L’Italia esporta laureati e importa analfabeti?

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IdosIl 29 novembre 2016 è stato organizzato a Bruxelles, con il sostegno del Parlamento Europeo, un convegno sul volume che l’Istituto di studi politici “S. Pio V” e il Centro studi e ricerche Idos hanno di recente (giugno 2016) pubblicato su Le migrazioni qualificate. Ricerche, statistiche, prospettive. La partecipazione è aperta agli operatori ed esperti della comunità italiana in Belgio, che si uniranno a un gruppo di studio di una trentina di persone in provenienza da tutte le parti d’Italia.

Le migrazioni qualificate: il quadro d’insieme del caso italiano

Si stima che oltre 400.000 laureati italiani siano emigrati all’estero. Invece, sono circa 500.000 i laureati stranieri in Italia e la loro incidenza è pari al 7% sul totale degli oltre 6,5 milioni di laureati residenti in Italia, un valore inferiore rispetto a quello riscontrabile in Francia (10%), in Germania (11%) e nel Regno Unito (17%).

Dall’Italia sta emigrando un numero crescente di laureati e diplomati, mentre è ridotto il numero degli italiani che rimpatriano con questo livello di istruzione. Negli altri paesi europei è più elevato sia il movimento complessivo di laureati e anche il flusso in entrata, cosicché il loro bilancio è positivo. Dal punto di vista quantitativo il bilancio è positivo anche per l’Italia, ma solo se si tiene conto degli stranieri immigrati nel paese, mentre sotto l’aspetto qualitativo sono diversi i fattori negativi.

  1. È scarsa, rispetto ai livelli riscontrabili negli altri paesi dell’Unione Europea, la consistenza dei residenti che in Italia hanno conseguito la laurea, nonostante la titolarità della laurea agevoli notevolmente la collocabilità sul mercato occupazionale.
  2. Nei confronti dei laureati (sia italiani che stranieri) il sistema italiano ha una ridotta capacità di offrire posti di lavoro adeguati e genera il fenomeno dei lavoratori sovraistruiti rispetto alle mansioni assegnate: si trova in tale situazione circa il 20% tra gli occupati italiani e ben il 40% di quelli immigrati.
  3. Non mancano gli inconvenienti di natura organizzativa, specialmente per le fasce più alte dei lavoratori qualificati, come risulta da questa testimonianza: «Se sapesse che cosa significa tentare una carriera scientifica in Italia, nessuna persona sana di mente accetterebbe l’impegno» (dichiarazione della planetologia Amara Graspe, pubblicata sulla rivista La Scienza, luglio 2006).
  4. La maggiore attrattiva dei paesi esteri è dovuta alle migliori opportunità di farsi riconoscere il merito da parte delle strutture pubbliche e delle aziende, di ottenere posti e retribuzioni più soddisfacenti, operare in un contesto organizzativo più efficace e innovativo. L’Italia, pur non sfigurando per numero delle loro pubblicazioni scientifiche, non riesce a gratificare i suoi ricercatori (per cui una buona parte tende ad andare all’estero) né ad attrarre quelli stranieri. Sono in molti a recarsi all’estero anche tra medici, infermieri, avvocati, architetti e ingegneri, una categoria questa particolarmente apprezzata (non a caso i Politecnici di Torino e Milano figurano, per prestigio, tra i primi 50 atenei del mondo).

Il volume dell’Istituto “S. Pio V” e del Centro Studi Idos analizza i vari aspetti del brain drain e brain waste, facendo riferimento a tutte le ricerche condotte e mettendo a disposizione i dati aggiornati.

Dove sono e dove vanno i laureati?

I laureati in partenza dall’Italia vanno a intaccare la disponibilità di personale altamente qualificato già di per sé limitata. Nel 2015 si è stimato che siano emigrati 27.000 diplomati e 24.000 laureati, rispettivamente il 35% e il 30% dei 102.259 connazionali che si sono cancellati dai registri anagrafici dei propri comuni per trasferirsi all’estero. I laureati italiani in partenza erano, mediamente, solo 3.300 in ciascuno degli anni a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo. Va anche tenuto conto che, in generale, essi partono per non ritornare più se non in un ridotto numero di casi, come attestato da numerose indagini, e che è aumentata la tendenza dei giovani a emigrare (6 su 10).

La presenza di laureati stranieri, che nel Centro-Nord ha svolto un ruolo di riequilibrio tra partenze e ingressi, è invece carente nel Meridione. Al Censimento del 2011 solo l’Abruzzo e il Molise non si collocavano al di sotto dell’incidenza media nazionale tra i residenti italiani dei laureati (11,2%), mentre tutte le regioni meridionali erano al di sotto dell’incidenza media dei laureati (10,7%) tra i residenti stranieri. Dai dati Istat risulta che la situazione non è migliorata negli anni successivi. Infatti, nel 2014 è risultato che nessuna regione meridionale supera le incidenze medie nazionali sia per i laureati (11,8% tra i residenti italiani e 9,1% tra quelli stranieri) che per i diplomati (32,1% tra gli italiani e 35,1% tra gli stranieri), con le uniche eccezioni delle regioni Abruzzo e Basilicata, e solo relativamente ai livelli di istruzione degli italiani.

Il Meridione ha una quota di appena il 10,2% di tutti i laureati stranieri residenti in Italia e ciò influisce negativamente sul saldo del movimento di laureati per e dall’estero (il bilancio è, per giunta, aggravato dall’esodo verso il Nord Italia). La quota di laureati stranieri residenti nel Meridione è inferiore a quella di tre regioni prese singolarmente: Emilia-Romagna (12,2%), Lazio (16,1%) e Lombardia (23,2%). Anche nelle altre regioni del Centro e nel Nord Italia l’afflusso di laureati stranieri ha svolto una funzione di riequilibrio dell’esodo degli italiani.

Il mercato occupazionale italiano ha trovato nei lavoratori immigrati un giovamento finanziario oltre che un supporto al mercato occupazionale. Nel 2015 gli occupati stranieri sono risultati 2.365.000 e i disoccupati 465.000. Di essi, attenendosi alla Ricerca continua dell’Istat sulle forze di lavoro, 1.410.000 hanno frequentato solo la scuola d’obbligo (i costi formativi per il bilancio pubblico sarebbero stati, secondo il Rapporto Ocse, di 90.000 dollari a persona, per un totale di 126 miliardi e 90 milioni di dollari), 1.191.000 i diplomati (con costo, sempre secondo il Rapporto Ocse, di 134.000 dollari per persona, per un totale di 154 miliardi e 830 milioni di dollari) e 303.000 i laureati (con il costo di 178.000 dollari per persona per una laurea triennale, per un totale di 53 miliardi e 934 milioni di dollari). Complessivamente, le spese pubbliche per i tre livelli di studio sarebbero state pari a 336 miliardi di dollari (e poco di meno calcolate in euro) se fossero state sostenute in Italia. Bisogna aggiungere 183 miliardi di euro corrispondenti alle spese a carico delle famiglie per crescere i propri figli fino ai 18 anni (con un costo medio, secondo stime elaborate nell’ambito delle associazioni di consumatori, di 61.000 euro per persona). Pertanto, il costo formativo della forza lavoro formatasi all’estero e poi inseritasi nel mercato italiano supera i 500 miliardi di euro, costituisce un notevole beneficio per l’Italia e compensa i costi sostenuti dall’Italia per i suoi cittadini trasferitisi all’estero (nel 2015, 51.000 con la licenza media, 27.000 diplomati e 24.000 laureati nel 2015 per un costo formativo totale di circa 19 miliardi di euro calcolati secondo i parametri contenuti nei rapporti dell’Ocse in precedenza esposti (il costo aumenta se riferito anche agli anni precedenti).

I dati macroeconomici

I dati macroeconomici mostrano che l’Italia è in ritardo rispetto agli altri paesi UE per quanto riguarda i livelli di formazione e di sviluppo:

  • Incidenza dei laureati nella fascia 30-34 anni: 23,9% tra i residenti in Italia contro il 38,0% nella media UE (ben 14 punti percentuali in meno);
  • investimenti in istruzione: 4,1% del PIL contro il 4,9% (tra l’altro, solo il 25% dei manager è laureato contro il 54% nell’UE);
  • investimenti in ricerca e sviluppo: 1,3% del Pil italiano contro il 2,2% nella media UE. I ricercatori in Italia sono 2 volte di meno rispetto alla Francia e al Regno Unito, 3 volte di meno rispetto alla Germania, 9 volte di meno rispetto al Giappone, 13 volte di meno rispetto agli Stati Uniti. Eppure questo è l’ambito dal quale gli italiani emigrano maggiormente (circa un quinto del totale si trova all’estero);
  • lavoratori impiegati nell’ambito della ricerca e dello sviluppo: 4 ogni 1.000 abitanti (circa 250mila), per cui nello Spazio Economico Europeo l’Italia è solo al sesto posto, dopo la Germania, la Francia e il Regno Unito e anche dopo la Svizzera e l’Olanda.

In prospettiva desta preoccupazione sia il fatto che l’Italia sia attardata rispetto ai valori medi europei negli ambiti della formazione e dello sviluppo, sia che, al suo interno, le regioni del Meridione si collochino al di sotto dei valori medi nazionali per quanto riguarda gli indicatori positivi (quali l’occupazione in alta qualifica, l’occupazione in “High Technology” e l’investimento in ricerca e sviluppo), mentre, al contrario, nelle regioni meridionali i valori sono più alti relativamente agli indicatori negativi (quali la marginalità occupazionale, l’insuccesso formativo e la spendibilità lavorativa).

Riflessione conclusiva

Istituto di studi politici “S. Pio V”

Istituto di studi politici “S. Pio V”

Nel panorama europeo l’Italia non si distingue per il numero dei laureati che espatriano (proporzionalmente più elevato in diversi Stati membri) ma piuttosto per la sua scarsa capacità di attrarre personale qualificato dall’estero. Alla perdita rappresentata dai costi sostenuti per la formazione degli emigrati si aggiunge quella per il mancato introito derivante dall’utilizzo dei brevetti depositati all’estero (3,9 miliardi per il periodo 1990-2010 secondo uno studio di “Scienza in rete” per 456 brevetti di ricercatori italiani recatisi all’estero).

Secondo la ricerca dell’Istituto “S. Pio V” e di Idos in Italia occorre insistere maggiormente sui livelli della formazione e dell’occupazione. Le migrazioni qualificate vanno considerate positivamente, a condizione: 1) che la decisione di andare all’estero sia frutto di una libera scelta e non di una costrizione di fatto e 2) che le uscite vengano compensate dalle entrate e in quest’ottica va rivalutata la funzione degli immigrati (per il 50,1% con’istruzione superiore contro il 48,0% degli italiani).

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