Metamorfosi urbane e riforma ecclesiale/I

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Cosa si intende precisamente per svolta urbana? In che senso le trasformazioni della città hanno notevoli ricadute sulla vita della popolazione mondiale? Quali discipline dobbiamo interpellare per comprendere le trasformazioni globali in quanto trasformazioni urbane?

Credere e abitare la storia

Potremmo interpretare la svolta urbana adottando una prospettiva quantitativa: la popolazione urbana cresce a dismisura, si moltiplicano le città con più di 20 milioni di abitanti. Città del Messico, Shangai e Mumbai sono solo alcuni esempi della città che si trasforma e probabilmente della città che viene. Nessuna di queste metropoli è in Europa.

Città di Mumbai India

Mumbai

Sono realtà enormi se si guarda al numero degli abitanti e all’estensione territoriale. Bisogna pertanto analizzare i dati statistici e demografici che hanno portato alla diffusione dell’espressione “urban turn”.

Per la prima volta nella storia dell’umanità la popolazione mondiale che vive in città ha superato quella che vive in piccoli centri o in contesti rurali. L’umanità è nella sua maggior parte urbanizzata. Non bisogna sottovalutare inoltre il rapporto strettissimo che intercorre tra l’urbanizzazione planetaria e la mobilità umana. Alcune città crescono a dismisura perché crescono i flussi migratori nazionali ed extranazionali.

Tra le cause della svolta urbana cinese, ad esempio, bisogna considerare il più grande flusso migratorio interno nella storia di quel paese. Le campagne cinesi si svuotano e Pechino è destinata, almeno nei progetti, a diventare il territorio urbanizzato più esteso al mondo. Si potrebbe dire che la città cambia perché l’umanità è in movimento.

L’ingiunzione alla mobilitazione totale non riguarda solo la popolazione migrante, ma la quasi totalità della popolazione mondiale che per esigenze diverse si sposta sempre più frequentemente e velocemente. La dimensione residenziale della vita urbana è sempre più strettamente connessa alla mobilità di persone, merci e idee.

La forma della città

C’è un secondo modo per capire la svolta urbana: concentrarsi non sul numero della popolazione mondiale urbanizzata, ma sulla forma della città. L’urbano cambia non perché la popolazione delle città cresce a dismisura, ma perché muta la forma della città. La svolta urbana coinciderebbe dunque con un’autentica metamorfosi della città, segnerebbe cioè l’entrata dell’umanità in una nuova fase della sua storia.

Dopo la città industriale e capitalista del secolo scorso, la nostra sarebbe l’epoca delle metropoli regionali. La mega-city-region o città-regione è profondamente diversa  dalla metropoli novecentesca. Una città-regione somiglia a un organismo polinucleare in cui diversi centri urbani sviluppano un alto livello di interconnessione, così da formare una realtà complessa e allo stresso tempo unitaria.

Per intenderci, l’unica città-regione italiana può essere considerata l’area urbano-regionale di Milano che abbraccia almeno dieci province appartenenti a tre regioni diverse. In una mega-city-region l’urbano deborda, perfora i confini amministrativi della singola città, provincia o regione.

La città diventa una piovra o una macchina metabolica che si espande creando nuove reti comunicative e produttive. La regionalizzazione dell’urbano rappresenta dunque un cambiamento della forma-città, un cambiamento così radicale da portate alcuni ad affermare che la svolta urbana coinciderebbe con la fine della città stessa.

Piovra

Paradossalmente la svolta urbana segnerebbe la nascita della postmetropoli. Nell’epoca delle postmetropoli la distinzione urbano-rurale perde senso e valore, non ci sarebbe più una realtà riconoscibile “al di fuori” della città, scomparirebbe l’al di là della città che tradizionalmente abbiamo identificato con il rurale.

La città diventa una potente e pervasiva macchina metabolica che necessita di energie e risorse collocate all’esterno dei propri confini geografici. In questo modo il rurale viene saccheggiato produttivamente dalla città, diventando la riserva energetica della macchina urbana.

Nessun altrove

Un terzo modo per capire cos’è la svolta urbana può essere così riassunto: la svolta urbana coincide con la fine della città-metafora. Vista con gli occhi di chi la abita, la città contemporanea non permetterebbe più il naturale esercizio del metaphorein, la città non sarebbe più un luogo in grado di evocare altri luoghi, uno spazio capace di portare altrove, capace cioè di rappresentare concretamente qualcosa di astratto attraverso un gioco di slittamenti semantici.

La natura metaforica della città è stata abbondantemente frequentata dalla teologia, si pensi all’asse tematico-metaforico che unisce la Città di Dio di Agostino alla Città secolare di Harvey Cox. Per quanto potente ed evocativa la metafora urbana può risultare traditrice anche in teologia, può infatti comunicare l’idea di una città astorica e decontestualizzata.

urbanizzazioneAssistiamo oggi alla progressiva riduzione delle potenzialità metaforiche della città a favore di una pervasiva materialità urbana: la città non porta chi la abita “fuori di sé”, ma esige dai propri cittadini la sola amministrazione della contingenza urbana.

L’urbano, completamente “demetaforizzato”, può diventare un incubo amministrativo.

In questo modo vita urbana è chiamata a rispondere a bisogni esclusivamente funzionali, deve organizzare bene le cose per fronteggiare la richiesta crescente di facilitazione, di mobilitazione, e di accelerazione.

La questione che qui si presenta è quella dell’alleanza nociva tra urbanizzazione e tecnocrazia. Se vengono progressivamente erosi gli spazi metaforici della città, ciò che resta è una smart-city totale. La svolta urbana può essere dunque compresa anche come svolta delle città intelligenti, smart per l’appunto.

Rapida, efficace, senza frizioni

Una città è intelligente, nel senso della smartness o della razionalità smart, quando è in grado di istituire una stretta correlazione tra governo della vita urbana, partecipazione politica, e tecnologia. Almeno in via potenziale una smart city è una città che si può governare da una cabina di pilotaggio, come si guida un aeroplano. Per fare questo non occorrono cittadini coinvolti e consapevoli, ma professionisti della partecipazione, facilitatori del governo urbano; occorrono tecnici della pianificazione e della gestione urbana. Il tessuto sociale di una smart city corre costantemente il rischio di depoliticizzarsi.

Ciò che conta, secondo una certa idea di città smart, è la facilitazione totale delle azioni e delle funzioni, comprese quelle relazionali e interpersonali. Dobbiamo a Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, l’invenzione del termine frictionless mentality (disposizione mentale all’assenza di attrito) che bene esprime il senso della smartness o della razionalità smart. La mentalità frictionless richiede l’azzeramento delle frizioni e degli impedimenti, richiede la riduzione totale dell’attrito.

La facilitazione totale lavora quindi a favore della liquidità totale. Un mondo virtualmente privo di attriti e frizioni sarebbe probabilmente un incubo. In esso perderebbe valore anche l’olio e l’unzione, che diventa in questo modo il più urbano dei gesti sacramentali.

Il potere delle città

La quarta e ultima accezione di svolta urbana interessa il quadro economico e geopolitico globale: la città è la scena inedita in cui si fronteggiano i nuovi soggetti globali dello sviluppo, della crescita economica e delle rivendicazioni identitarie. Si potrebbe parlare di svolta urbana nella misura in cui la rete delle città globali decide le sorti del governo economico e politico mondiale.

urbanizzazione

Le decisioni che contano passano dei centri direzionali delle città che contano. Si riconfigura così la mappa del potere globale in cui gli stati e gli organismi sovranazionali vedono ridurre la propria capacità di influenza. La svolta urbana consisterebbe quindi nella ridefinizione del paradigma dello sviluppo e della prosperità. Il mondo non si dividerebbe più in un nord sviluppato e in un sud sottosviluppato. In ogni metropoli infatti, indipendentemente dalla sua latitudine, convivono le condizioni dello sviluppo e del sottosviluppo globale[1]. Ogni città include al suo interno un nord e un sud globale.

Ogni città è fatta di pieghe sociali ed economiche in cui si annidano le diseguaglianze riscontrabili ovunque nel mondo. Per questa ragione la città diventa anche il principale terreno di conflitto nella rivendicazione dei diritti fondamentali. Ritorna prepotentemente il tema del “diritto alla città” lanciato nel secolo scorso da Enri Lefebvre.

Il diritto alla città è il diritto ad avere non tanto una città intelligente, quanto una città coinvolgente, una città in cui ciascuno viene messo nelle condizioni di poter contribuire a edificare l’urbano in quanto massima declinazione del comune.

È stato scritto che la città rappresenta oggi quello che era la fabbrica nel secolo scorso, luogo di lotte e di rivendicazioni, luogo in cui il conflitto può articolarsi in dissenso, in cui le singole identità possono costituirsi anche attraverso lo scambio argomentato delle pretese di validità, luogo in cui al dissenso viene attribuito un ruolo prezioso, vitale e democraticamente necessario[2].

Ciascuna delle precedenti interpretazioni della svolta urbana evidenzia un aspetto importante del nostro tempo, per questa ragione esse vanno integrate e non sono tra loro alternative. Credo però che occorra enunciare una tesi generale e in grado di giustificare la particolare attenzione nei riguardi della vita urbana anche da parte delle chiese e della teologia.

Ritengo che il tema dell’urbanizzazione possa essere considerato un terzo paradigma interpretativo insieme e quello della secolarizzazione e della globalizzazione. Riflettendo sulla specificità della vita urbana è possibile capire meglio alcune questioni problematiche per le teorie della secolarizzazione e della globalizzazione.

[1] D. Messner, «Il secolo delle città: percorsi verso la sostenibilità», in Concilium, 1/2019, 25-37

[2] Cf. D. Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città. Neoliberismo, urbanizzazione, resistenze, ombre corte, Verona 2016.

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Un commento

  1. don Gianni Gennaro 30 maggio 2019

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