COP26: le risorse finite della terra

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Il 4 ottobre scorso leader religiosi e scienziati hanno sottoscritto un appello per la politica mondiale nel corso del convegno “Fede e scienza: verso COP26”, pubblicato da SettimanaNews (qui). Abbiamo rivolto a Gianfranco Pacchioni, docente di Chimica all’Università di Milano-Bicocca e impegnato autore di testi sull’ambiente, alcune domande al riguardo.

  • Professor Pacchioni, l’appello firmato da religiosi e scienziati afferma: “Non siamo padroni senza limiti del nostro pianeta e della sue risorse”: come commenta da uomo di scienza?

La Terra è un pianeta con dimensioni e risorse finite. Sino alla rivoluzione industriale lo sfruttamento delle risorse ha riguardato una parte infinitesimale di quelle disponibili, dando l’impressione che fossero di fatto inesauribili.

Lo sviluppo vertiginoso della popolazione e soprattutto dei nostri consumi, specie nell’ultimo secolo, hanno reso evidente che molte risorse naturali, a questo ritmo di consumo, non potranno bastare ai bisogni. Ecco l’idea – tutta da realizzare – dell’economia circolare, ossia del passaggio dal prodotto ‘usa e getta’ al riciclo e riutilizzo di tutto quanto si può.

  • “Siamo profondamente interdipendenti tra di noi e col mondo naturale”: come dirlo in termini più propriamente scientifici?

La mia visione è che noi – Sapiens – siamo parte integrante del mondo naturale, non siamo chimicamente separati dall’ambiente naturale che ci circonda e siamo chimicamente dipendenti dallo stesso, in toto. Eppure, ci siamo fatti ‘dominatori’: abbiamo assoggettato quasi tutte le specie animali e gran parte di quelle vegetali e stiamo pure trasformando il mondo.

Perciò oggi si parla di Antropocene, ossia di una nuova era geologica in cui l’impronta umana è fortissima, più che in ogni altra precedente. Per rendere conto di quanto siamo parte della natura, basti dire che gli atomi di carbonio di cui è fatto il nostro corpo sono stati, in passato, dentro molecole di CO2 e sono destinati, prima o poi, a ritornare dentro molecole di CO2. Noi siamo parte integrante del ciclo del carbonio. Le nostre esistenze sono finite, mentre quelle degli atomi di cui siamo costituiti perdurano di gran lunga a noi.

  • Il documento accenna al “fallimento” dell’approccio dell’uomo – soprattutto occidentale – al mondo. Che cosa si è sbagliato?

Ciò che sta mostrando decisamente i propri limiti è il modello di sviluppo capitalistico, basato su consumi e indebitamento in continua crescita. Lo sviluppo viene misurato sui consumi. Mentre ciò che andrebbe misurato quale indice di sviluppo è il livello di felicità raggiunto dall’umanità piuttosto di misurare quanto la gente consuma e scarta.

Il modello economico capitalistico ha avuto un effetto trainante straordinario sullo sviluppo delle nostre società, ma non ha saputo guardare e ancora non sa guardare alle conseguenze di lungo termine che – in questo modo – vengono scaricate sulle generazioni future. Dobbiamo necessariamente correggere questa tendenza.

  • “La fede e la scienza sono pilastri essenziali della civiltà umana”: cosa ne pensa?

Penso che sia assolutamente necessario mettere al centro della nostra attenzione l’Uomo – ovviamente senza gerarchie di genere -, quello con la ‘U’ maiuscola, ossia la natura umana degli esseri pensanti, coscienti, dotati di singolare dignità personale. Lo sviluppo delle potenti tecnologie – esiti delle aumentate conoscenze scientifiche – deve essere effettivamente messo al servizio dell’Uomo, piuttosto di condizionarlo in maniera – come vediamo – negativa; deve essere indirizzato a ridurre le diseguaglianze, non ad aumentarle. Purtroppo – al momento – sta ancora accadendo l’esatto contrario.

  • Che cosa può voler dire, in estrema sintesi, “piena sostenibilità dei nostri edifici, terreni, veicoli”, “riduzione dell’impronta del carbonio”, “investimenti in energia rinnovabile e agricoltura riparatrice”?

Per prima cosa dobbiamo prendere chiara coscienza che non possiamo continuare a fare come abbiamo sempre fatto, come se nulla di rilevante stesse accadendo. Dobbiamo cambiare radicalmente i nostri comportamenti, per renderli più ‘sostenibili’: ma non sarà per nulla facile! Questo si potrà realizzare su due livelli: il primo è individuale, con scelte – e anche rinunce! – consapevoli; l’altro è sociale e collettivo, con l’azione dei governi e degli organismi internazionali.

Ciò in pratica si dovrebbe tradurre in una rapida – ma tutt’altro che facile – transizione energetica in grado di ridurre la cosiddetta ‘impronta del carbonio’, ossia la quantità di CO2 emessa nell’atmosfera a seguito delle attività umane.

  • Il documento contiene l’appello ad “incoraggiare le nostre istituzioni educative e culturali”. Lei è docente universitario e ha scritto libri sulla materia ambientale. Si sente coinvolto?

Direi proprio di sì. L’aspetto educativo è ovviamente fondamentale. Almeno da questo punto di vista, si sta assistendo a cambiamenti profondi. Oggi si parla largamente di temi che sino a 2-3 anni fa erano ristretti nei dibattiti degli addetti ai lavori, senza poter suscitare grande interesse nell’opinione pubblica. Ma sono almeno trent’anni che la comunità scientifica cerca di allertare sui temi ambientali e climatici. Solo grazie ai movimenti giovanili qualcosa di grosso ha cominciato a muoversi. Quindi c’è speranza.

  • Un’ultima domanda: in Italia, anche alla luce dei programmi del PNRR, stiamo rispondendo adeguatamente agli appelli contenuti nel documento ‘verso COP26’?

L’Italia e l’Europa hanno colto l’importanza della svolta e stanno adottando provvedimenti importanti. Ma c’è un problema non di poco conto. L’Europa produce l’8% di tutte le emissioni mondiali di anidride carbonica, il resto viene da altre regioni del mondo. Se questa svolta non sarà globale, se resterà limitata ai Paesi in cui la sensibilità sui temi ambientali è divenuta più forte, non sarà ovviamente possibile dare corso a rimedi incisivi. Mentre le conseguenze delle azioni e delle omissioni ricadranno su di tutti.

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