Quei morti in mare

di:

cutro

Occorre adoperarsi per la difesa di coloro che fuggono dalla miseria o da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro esistenza.

A Kr14f9

Una bambina affogata insieme a tanti altri. Un corpicino senza nome né data di nascita. Quattordicesima salma (14), di sesso femminile (f), di nove anni (9), recuperata nel mare di Steccato di Cutro, lembo di spiaggia tra l’altopiano, il fiume Tacina e il mare, conosciuta fino al secolo V come il “tenimento di Tacina”.

Mai avremmo immaginato di dover ricordare, a ridosso della festa dell’8 marzo, anche i corpi di tante piccole donne, mentre si continuano a contarne troppi altri al largo delle coste calabresi.

Il nostro ricordo dolente assume Kr14f9 come emblema dei tanti uomini e donne che si erano dovuti affidare a un viaggio disperato sulla sgangherata imbarcazione salpata dalla Turchia, pur di sfuggire alle guerre e alle violazioni dei diritti umani in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Somalia, forse Siria.

Fiat

«Ho visto la carne di Gesù Cristo sulla sabbia»: le parole del parroco di Steccato di Cutro rendono bene la situazione, quasi facendo eco a quanto, a fine Ottocento, andava ripetendo Giacomo Cusmano sugli ultimi e i poveri: essi sono davvero come il “nascondiglio” di Cristo, anzi il suo sacramento, l’ottavo.

No, non si può dire fiat di fronte alla situazione di questo lembo di mare che collegava, come si legge nelle antiche iscrizioni, Crontona-Lacenium-Annibali-Scilatio. Una lunga via tra Crotone e Squillace, oggi un’unica interminata fascia costiera, terra di agricoltura e turismo, a volte anche di ’ndrangheta e di corruzione, quasi sempre di grande accoglienza e sacrificio, come proprio l’immane tragedia di Steccato ha ricordato e testimoniato.

Funere mersit acerbo

In morte acerba sommerse: l’Eneide ci presenta un Enea appena disceso nel regno dell’oltretomba, colpito dalle voci e dai pianti dei bambini sommersi in un’immatura morte. Quei versi riprenderà Carducci, scrivendo il sonetto per la morte del figlio di tre anni.

La morte, ogni morte, riacutizza più e più volte il dolore del mondo, soprattutto quando siamo di fronte a gente evidentemente disperata, che non può investire il proprio denaro in crociere di lusso, ma in estremi viaggi della speranza, mettendosi nelle mani di scafisti che lucrano sulla vita umana e astuti organizzatori della tratta di esseri umani. Gente che non è neppure in condizione di lanciare col cellulare un SOS per configurare la propria navigazione come soggetta ad operazioni che domandano soccorso piuttosto che interventi di polizia.

Ed era tutto un urlo

«E gli altri, come tonni, come branchi/ di pesci, con i remi ci picchiavano,/ ferivano, straziavano, ammazzavano,/ ed era tutto un urlo ed un lamento/ sul mare aperto fino a che la notte/ ci tolse con le tenebre la vista».

I versi che Eschilo, nella tragedia I Persiani, pone sulle labbra dell’araldo che riferisce alla regina circa i morti di Salamina, ci fanno alzare ora in piedi di fronte alle salme di Cutro.

Ancora nell’Eneide, dalla conoscenza dello spergiuro Sinone, Virgilio trae motivo di riprovazione per tutti. Anche da una sola delle morti per il naufragio di Steccato dobbiamo ricavare tanti insegnamenti.

La vita è sacra e va salvaguardata, sempre: salvare le vite resta un principio inviolabile. È altrettanto vero che «la civiltà nasce non tanto con le grandi scoperte, ma con un atto di umanità, di ospitalità», affermava Jean Danielou, il teologo gesuita nominato cardinale da Paolo VI.

È una sfida al conformismo e all’insicurezza, che potrà dirsi vinta solo quando lo straniero, per dirla con una terminologia latina, da hostis diverrà hospes.

Per questo, servono una nuova evangelizzazione e nuove strategie pastorali, per dialogare con esperienze religiose differenti, individuando metodi e linguaggi per un’attualizzazione sempre vitale della parola di Dio, ma anche la ferma consapevolezza di doversi adoperare per la difesa di quanti, fuggiti soltanto dalla miseria o da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro esistenza, hanno bisogno della nostra accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri.

Da nemico ad ospite, dunque, secondo gli insegnamenti del cristianesimo, sull’esempio di Abramo che, «nell’ora più calda del giorno», accoglie a braccia aperte e con premura i tre personaggi che si presentano davanti alla sua tenda sotto la quercia di Mamre (Gen 18,1).

È tempo di scelte coraggiose e organiche, non di opportunismi, ma di visioni.

È tempo che i diversi attori si confrontino per trovare una soluzione corale e costruttiva, per il bene di tutti.

È tempo che l’Italia e l’Europa dimostrino d’essere all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo.

La bussola, per i cristiani e non solo, restano i quattro verbi indicati da papa Francesco in relazione alla questione delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Obbligo morale di tutti, mentre seppelliamo nelle nostre terre, insieme agli altri, anche il cadavere di Kr14f9.

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