L’Italia non è un paese per giovani?

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Demografia e teologia a confronto sul tema dell’etica delle generazioni: Gian Carlo Blangiardo e Pier Davide Guenzi, nella giornata promossa dalla Facoltà teologica del Triveneto e dalla Fondazione Lanza, in collaborazione con la Formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova (15 novembre 2018) hanno gettato uno sguardo al futuro che attende le nuove generazioni, in una società che inesorabilmente invecchia e dove i giovani fanno il loro ingresso in tempi variabili nell’età adulta.

Gli italiani del futuro stanno dietro le linee demografiche di natalità discendenti. È un dato di fatto e bisogna farci i conti. Parola del demografo Gian Carlo Blangiardo, docente dell’Università Milano Bicocca, che ha aperto il quinto ciclo di incontri “Dove va la morale?”, promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza, in collaborazione con la Formazione all’impegno sociale e politico della diocesi di Padova. Tema di questa edizione è l’”Etica delle generazioni” e sull’argomento specifico dell’incontro – “Non è un paese per giovani?” – ha portato un contributo anche Pier Davide Guenzi, presidente Atism-Associazione teologica italiana per lo studio della morale.

Blangiardo: occorrono nuove politiche

Gian Carlo Blangiardo ha presentato le caratteristiche e le conseguenze di un insufficiente ricambio generazionale, evidenziando innanzitutto il fatto che, dalla metà degli anni Settanta, siamo al di sotto della soglia di ricambio: «Se, allora, per mille donne nascevano 1.092 bambine, nel 2016 ne sono nate 645».

Altro dato è l’inversione dei flussi di natalità e di mortalità, a partire dagli anni Novanta e con una forte accentuazione dal 2008, dove i grafici evidenziano la discesa della curva dei nati verso la più bassa natalità di sempre. A pagarne il prezzo più alto sono gli anziani e i più fragili, considerando che 13 milioni di italiani dichiarano di avere difficoltà o addirittura di rinunciare ai consumi sanitari.

«Dal 1862 le nascite sono dimezzate – fa notare il demografo – e la popolazione è raddoppiata. Nel 2065 si stima che l’Italia avrà una popolazione (compresi i flussi migratori) di 54 milioni di abitanti, a fronte dei 64 di oggi. Il gruppo più numeroso all’interno della società sarà quello compreso fra i 75 e gli 80 anni. Ciò significa che la forza lavoro va diminuendo, pur tenendo conto che le nuove generazioni saranno sempre più portate allo sviluppo di nuove tecnologie che potranno rendere competitivo il nostro paese».

I nuovi italiani sono stimati oggi un milione e mezzo; fra vent’anni saranno cinque milioni, pari all’8% della popolazione. «È una componente che sarà da inserire e da integrare nel nostro paese – afferma Blangiardo –. Nel processo di costruzione del futuro ogni nuovo nato regala 80 anni di vita, se maschio, e 85, se femmina; ogni migrante porta anni di vita; ogni morto ne fa perdere. Tutti i parametri rispetto all’invecchiamento giocano a nostro sfavore anche nella competizione sui mercati internazionali».

Come si interviene in questo scenario? «Il modello dominante oggi è quello del figlio unico, o di nessun figlio – spiega Blangiardo –. I figli si vorrebbe farli, ma costano, impegnano, ostacolano l’attività lavorativa… c’è una logica distorta, per cui il gioco del rinvio diventa, alla fine, rinuncia».

Altri paesi europei hanno investito su questo fronte e i risultati si vedono: in Germania le nascite sono aumentate del 15%; in Francia il reddito disponibile (tenuto conto di prelievi e contributi) consente a una coppia della classe media di investire sulla maternità.

In Italia, che è fanalino di coda in Europa, «occorre cambiare la cultura dell’intervento a sostegno della natalità: non più semplice azione di contrasto alla povertà (come è oggi), bensì concreto aiuto rivolto a tutta la “popolazione” che desidera contribuire all’investimento nel capitale umano del paese» sostiene il demografo.

È invece rimasta lettera morta il “Piano nazionale per la famiglia”, stilato nel 2012 e mai approvato, che prevedeva misure di equità fiscale ed economica, politiche abitative per la famiglia, lavoro di cura familiare, pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro, servizi di consultorio e di informazione, iniziative per la diffusione di una cultura pro-famiglia.

È da qui che bisognerebbe ripartire.

Guenzi: sfruttare le potenzialità dei media

La seconda voce sul tema è portata dal teologo. Pier Davide Guenzi ha richiamato alcuni passaggi del Documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale (27 ottobre 2018).

Il testo restituisce una fotografia della pluralità dei mondi giovanili, caratterizzati dalla preferenza accordata all’immagine rispetto ad altri linguaggi comunicativi, dall’importanza di sensazioni ed emozioni come via di approccio alla realtà, dalla priorità della concretezza e dell’operatività rispetto all’analisi teorica.

La giovinezza è una stagione della vita che deve terminare, per fare spazio all’età adulta. Ed è qui che si inseriscono le difficoltà verso la realizzazione di un progetto di vita, differito a oltranza fra sperimentazioni e frustrazioni, fra “adultescenza” (kidult) – cioè comportarsi da persona adulta con modi giovanili – e “rendersi adulti” (adulting) – cioè assumere gli atteggiamenti socialmente caratteristici di una persona matura.

Processo voluto o subito? «Una generazione introietta l’indeterminatezza della società» risponde Guenzi, che aggiunge: «Flessibilità del lavoro, reddito basso, precarietà non sono solo indicatori economici, ma hanno un risvolto anche esistenziale, particolarmente nel passaggio ad una cultura della soggettività, marcatamente individualistica».

Nell’ambito della società civile e politica sono diversi i nodi da affrontare e da sciogliere: libertà, affettività, relazionalità, partecipazione e protagonismo… «Un ruolo importante – sottolinea il teologo – lo gioca l’uso del web e dei social. I media non sono piò soltanto strumenti del comunicare, ma ambiente e connettore di relazioni: sono cultura e non solo il supporto che la trasmette. L’accesso ai social media ormai è tanto reale quanto può esserlo una relazione faccia a faccia; certamente con nuovi rischi, dai linciaggi mediatici ai giovani hikikomori, dalle ecochamber al caso estremo del dark web.

Dovrà passare quindi anche attraverso le potenzialità della comunicazione digitale il coinvolgimento dei giovani in termini di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva: diffusione di stili di vita e modelli di consumo e investimento critici, solidarietà e attenzione all’ambiente; nuove forme di impegno nella politica; nuove modalità di welfare a garanzia dei soggetti più deboli.

La “linea d’ombra” (di conradiana memoria) da valicare nel passaggio alla maturità, per i giovani d’oggi sembra restare nella sua fissità irraggiungibile o addirittura pare allontanarsi sempre più, ne siano responsabili il desiderio o le condizioni oggettive. Nella consapevolezza che comunque essa c’è e che, prima o poi, la si dovrà incontrare, non resta che aggrapparsi alla resistenza o, come si preferisce oggi, alla resilienza.

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