Eva, la mela e i fruttariani

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Nell’ormai non più tanto nuova epoca della secolarità, lo spazio delle risonanze spirituali ha allargato i suoi confini di competenza fino a includere anche quello delle scelte alimentari che sanno animare, nel vasto spettro della nostra vita sociale, posizioni che hanno a tutti gli effetti il carattere di autentiche vie teosofiche.

I vecchi trattati di ascetica e mistica, che fiorivano per lo più ai margini della teologia, sembrano oggi avere per erede una fortunata pubblicistica in cui diverse appartenenze macrobiotiche, veganiste, fruttariane, e altre confessioni consimili, compongono un grande arcipelago della protesta alimentare che oppone al generale andazzo liberal carnivoro discipline di riscatto e purificazione per il benessere olistico dell’io.

pubblicitàAscriverei al magnetismo di questa vasta area, e al suo ampio potere di ospitalità, il curioso appello che, in occasione della Giornata internazionale della frutta, la Dole Sunshine Company, una holding della distribuzione della frutta con base a Singapore, su una pagina pubblicitaria del quotidiano La Repubblica, ha rivolto alle massime autorità religiose di matrice cristiana per rimediare, con un atto pubblico e definitivo, alla cattiva reputazione che tutta una consolidata tradizione biblica ha riversato sulla mela, rappresentante umile e operaia del vasto campionario della frutta.

«Per troppo tempo – recita l’accorato e convinto appello – è stata vilipesa e demonizzata, calunniata nell’arte e nella letteratura, simboleggiando la lussuria, la tentazione, la depravazione, in tutte le loro forme più vili e deprecabili. Tutto questo non è che una forzatura che solo voi avete il potere, la saggezza e l’autorità di rettificare».

Si citano i Padri e Agostino, Milton e Dürer, tra i responsabili di una tale denigrazione, mentre si fanno menzioni d’onore per Andy Warhol e Banksy per aver al contrario fatto della banana un’icona di positività e benessere, tenendo alte le quotazioni morali della frutta in generale.

Divertente trovata pubblicitaria il cui lessico tuttavia si muove con un’apparenza di serietà che non manca di fare i suoi effetti, questo appello fa certamente leva su un immaginario che, una volta infuso nelle onde lunghe dei flussi e riflussi culturali, acquisisce la libertà di una circolazione autonoma, inarrestabile e incontrollabile.

Benché la secolare equazione allegorica mela/malum che ha fondato una delle immagini mentali più potenti degli ultimi due millenni sia stata sostanzialmente decostruita dai progressi esegetici degli ultimi secoli, accompagnando una necessaria ritrattazione teologica del tema, il suo stereotipo conserva una consolidata posizione e una collaudata efficacia nel repertorio simbolico della cultura mediale postsecolare.

Nella sigla della fortunatissima serie televisiva Desperate Housewives, otto stagioni andate in onda fra il 2004 e il 2012, i progenitori dipinti da Cranach il Vecchio venivano animati per rinnovare il gesto infausto della mela tentatrice, mentre il recente manifesto di un notissimo marchio di abbigliamento raffigura una donna in età, ancorché elegante e piacente, che nella mano sinistra regge una mela connotata dal morso più famoso del mondo, quello che del resto compone il logo della più nota casa produttrice di apparecchiature informatiche.

Uscita dall’esegesi e dalla teologia, la compromessa reputazione del frutto più umile del mondo è diventata il luogo comune del marketing e della fiction, arte sacra della vera religione vigente.

Nella battaglia fruttariana per la riabilitazione della mela il papa può forse mettere una buona parola, come si chiede nella pagina di Repubblica, ma è a qualche nuovo e più potente catechismo che si deve rivolgere l’appello.

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4 Commenti

  1. Quisque de populo 6 luglio 2022
  2. Luciano Zappella 5 luglio 2022
  3. Fabio Cittadini 4 luglio 2022
    • Gabriele Compagnoni 5 luglio 2022

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