Liberazione, democrazia, guerra

di:

liberazione

Il 25 aprile abbiamo fatto festa mentre continuavano e continuano a scorrere immagini e racconti di una nuova terribile guerra in corso, poco lontano da noi, in Ucraina.

Perché fare “festa” per celebrare la Liberazione da una guerra – allora la Seconda Guerra Mondiale – combattuta tra l’autunno del 1939 e la primavera del 1945 fra il Terzo Reich tedesco, il Fascismo italiano e il militarismo giapponese da una parte, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Stati Uniti d’America dall’altra.

L’ultimo tragico atto di quella guerra fu l’uso, a scopo militare, per la prima volta, nell’estate del 1945, di ordigni nucleari ad Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto), eventi catastrofici che tuttora dovrebbero obbligare tutti ad impegnarsi per evitare l’uso di armi di distruzione di massa.

I fronti della II Guerra mondiale

La guerra ebbe molti fronti in Africa, Asia, negli Oceani Atlantico e Pacifico. Nel solo teatro Europeo. Bombardamenti devastarono città come Coventry, Amburgo, Dresda. L’assedio di Leningrado – dal 1941 al 1944 – portò la morte di 600.000 persone per fame e freddo.

Milioni di persone, militari e civili, si spostarono, quasi sempre a forza, da un paese all’altro: nella sola Germania furono 7 i milioni di lavoratori stranieri che andarono a rimpiazzare i maschi tedeschi impegnati in guerra come militari, 6 milioni di donne e uomini furono rastrellati e internati in campi di concentramento dove la metà morì per malattie, denutrizione, maltrattamenti.

Milioni e milioni di ebrei e centinaia di migliaia di rom, sinti, internati dei manicomi, omosessuali furono portati a morte nelle camere a gas. 3 milioni furono i morti polacchi e 20 milioni quelli russi, militari e civili. La Jugoslavia contò alla fine della guerra 1.700.000 i morti fra partigiani e civili. 120.000 i militari tedeschi del’armata di von Paulus che caddero nell’assedio di Stalingrado.

Quanto all’Italia, ai militari caduti in combattimento nelle fila del Regio Esercito (140.000 nella sola Africa Settentrionale nel maggio 1943) vanno aggiunte le centinaia di migliaia di quelli fatti prigionieri da britannici, russi e tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Questi italiani, in numero di 600.000, furono avviati ai campi di concentramento in Germania perché rifiutarono di aderire alla neonata Repubblica di Salò, il che avrebbe permesso loro di tornare in Italia: un esempio straordinario di Resistenza morale non armata.

Italia: anche una guerra civile

Era accaduto che, deposto Mussolini il 25 luglio 1943, fu insediato il nuovo Governo Badoglio che il 3 settembre dello stesso anno firmò l’armistizio di Cassibile fra Italia ed Alleati. Negli stessi giorni fu costituito il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) con tutti i partiti politici antifascisti.

L’Italia rimase divisa in due: il Sud risalito dagli eserciti Alleati (USA, Gran Bretagna, Polonia, truppe coloniali francesi) ed il Centro Nord controllato da Tedeschi e dagli alleati fascisti della Repubblica di Salò. La linea di demarcazione più nota e fortemente presidiata dall’esercito tedesco della Wehrmacht fu la cosiddetta Linea Gotica che andava da Massa Carrara a Pesaro.

Accadde quindi che si trovarono a combattere gli uni contro gli altri, in una vera e propria guerra civile, da una parte gli italiani alleati dei tedeschi e dall’altra italiani del neo-ricostituito esercito regolare, co-belligeranti degli alleati e italiani partigiani operanti nelle zone del Centro-Nord occupate dai tedeschi.

Questi ultimi, combattenti irregolari, “ribelli”, furono in numero di 250.00 circa, ebbero 36.000 tra caduti e giustiziati; 10.000 furono i civili uccisi per rappresaglia. Altri italiani combatterono in altre resistenze – un fenomeno europeo, noto in Francia, Albania, Jugoslavia, in Grecia – insieme alle formazioni partigiane locali.

Questo per dire che la Seconda Guerra mondiale fu una vera e propria ecatombe che complessivamente comportò la morte – si calcola – di 50 milioni di uomini e donne: sì, anche di donne, perché fu una guerra “totale” che non risparmiò i civili (si pensi solo alle persecuzioni razziali) e fu anche una crudele guerra fratricida perché accadde che persone che si conoscevano – anche amici e fratelli – abbiano combattuto in schieramenti contrapposti, gli uni contro gli altri.

C’era poi poco da mangiare, specie nelle città: l’approvvigionamento degli alimenti era razionato. C’era freddo e i vetri delle finestre erano oscurati. C’era paura dei rastrellamenti e dei bombardamenti: quando suonavano le sirene si doveva correre nei rifugi sotterranei. C’era chi si nascondeva e chi faceva la spia. Tanta era l’angoscia: non c’era famiglia nella quale un qualche congiunto non fosse in un’altra parte del mondo, spesso senza poter dare notizia di sé, disperso.

L’ANPI tra ieri e oggi

Uomini italiani finirono al lavoro coatto in Germania, nei campi di concentramento per prigionieri di guerra in Russia, negli Stati Uniti, in India, Sud Africa. Altri, come scritto, si sono trovati nelle formazioni partigiane di altri paesi. Per mesi e mesi.

Tutto questo per dire che il 25 aprile 1945 – la nostra Liberazione – fu sì una vittoria della democrazia contro il nazifascismo, ma insieme fu la Liberazione dagli orrori di una guerra che ebbe i caratteri di cui ho accennato.

Perciò la fine della guerra fu una grande festa e così resta nei nostri ricordi. Tante erano le macerie, tanti i morti, ma si è potuto riprendere a vivere, senza temere per la propria sicurezza. Si è potuto riabbracciare i congiunti che via via sono ritornati dalle parti più lontane del mondo, con storie incredibili, da raccontare. Si è potuto cominciare a ricostruire, non solo i muri. Le donne italiane hanno potuto votare per la prima volta. La vita politica ha potuto divenire intensamente partecipata. È stata adottata la Costituzione Repubblicana, si è dato avvio alle Nazioni Unite e corso all’Unità Europea.

La crudele vicenda in corso in Ucraina, con le altre decine di guerre in corso nel mondo, ci mostrano che gli organismi sovranazionali istituiti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale – parlo dell’ONU e dell’Unione Europea – non sono stati e non sono in grado, oggi, di prevenire i conflitti, neppure di promuovere la cessazione dei combattimenti e di avviare trattative: le due questioni più urgenti, drammaticamente aperte. La storia non è finita.

Sono presidente dell’ANPI provinciale di Mantova. Partecipo alla sofferta discussione sulla scelta di inviare le armi all’Ucraina, uno Stato sovrano che ha il diritto di difendersi dall’invasione russa.

Dal 24 febbraio, giorno dopo giorno, i nostri interrogativi si sono intensificati: come fare ad ottenere, da subito – da Putin – il “cessate il fuoco”?  La rincorsa al riarmo generalizzato, l’escalation militare fino all’opzione nucleare sono l’unica via d’uscita possibile?

La responsabilità che avvertiamo è cercare una pace che non significhi la resa delle vittime.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto