La storia e il Messia

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Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno.[1]

I Romani avevano risolto la questione della storia ricostruendo nella letteratura e nell’architettura la memoria monumentale delle gesta dei grandi e degli eroi, che si immortalavano nel tempo. Il cristianesimo rivoluziona questa prospettiva e offre la risurrezione a tutti, oltre la morte. Nasce così l’individuo occidentale, radice del piú tardivo concetto di persona, ma anche dell’eresia individualista capitalista e borghese.

Sarebbe stato forse meglio se i cristiani, discepoli delle cronologie bibliche e greche, non avessero scommesso sulla storia della salvezza, dalla Creazione alla Parusia, rimandando ad un futuro remoto la definitiva realizzazione del Regno di Gesù.

La storia vive ancora parassitando il passato, raccontando la politica, l’economia, la società, i costumi, le scienze esatte e umane, l’arte e la letteratura, la vita dei grandi e dei piccoli, della casa e del quotidiano, delle Chiese e degli stati, delle guerre e delle rivoluzioni.

Si ripete ancora, con Cicerone, che la storia è maestra della vita, ma, normalmente è semplicemente un motivo di svago e diversione, ben inferiore alla letteratura e alla poesia, che possono invece stimolarci criticamente ed esteticamente. A volte, però, alla scuola di Walter Benjamin, scopriamo che “articolare storicamente il passato non significa conoscerlo proprio come è stato davvero”. “Vuole dire impossessarsi di un ricordo così come la balena in un attimo di pericolo”.

Le difficoltà, comunque, sorgono quando dobbiamo pensare storicamente il futuro.

Posso osare nel dire che la profezia della terza età della storia di Gioacchino da Fiore è il peccato originale degli storicismi. Il sogno della terza età, in cui si realizzerebbero supremamente libertà, agape e giustizia, riappare, religiosamente secolarizzato, con l’attesa contemporanea dell’Era dell’Acquario o del ritorno dei nostri protettori extraterrestri.

Dopo qualche secolo da Gioacchino la periodizzazione ternaria ritornerà con Vico che sogna l’età ragionevole degli uomini dopo le fantasie religiose ed epiche dell’età degli dèi e degli eroi.

Sarà però nel secolo XIX che la storia assume, con i deliri dialettici hegeliani e marxisti, un ruolo egemonico, ancora non completamente contestato dall’attualità, nonostante la sua crisi evidente e definitiva.

Negare gli ottimismi illusori e letali sulla possibilità di soluzione futura della crisi di civiltà che ci minaccia e ci tormenta non significa, però, lasciarsi contaminare da cinici e impotenti pessimismi. Infatti, possiamo e dobbiamo lottare per giustizia, agape, verità e bellezza, senza ripetizioni ossessive e permanentemente aperti a nuovi dubbi e nuove domande.

Riprendo allora la profezia di Walter Benjamin, quando afferma, nella tesi XVIII sul concetto di storia, che agli Ebrei è vietato indovinare e investigare il futuro, ma non per questo il futuro si svuota, perché, siamo accompagnati dalla memoria del passato di liberazione: “ogni secondo è la porta stretta da cui può entrare il Messia”.[2]


[1] Benjamin Walter, Sul concetto di storia, in Opere complete. VII, cit., p. 497.

[2] Benjamin Walter, Tesi di filosofia della storia, in Id. Angelus novus. Saggi e frammenti, Giulio Einaudi editore, Torino, pp. 75–86.

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