede il 25 settembre 2005. Eccone, di seguito, il passaggio, a mio avviso, decisivo.

Con la scelta di non discutere di questioni dottrinali persistenti – bensì di etica mondiale e di dialogo della ragione delle scienze naturali con la ragione della fede cristiana – si affermava per iscritto: «Il Papa ha apprezzato lo sforzo del professor Hans Küng di contribuire ad un rinnovato riconoscimento degli essenziali valori morali dell’umanità attraverso il dialogo delle religioni e nell’incontro con la ragione secolare. Ha sottolineato che l’impegno per una rinnovata consapevolezza dei valori che sostengono la vita umana è pure un obiettivo importante del suo Pontificato. Nel contempo, il papa ha riaffermato il suo accordo circa il tentativo del professor Hans Küng di riavviare il dialogo tra fede e scienze naturali e di far valere, nei confronti del pensiero scientifico, la ragionevolezza e la necessità della Gottesfrage (la questione circa Dio)».

A pagina 265 del suo volume, Küng aggiunse: «Ovviamente tutto ciò dipende meno dalle parole e dai gesti e più dai fatti. E potrebbe non essere facile per il papa ottenerli dalla riluttante corte curiale. Sebbene in teoria goda della piena potestà giurisdizionale».

A me sembra, dunque, che Küng abbia incontrato, a Castel Gandolfo, quel Benedetto che, nel discorso che avrebbe pronunciato all’università La Sapienza di Roma, scriveva: «il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una comprehensive religious doctrine nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi».

Ci sono pure pagine discordanti nel pontificato ratzingeriano – ed è bene che gli esperti le mettano in evidenza – ma non capisco perché pagine come questa vengano regolarmente espunte, quasi fossero apocrife.

Evangelii gaudium

Ecco la terza pagina: Evangelii gaudium, ove Francesco – dopo aver illustrato la «tensione polare» tanto cara a Romano Guardini – scrive al numero 234 (il primo del capitolo intitolato Il tutto è superiore alla parte): «Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati; l’altro, che diventino un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini».

Non sono parole equivocabili: appartengono decisamente allo sforzo del vivere insieme. Al punto 257, entrando nel merito dei rapporti tra credenti e non credenti, aggiunge: «Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei cosiddetti nuovi areopaghi, come il Cortile dei Gentili, dove credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza. Anche questa è una via di pace per il nostro mondo ferito».

Dal primo momento in cui ho letto questo passo, mi ha sempre colpito il vocabolo «alleati»: è di una forza che mi incanta per apertura, un fatto forse inedito in un documento ufficiale così importante. Tale da imporre ai “laici” – come me – altrettanta apertura. Ho pensato: se ciò è stato possibile ad un papa, allora il vivere insieme diventa possibile al mondo intero!

Mi appare questo il miglior approdo del veloce percorso attraverso le tre pagine. La mia valutazione sulla seconda – sul “caso Küng” – è che la possibile apertura di Benedetto XVI sia stata poi frenata dalle forze ostili ad ogni apertura, tuttora operanti.

Nel pontificato di Francesco appare manifestamente – e con un coraggio che non potrà mai più essere frenato – l’opportunità epocale di superare tante incomprensioni del passato, per convergere, senza indugio, nella comune cittadinanza umana dei diversi.

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5 Commenti

  1. Tobia 6 febbraio 2023
  2. Marco Ansalone 3 febbraio 2023
    • Gian Piero 6 febbraio 2023
      • Anima errante 6 febbraio 2023
        • Marco Ansalone 6 febbraio 2023

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