Dove va l’Austria?

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Sono due i fatti che caratterizzano la politica interna austriaca in questo periodo: da un lato, le elezioni presidenziali, con la vittoria al primo turno, e in attesa del ballottaggio al secondo, del candidato del partito di destra (FPÖ) Hofer; dall’altro, le dimissioni del capo del governo austriaco Faymann, che guidava una coalizione dei due partiti popolari storici (SPÖ e ÖVP).

Per aiutare il lettore italiano a comprendere il quadro in cui si inseriscono questi due eventi mi rifaccio a un articolo apparso su La Repubblica (7 maggio 2016). Qui si fa cenno al fatto che i comuni italiani sono giunti al limite delle loro capacità di accoglienza dei profughi. Se ora facciamo una comparazione con il numero di persone accolte, ci si accorge, tenendo conto del numero di abitanti di ciascuno dei due paesi, che in Austria il volume è 10 volte maggiore di quello italiano (più di 90.000 persone). Tra queste, decine di migliaia provengono dalla Romania e dalla Bulgaria in cerca di lavoro. In altre parole: una larga maggioranza della popolazione e dei politici a livello comunale in Austria (anche quelli chiaramente opposti alle posizioni della destra) sono convinti che il paese non sia in grado di sopportare ulteriormente i numeri del 2015 – perché il costo sarebbe quello di un’implosione delle strutture statali così come esse sono state fino a oggi.

Su questo sfondo possiamo trovare quattro motivi che spiegano il successo elettorale di Hofer e le dimissioni del social-democratico Faymann da capo del governo, che ha dovuto tirare le conseguenze dalla débâcle dei candidati del suo partito in sede di varie tornate elettorali – sia a livello locale sia a quello nazionale.

Questi quattro snodi sono rappresentati dalla ondata dei profughi; dall’atteggiamento cinico della Germania e della Commissione Europea, ma anche dal distacco dalla realtà da parte dell’élite politica e intellettuale; e, infine, dalla mancanza di visione politica per ciò che concerne una società aperta e accogliente.

I profughi

Negli ultimi sei/sette anni il numero delle persone che sono immigrate verso l’Austria si attesta intorno al mezzo milione. Questo ha provocato anche un aumento notevole del tasso di disoccupazione, che nel paese è sempre stato tradizionalmente molto basso.

A seguito della crisi dei profughi, nel solo 2015 più di 90.000 persone hanno chiesto asilo in Austria. Nel 2016 già più di 20.000 persone hanno fatto altrettanto.

Per inquadrare correttamente questi numeri relativi, bisogna tenere conto che la popolazione austriaca complessiva risulta essere di poco superiore agli otto milioni di abitanti. Se ora facciamo un confronto proporzionale con l’Italia (tenendo conto del rapporto tra il numero degli abitanti nei due paesi), allora è come se l’Italia dovesse accogliere in un solo anno all’incirca 750.000 persone. Accanto a questo, dobbiamo ricordare che la Germania continua a far entrare profughi siriani (che in generale hanno un livello medio-alto di formazione e scolarizzazione), ma rimanda indietro sistematicamente verso l’Austria quelli che provengono dall’Afghanistan, dal Pakistan, come anche i profughi provenienti dalle regioni nord-africane.

Davanti a questo stato delle cose, si diffonde a macchia d’olio nella popolazione austriaca la convinzione che le strutture statali attuali non siano in grado di sopportare un flusso migratorio di questo tipo. A questo si aggiunge il fatto che, nel momento di massima dell’ondata migratoria, il governo ha dato l’impressione alla popolazione di non essere più in grado di controllare il territorio statale.

L’analisi, che è stata avanzata anche in qualche contributo su Settimananews, dove si afferma che la popolazione austriaca vota per l’FPÖ, ossia il partito di destra, perché il governo si è adeguato alle sue posizioni, è – a mio avviso –sbagliata. Il governo ha cambiato corso perché è giunto alla persuasione che l’Austria è stata abbandonata a se stessa dall’Europa, da un lato, e per il fatto che un’ondata migratoria di questa misura non sia più gestibile né a breve né a lungo termine (abitazione, scuola, lavoro, e così via).

Il motivo per cui gli austriaci si sono rivoltati contro il governo, nonostante queste misure prese, è dovuto al fatto che non hanno più fiducia in questo governo per quanto riguarda la capacità di tenere sotto controllo il problema migratorio. Non si deve dimenticare, all’interno di tale contesto, il fatto che la criminalità è in aumento e che notizie di molestie sessuali verso le donne si accumulano di giorno in giorno. L’insicurezza (sia percepita sia reale) cresce in Austria di giorno in giorno.

La Germania e le élites austriache

La popolazione austriaca si sente presa in giro dalle élites politiche e intellettuali del paese e da quelle europee. L’Austria viene criticata e attaccata per la pianificazione dei controlli al Brennero. Ma con questo si dimentica che la Germania (propugnatrice di frontiere aperte in Europa) ha introdotto dei rigorosi controlli al confine con l’Austria (cosa sostenuta dalla Commissione europea). Una gran parte dei migranti viene attualmente rispedita indietro verso l’Austria.

D’altro lato, l’Italia è stata, nel passato, solo uno spazio di passaggio per la grande maggioranza degli immigrati – che spesso si vedevano consegnare dalle autorità italiane biglietti del treno per l’Austria o la Germania, in modo tale che essi potessero proseguire il più rapidamente possibile il loro percorso migratorio.

Ben maggiore è il peso del discorso mediale portato avanti dalle élites. Si continuano a pubblicare e a dare voce ad “analisi” che oramai la maggioranza della popolazione non prende più sul serio. Si parla di continuo di “soluzioni europee”, ma nessuno dice in che cosa esse debbano consistere concretamente.

Se l’Austria avesse atteso queste soluzioni, allora – secondo l’opinione di un’ampia maggioranza della popolazione – le strutture statali del paese sarebbero implose.

Inoltre, ci si continua a riferire alle «paure della popolazione, che devono essere tenute da conto». In questo modo si insinua il fatto che la massiva ondata migratoria sia semplicemente un problema di paure soggettive, ma non comporti alcun pericolo reale.

Da ultimo, si continua a evocare in continuazione il tema della disponibilità all’accoglienza, senza però avere nessuna soluzione concreta su come essa dovrebbe realmente funzionare ed essere messa in atto.

Un ultimo esempio di questo fallimento delle élites è rappresentato dal modo in cui si mette a tema l’islam. In Austria attualmente vediamo il nascere crescente di strutture parallele (ad esempio, un aumento massiccio di asili in gestione islamica finanziati pubblicamente, che fanno sorgere molti dubbi sul loro orientamento ideologico). Le élites liberali del paese non tematizzano affatto la questione di questo sviluppo di strutture parallele, o lo fanno solo con ritrosia. In generale sorge l’impressione che le élites liberali della società austriaca abbiano del tutto disimparato a considerare seriamente la religione in quanto tale – fatto che si mostra poi nel modo in cui impostano il confronto con l’islam.

È da qui che la destra trae il suo capitale politico, che comporta un aumento di esclusione nei confronti dei musulmani, che a sua volta contribuisce a reazioni di tipo fanatico (in una sorta di circolo vizioso senza fine).

Distacco dalla realtà

La grande coalizione tra i social-democratici e i cristiano-democratici ha contribuito e realizzato, nel solco della tradizione, la stabilità economica e politica dell’Austria. Nello stesso tempo, però, in questo modo sono stati favoriti anche partiti di opposizione estrema; fatto che è divenuto evidente con la prima tornata delle elezioni presidenziali. A questo si deve aggiungere che all’interno della coalizione si sono sviluppate profonde differenze ideologiche e non sembra darsi più un consenso di fondo.

Faymann, come il suo vice-cancelliere cristiano-democratico, è un politico orientato al consenso e un pragmatico, ma è stato del tutto incapace di articolare una visione per il futuro dell’Austria. Lo si è visto – da ultimo – nella scelta dei candidati per le presidenziali da parte di tutti e due i partiti della grande coalizione. Sono stati scelti due candidati (in Austria non abbiamo, purtroppo, delle primarie su ampia scala) che sono stati percepiti da ampi settori della popolazione come arredo dell’apparato.

Davanti ad essi il candidato delle destre è apparso “integro e puro”, mostrandosi nelle sue apparizioni anche moderato – la stessa cosa si può dire per il contro-candidato dei Verdi Alex van der Bellen (e, infatti, il ballottaggio sarà tra questi due).

Senza una visione costruttiva

Davanti a tutti questi problemi appare ancora più drammatica la totale assenza di una visione positiva di cosa sia una società aperta. L’ampiezza dell’immigrazione attuale (prevalentemente musulmana) mette sul tappeto una serie di problemi – alcuni dei quali sono stati qui menzionati – che richiedono non solo soluzioni politiche e pratiche, ma anche il senso della realtà rispetto a ciò che è effettivamente realizzabile. Un esito pacifico sarà possibile solo se le strutture statali rimangono in grado di funzionare. Ma si dovrebbe, inoltre, rendere chiaro che proprio l’immigrazione musulmana (che pone all’Austria e all’Europa i problemi più acuti) offre, al di là di questi problemi, l’occasione epocale per trovare una nuova forma di intreccio fra cristianesimo, islam e modernità secolare. L’Europa deve imparare sia a conoscere più a fondo l’islam sia ad apprezzarlo nella sua bellezza.

La speranza segreta (coltivata soprattutto dalle élites liberali) che l’islam finirà con il secolarizzarsi, come è accaduto con il cristianesimo, è priva di ogni fondamento. Questa speranza di secolarizzazione non si accorge e non tiene conto del fatto che la società europea ha bisogno di un profondo rinnovamento spirituale, rispetto al quale anche l’islam può rappresentare un attore fecondo. Al momento, sembra che papa Francesco sia l’unica figura che abbia compreso tutto ciò.

Fino a quando mancherà questa visione costruttiva e positiva, fino a quando non si daranno nuove forme di riconoscimento, fino a quando gli immigrati (anche e soprattutto quelli musulmani) non potranno avere un ruolo positivo nello spazio pubblico (non si possono fare che le congratulazioni alla Gran Bretagna per un sindaco musulmano a Londra!), allora la destra diventerà sempre più forte.

Allo stesso tempo, però – questo bisogna sottolinearlo ancora una volta –, c’è bisogno di meccanismi politici pratici che permettano la salvaguardia delle strutture statali. In questo senso, davanti alla situazione attuale, non vi è alcuna alternativa al controllo delle frontiere e ad una regolazione dell’immigrazione, se tutto ciò viene declinato insieme a un’apertura di fondo e a una disponibilità all’accoglienza.

Alcuni provvedimenti, come il dislocamento delle pratiche per la richiesta di asilo nelle ambasciate in Africa o in Asia e una forma di Green Card europea (con una contemporanea protezione dei confini esterni dell’Europa) sono sicuramente poco simpatici, ma rimangono, a breve termine, irrinunciabili.

Verso dove va l’Austria

In questo momento è molto difficile valutare come si svilupperà la situazione politica in Austria. Nessuno osa fare qualche prognosi su chi, tra il candidato della sinistra, Van der Bellen, che può essere compatibile anche a molti elettori del centro borghese, e quello della destra, Hofer (di cui si può dire la medesima cosa) vincerà il secondo turno delle elezioni presidenziali.

Nel momento in cui viene scritto questo articolo, poi, non è ancora chiaro chi sarà il prossimo cancelliere austriaco (forse Kern, manager del gruppo ferroviario austriaco).

Chiaro è, però, che l’avanzata vincente delle destre non si fermerà, non in Austria o in Italia, e neppure in Europa, a meno che un’apertura capace di visione e un senso politico per la custodia delle strutture statali non saranno considerati come un bene a cui non si può rinunciare.

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