Prostituzione e dignità umana

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Il bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in materia di prostituzione contenute nella legge 20 febbraio 1958 n. 75 (legge Merlin) va individuato non nella tutela della libertà di autodeterminazione sessuale, ma nel rispetto della dignità umana declinata in senso oggettivo, non potendosi attribuire alcuna rilevanza, ai fini della configurabilità dei reati che agevolano la prostituzione, all’atteggiamento soggettivo di chi la esercita. I reati di induzione e favoreggiamento della prostituzione debbono, pertanto, ritenersi integrati anche nel caso in cui essi siano collegati ad atti prostituivi realizzati con piena e consapevole adesione di chi decide, dietro corresponsione di denaro o di altre utilità, di fare del compimento di essi un’attività professionale o comunque una scelta di vita.

In quanto radicalmente in contrasto con la tutela della dignità umana, l’attività di chi opta per una tale scelta di vita non può essere ritenuta una forma di espressione della libertà della persona oggetto di tutela costituzionale né sotto il profilo degli articoli 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili) e 13 (inviolabilità della libertà personale), né sotto il profilo dell’articolo 41 (l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana) della Costituzione.

È il principio di diritto affermato dalla Corte di Appello di Milano nella sentenza, depositata il 16 luglio 2018,[1] per il così detto processo “Ruby bis”, nel procedimento penale che vede noti personaggi coinvolti nei reati di induzione e favoreggiamento dell’attività di prostituzione di giovani donne, presso la residenza in Arcore (Milano) dell’ex presidente del consiglio dei ministri Berlusconi, dove venivano organizzate serate particolari.

Si tratta di una pronuncia di notevole rilevanza che si differenzia drasticamente da quanto ritenuto, invece, dalla Corte di Appello di Bari la quale, per una vicenda del tutto simile, nel febbraio 2018 ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale della “legge Merlin” nella parte in cui punisce il reclutamento, l’induzione e il favoreggiamento della c.d. prostituzione libera quando la stessa sia volontaria, consapevole e professionale piuttosto che svolta in modo coatto per bisogno economico, dando ad intendere che quest’ultima oggi potrebbe essere considerata alla stregua di qualsiasi altra professione ed espressione del fondamentale diritto alla libertà sessuale;[2] diritto, quest’ultimo, che non potrebbe subire limitazioni ad opera del principio di dignità umana.

in materia di prostituzione

La dignità umana nella Costituzione italiana

Come è noto, la Costituzione italiana – contrariamente a quanto fa, invece, la Costituzione tedesca[3] – non contiene un espresso riconoscimento della dignità umana dichiarata inviolabile e posta a fondamento dell’ordinamento repubblicano.

Tuttavia, dal momento che la dignità coincide sostanzialmente con l’attributo primo e irrinunciabile della “persona”, essa è da considerare come un concetto che discende dal principio personalista che informa il nostro ordinamento.[4] La dignità, allora, significa che l’essere umano merita assoluto rispetto di per sé e – secondo l’ideale kantiano – è da trattare sempre come un fine e mai come un mezzo.

Quello della dignità della persona umana, pertanto, è un valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo[5] ovvero un valore supremo che «non conosce distinzioni e graduazioni di status personali»;[6] la dignità si propone come valore autonomo da non confondere e da non assimilare rispetto a quello, pure fondamentale, della libertà. Letta in questa luce, la carenza di una norma analoga a quella dell’articolo 1 della Costituzione tedesca si rivela non già una deficienza, bensì solo come il frutto di una diversa scelta terminologica: ciò che in Germania e in altri Stati trova veste giuridica nel richiamo alla “dignità”, in Italia si traduce nella constatazione della centralità dell’essere umano.

«La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Questi principi, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana ed hanno, quindi, una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale»:[7] uno di questi principi supremi è indubbiamente la dignità umana.

In sostanza, il valore della dignità umana riassume, in un certo qual modo, tutti gli altri valori contenuti nella Costituzione. La dignità esprime la saldatura fra eguaglianza, libertà e solidarietà oltre che cogliere il legame fra diritti fondamentali, sottolineandone l’universalità, l’indivisibilità e l’effettività.

La dignità umana nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”

A dichiarare espressamente inviolabile la dignità umana, analogamente a quanto fa la Costituzione tedesca, è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000 ed entrata in vigore il 1° dicembre 2009, con il Trattato di Lisbona.[8]

Nella Carta di Nizza, la dignità umana ha un carattere di preminenza rispetto agli altri diritti. Nel suo Preambolo la dignità umana compare come primo valore a fondamento dell’Unione Europea: «Consapevole del suo patrimonio spirituale e culturale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà».

Nell’articolo 1 ne è sancita l’inviolabilità: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». Dove l’aggettivo “inviolabile” va interpretato, contemporaneamente, in senso sia descrittivo che normativo. La dignità, cioè, è “inviolabile” in quanto “impossibile da violare”: essa è così inviolabile che nessuno ce la può togliere. Ma la dignità è anche “inviolabile” in quanto “non deve essere violata”: e per non essere violata deve essere conquistata quotidianamente per mezzo della libera e responsabile cooperazione dei singoli come delle comunità e delle istituzioni.

Le Spiegazioni relative alla Carta di Nizza[9] descrivono la dignità umana non solo come diritto fondamentale in sé, ma come base di tutti i diritti e, come tale, non suscettibile di subire pregiudizio (o bilanciamento).

L’effetto vincolante per il giudice italiano della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è stato per la prima volta affermato dalla sezione civile della Corte di Cassazione nel 2010.[10] Anche la sezione penale della Corte di legittimità[11] ha avuto occasione di pronunciarsi al riguardo, dichiarando che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea «rappresenta certamente uno strumento di interpretazione privilegiata anche per il diritto interno che si deve presumere coerente con quei valori che gli Stati membri e gli organi dell’Unione hanno comunemente accettato», con la conseguenza che, nell’interpretare le leggi nazionali ci si deve conformare ai principi promozionali del Trattato di Lisbona, «il che implica una tutela e una protezione della dignità in campi ove questa è massimamente soggetta ad attentati e lesioni tra le più rilevanti e potenzialmente devastanti, secondo criteri oggettivi e di natura pubblica, certamente non derogabili attraverso accordi tra le parti».

La dignità umana: un valore di priorità assoluta

Che la dignità umana, dunque, sia un bene costituzionalmente tutelato non vi sono dubbi.

Dalla giurisprudenza costituzionale emerge con nettezza che essa non rappresenta soltanto uno status esistenziale comune per natura a tutti gli esseri umani, ma è anche una valore fondamentale dell’assetto costituzionale italiano fortemente affermato e ampiamente riconosciuto.[12]

È significativo che, nella celebrazione dei cinquant’anni di attività della Consulta svoltasi il 22 aprile 2006 a Roma, il presidente emerito Gustavo Zagrebelsky, nell’elencare “i nostri principi costituzionali”, abbia voluto menzionare per primo appunto quello della “dignità”,[13] vale a dire quello stesso principio che, nel tracciare un bilancio del primo decennio di attività della stessa Corte, già il 13 dicembre 1967 il presidente Gaspare Ambrosini aveva rivendicato alla Corte il merito di aver messo in luce.

Con un orientamento che non è mai mutato nel tempo, la dignità umana – identificata talvolta con l’uso di sinonimi quali «dignità della persona», «dignità dell’uomo», «dignità della figura umana», «dignità del soggetto» – è qualificata come «valore di priorità assoluta e di carattere fondante nella scala di valori espressi dalla Costituzione»,[14] come «valore fondamentale»,[15] come «fine dell’ordinamento»,[16] come «valore posto dalla Costituzione alla base dei diritti della persona umana»,[17] come «valore supremo»,[18] come «valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo»[19] e che gioca, pertanto, un ruolo decisivo nell’interpretazione di tutte le norme dell’ordinamento giuridico.

Uno dei primi esempi di questa accezione è rintracciabile in una sentenza del giugno del 1964, là dove si afferma come «particolari ragioni di tutela della dignità umana hanno indotto il legislatore ad abolire la regolamentazione della prostituzione, la registrazione, il tesseramento e qualsiasi altra degradante qualificazione o sorveglianza sulle donne che esercitano la prostituzione».[20]

La legge 20 febbraio 1958 n. 75, infatti, è stata introdotta in Italia anche per recepire quanto previsto dalla Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 317 (IV) del 2 dicembre 1949 ed entrata in vigore il 25 luglio 1951, la quale afferma che «la prostituzione è incompatibile con la dignità e il valore della persona umana».

La dignità umana: un bene indisponibile e inderogabile

Il punto è stabilire se la dignità umana sia un bene indisponibile e inderogabile, oppure se si tratti di un bene disponibile e comunque rinunciabile. Ovvero se il concetto di “dignità” possa essere inteso in senso “oggettivo” o “soggettivo”.

Sulla questione dottrina e giurisprudenza si dividono.

Semplificando, si può affermare che, per la Corte di Appello di Bari, la dignità va intesa in senso soggettivo. Conseguendo alle libere scelte di un individuo capace di autodeterminarsi in ambito sessuale[21], essa sarebbe un “concetto” diverso da soggetto a soggetto, con la conseguenza che ciò che è ripugnante per qualcuno potrebbe essere dignitoso per qualcun altro. Ritenere che la dignità dell’individuo capace possa essere protetta coercitivamente contro il medesimo sarebbe in contrasto con il principio della sua autodeterminazione. La dignità in siffatta ipotesi si convertirebbe in un disvalore, cioè in un retaggio di una concezione autoritaria e paternalistica da cui il diritto penale moderno dovrebbe affrancarsi. Secondo la Corte di Appello di Bari, la prostituzione non sarebbe solo un’attività semplicemente tollerata da un punto di vista giuridico, ma essenzialmente un’attività riconducibile a una libertà garantita dall’articolo 2 della Costituzione, ovvero al diritto di elargire sessualità lucrativa.

Per la Corte di Appello di Milano, invece, la dignità umana va intesa in senso oggettivo. Come si legge nella recente sentenza, ai fini della configurabilità dei reati connessi alla prostituzione, diviene «irrilevante l’atteggiamento soggettivo della prostituta». Ne deriva che la contrattualizzazione dell’attività sessuale, ancorché scelta deliberatamente e liberamente, si pone in contrasto con la tutela della dignità della persona, che è il bene giuridico tutelato dalla legge. Vendere e comprare prestazioni sessuali non può, pertanto, considerarsi una forma di espressione della libertà della persona oggetto di tutela costituzionale.

La condivisibile soluzione interpretativa della Corte di Appello di Milano giustifica, sotto il profilo della compatibilità costituzionale, la repressione penale delle condotte che agevolano la prostituzione sia quando quest’ultima è oggetto di costrizione sia quando è espressione di libera scelta. La dignità, bene indisponibile e irrinunciabile anche per chi si prostituisce, deve essere protetta “a prescindere”.

Detto altrimenti: la libertà di autodeterminazione sessuale non può violare il principio di dignità umana che rappresenta la pietra angolare dell’intero ordinamento costituzionale.

in materia di prostituzione

La salvaguardia della dignità non tollera limitazioni neanche ad opera di chi ne è titolare

In tema di inderogabilità del principio della dignità umana ha “fatto scuola” una decisione del Consiglio di Stato francese[22] di straordinaria importanza, perché afferma che il rispetto della dignità umana è un obbligo della comunità: obbligo che può addirittura prevalere su altri diritti fondamentali dell’individuo di cui si tratta di rispettare la dignità. Merita riassumere l’intera vicenda.

Nel 1991 la discoteca di un paese di provincia, Morsang-sur-Orge, a pochi chilometri a sud di Parigi, inserì in uno spettacolo serale il “lancio del nano”: si offriva agli spettatori la possibilità di scagliare lontano un nano di 24 anni, Manuel Wackenheim. Questi indossava una tuta protettiva e il “gioco” consisteva nel vedere chi riuscisse a lanciarlo più lontano, su un materassino gonfiabile. Il sindaco della cittadina vietò lo spettacolo, affermando che era contrario all’ordine pubblico e alla dignità umana, nonostante il nano avesse liberamente scelto di prestarsi al suddetto spettacolo.

La società che gestiva lo spettacolo si rivolse al Tribunale amministrativo di Versailles, sostenendo che l’ordinanza del sindaco violava il diritto di ogni persona a scegliersi liberamente il proprio lavoro e ad esercitare una professione di sua scelta. Il Tribunale amministrativo accolse l’istanza, ma il sindaco fece ricorso al Consiglio di Stato, il quale annullò la sentenza del Tribunale con una decisione del 27 ottobre 1995 sulla base della considerazione che la salvaguardia della dignità umana è principio assoluto che non tollera limitazioni neanche ad opera del suo titolare e che, in quanto tale, è sovraordinato rispetto alla garanzia di altre libertà fondamentali, quali quelle del lavoro e dell’iniziativa economica.

Il protagonista della vicenda fece ricorso a due organi internazionali: la Commissione Europea dei diritti dell’uomo e il Comitato dei Diritti dell’uomo dell’Onu. Il ricorso fu respinto il 16 ottobre 1996 dalla prima e il 26 luglio 2002 dal secondo.

La dignità umana è, dunque, dote indisponibile della persona, sottratta alla libera disponibilità dell’individuo che ne è portatore. È una caratteristica intrinseca e una prerogativa di ogni essere umano: va riconosciuta, ma anche tutelata. Alla dignità ricevuta in dono va associata la dignità conquistata per mezzo della libera e responsabile cooperazione dei singoli come delle comunità e delle istituzioni.

Contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana costituisce un compito essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che istituzioni e singoli cittadini sono chiamati a rendere alla famiglia umana.

Sessualità umana: reificazione mercenaria o componente fondamentale della personalità?

Pronunciandosi, nei prossimi mesi, sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Bari, la Corte Costituzionale potrà chiarire autorevolmente se il fondamentale principio della libertà nella sfera sessuale[23] possa essere utilizzato per ricomprendere nella tutela dei diritti inviolabili accordata dall’articolo 2 della Costituzione l’autodeterminazione lucrativa della propria corporeità e genitalità come forma di estrinsecazione dell’iniziativa economica privata, anteponendola alla dignità umana.

Il Giudice delle leggi dovrà dirci se la libera autodeterminazione di una persona nell’ambito della propria intimità sessuale possa giustificarne la “reificazione” mercenaria, cioè la riduzione di se stessa, dietro corresponsione di denaro, al rango di un oggetto (di una res) a servizio delle voglie sessuali altrui.

Forse sarà un’occasione storica per affermare che non la libera mercificazione del sesso è da considerare alla stregua di un diritto soggettivo assoluto da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione, ma il benessere sessuale, quale approccio positivo e rispettoso alle relazioni sessuali all’interno di esperienze appaganti, gioiose, condivise, umanizzanti e libere, quindi, da ogni forma di strumentalizzazione, umiliazione, discriminazione o violenza.


[1] Reperibile in www.giustiziami.it.
[2] Cf. SettimanaNews.it n. 15/2018 (dal 9 al 15 aprile), Signor presidente, sulla prostituzione mi ascolti, di Andrea Lebra.
[3] Il primo comma dell’articolo 1 della Grundgesetz recita: «La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla».
[4] «Il vigente ordinamento costituzionale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti» (Corte Costituzionale, sent. n. 26 dell’11 febbraio 1999) . A base dei diritti della persona umana la Costituzione pone il valore della dignità dell’uomo «sotto l’aspetto dell’autostima e della coscienza del proprio valore nell’ambito dei rapporti con gli altri uomini» (Corte Costituzionale, sent. n. 37 del 5 febbraio 1992).
[5] Corte Cost., sent. n. 293 del 17 luglio 2000.
[6] Corte Cost., sent. n. 414 del 19 novembre 1991.
[7] Corte Cost., sent. n. 1146 del 29 dicembre 1988.
[8] Ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190.
[9] Benché non abbiano di per sé status di legge, le “spiegazioni” rappresentano un prezioso strumento d’interpretazione destinato a chiarire le disposizioni della Carta. Sono reperibili in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 303/17 del 14 dicembre 2007.
[10] Cassazione, sez. civ. III, sent. n. 2352 del 2 febbraio 2010.
[11] Cassazione, sez. pen. II, sent. n. 28658 del 21 luglio 2010: «la filonomachia della Corte di Cassazione include anche il processo interpretativo di conformazione dei diritti nazionali e costituzionali ai principi non collidenti ma promozionali del Trattato di Lisbona e della Carta di Nizza che esso pone a fondamento del diritto comune europeo. Il che implica una tutela e una protezione della dignità, in campi ove questa è massimamente soggetta ad attentati e lesioni tra le più rilevanti e potenzialmente devastanti, secondo criteri oggettivi e di natura pubblica certamente non derogabili attraverso accordi tra le parti».
[12] In una delle prime sentenze della Corte Costituzionale (sent. n. 11 del 3 luglio 1956) è stato affermato che il principio sancito dall’articolo 2 della Costituzione in tema di riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili della persona «eleva a regola fondamentale dello Stato, per tutto quanto attiene ai rapporti tra la collettività e i singoli, il riconoscimento di quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della personalità umana»: diritti che appartengono all’essere umano inteso come essere libero.
[13] Questa la citazione integrale del presidente Zagrebelsky: «(…) i nostri principi costituzionali, nell’essenziale, hanno portata universale: la dignità, l’uguaglianza e i diritti umani, la pace, la giustizia ecc. La loro violazione rileva, innanzitutto da un punto di vista morale, in qualunque luogo della terra essa avvenga».
[14] Corte Costituzionale, sent. n. 467 del 19 dicembre 1991.
[15] Corte Costituzionale, sent. n. 561 del 10 dicembre 1987.
[16] Corte Costituzionale, sent. n. 161 del 24 maggio 1985.
[17] Corte Costituzionale, sent. n. 37 del 5 febbraio 1992.
[18] Corte Costituzionale, sent. n. 414 del 19 novembre 1991.
[19] Corte Costituzionale, sent. n. 293 del 17 luglio 2000.
[20] Corte Costituzionale, sent. n. 44 del 16 giugno 1964.
[21] La Corte Costituzionale, con sentenza n. 561 del 18 dicembre 1987, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale di alcune norme disciplinanti i trattamenti pensionistici di guerra nella parte in cui non prevedono l’indennizzo dei danni morali patiti dalle vittime di violenze sessuali consumate in occasione di fatti bellici, affermò che la violenza sessuale costituisce, nell’ordinamento giuridico penale, «la più grave violazione del fondamentale diritto alla libertà sessuale» e comporta «la lesione di fondamentali valori di libertà e dignità della persona», potendo anche dar luogo «a pregiudizi alla vita di relazione». «Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 della Costituzione impone di garantire».
[22] Si tratta di una decisione del 27 ottobre 1995.
[23] Principio affermato – come ricordato nella nota 21–- nell’ambito di una vicenda relativa agli stupri consumati ai danni delle donne in occasione di eventi bellici.

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Un commento

  1. Francostars 14 agosto 2018

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