Dopo il “caso Bibbiano”

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L’indagine sui minori di Bibbiano (Reggio Emilia) ha sollevato grande attenzione nell’opinione pubblica, trainata anche da interessi partitici che poco hanno a che vedere con la cura dei bambini.

Non entro nella questione giuridica, né nelle possibili ambiguità, insufficienze o colpe che emergeranno dal processo. Mi rendo conto, lavorando a contatto con il disagio dei minori, delle risonanze profonde che le violenze sui bambini hanno nel sentire di ogni persona, in particolare quando provengono da chi ne dovrebbe avere cura. Le condivido, come credo tutti quelli e quelle che affrontano per professione il disagio sociale.

Mi sembra urgente indicare anche la strumentalizzazione mediatica e politica dell’informazione che, a partire dall’indagine su Bibbiano, sta creando un clima di sfiducia verso le istituzioni preposte alla tutela dei minori (Tribunale dei minori, servizi sociali e sanitari, sistema dell’accoglienza), che sono il vero interesse che sta a cuore a tutti noi. Il pericolo è quello di colpevolizzare tutti i professionisti e i volontari, bloccarne le decisioni e abbandonare i minori a condizioni di violenza.

Ricordo che le segnalazioni su presunti abusi, maltrattamenti o inadeguatezze genitoriali partono dalla scuola o da privati cittadini e, attraverso i servizi sociali, raggiungono il Tribunale dei minori che apre un fascicolo sul caso.

Non è accettabile chiudere gli occhi e fingere di non vedere l’odierna crisi dell’infanzia e dell’adolescenza. Se non vogliamo dar retta alle statistiche dell’AUSL (ricerca regione Emilia-Romagna dott. Limonta progetto 0-25), basta fare un giro nelle periferie delle nostre città più socialmente degradate, per vedere i sintomi del disagio che i nostri ragazzi stanno manifestando.

Importante poi precisare come lavora il Tribunale dei minori, che procede sempre in modo collegiale. Il collegio giudicante normalmente è composto da due giudici togati e da due giudici onorari (esperti di materie umane) e la decisione è presa collegialmente sentito il parere di tutti componenti.

C’è stato nel recente passato un vivace dibattito se affidare la decisione ad un solo giudice o a un collegio. Se questa seconda modalità può ammettere l’errore, basandosi su valutazioni ipotetiche, garantisce tuttavia che su minori che vivano il loro disagio in famiglia, manifestato con segnali ben visibili, si possa comunque intervenire in tempi brevi piuttosto che congelare la situazione in mancanza di prove schiaccianti (possibilità proposta da chi sostiene il giudice unico monocratico). Curare cioè la situazione prima delle conseguenze estreme sui bambini.

È importante chiarire che non si allontanano i minori da una famiglia solo per problematiche economiche; infatti, i servizi sociali hanno altri strumenti per sostenere i nuclei con problemi economici.

Inoltre, i servizi sociali hanno molti altri strumenti a disposizione per vigilare sulla tutela del minore (osservazione in famiglia, gruppi socio-educativi, comunità semi-residenziali ecc…) prima di procedere con l’allontanamento che, di norma, il Tribunale dei minori decreta solo dopo una serie di altri decreti provvisori, pronunciati in precedenza.

I minori realmente allontanati, sul totale dei minori che i servizi sociali hanno in carico, sono una percentuale molto bassa. Per chi lavora in questo campo, comunità di accoglienza in primis, l’allontanamento di un minore (affidamento residenziale o inserimento in comunità), tanto più se parliamo di un bambino, non si fa mai a cuor leggero, ma è sempre una decisione sofferta, che dev’essere sempre temporanea (massimo due anni, cf. DGR Emilia-Romagna 1904/2011), con il preciso scopo di fare di tutto per recuperare le competenze genitoriali che mancano alla famiglia per far crescere il proprio figlio in modo che sia una risorsa per la società futura.

Constato che, dopo le vicende di Bibbiano, le assistenti sociali si sentono sotto accusa e riducono al minimo le decisioni che loro competono. Nelle comunità di accoglienza le comunicazioni con i servizi sociali sono diventate difficili e formali. Nessuno si espone in decisioni. Calano le richieste di ingresso dai servizi e cresce il disagio degli stessi ragazzi in accoglienza, confusi e destabilizzati per il clima di sospetto che respirano.

Occorre vigilare perché la polemica politica e i media non strumentalizzino il dolore dei più piccoli.

Condivido la domanda di rigore nel punire singoli illeciti e abusi (che ritengo più frutto di valutazioni sbagliate che di malafede), ma mi sembra opportuno difendere un sistema di welfare a favore dei minori, che resta un modello per tanti stati del mondo. Senza infangare ingiustamente coloro che, sia nel pubblico sia nel privato sociale, esercitano con serietà la loro professione.

Sono consapevole che, come gestore di comunità per minori e comunità familiari, la mia posizione possa essere indicata come interessata e sospettata di un ritorno economico. In realtà, la vittoria più bella per me e per chi fa il nostro mestiere è quella di lavorare per non esistere più, di vedere crescere bambini e ragazzi nella loro famiglia naturale.

Per perseguire il mondo migliore possibile occorre crescere nella fiducia reciproca e nel rispetto tra tutti i ruoli di chi concorre alla tutela dei minori: genitori, scuola e altre agenzie educative, servizi sociali e sanitari, Tribunale e procura dei minori, comunità minori, case famiglia e famiglie affidatarie, consapevoli che ognuno è chiamato a fare la sua parte per il bene delle nuove generazioni.

Occorre inoltre che la politica sostenga la famiglia come primo nucleo della società, da tutelare e da rinforzare, specialmente in tutte quelle situazioni di precarietà e di fragilità dove la capacità genitoriale è compromessa e i figli rischiano di crescere in ambienti non educanti. E tutto questo per facilitare le famiglie in maggiore difficoltà a domandare aiuto alle istituzioni senza la paura di essere giudicate o, addirittura, di essere private dei figli.

Giovanni Mengoli, dehoniano, è presidente del Consorzio Gruppo CeIS e Coordinatore della Rete tematica “minori” della Federazione italiana comunità terapeutiche (FICT).

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