Salute mentale

di:

benevelli1

Si celebra oggi, 10 ottobre, la Giornata mondiale della salute mentale (istituita nel 1992) che ha per tema “Rendere la salute mentale e il benessere di tutti una priorità”. Il tasso di persone colpite da disturbi mentali è aumentato a livello globale e la loro stigmatizzazione e discriminazione continuano a essere un ostacolo all’inclusione e all’accesso alle cure adeguate. Ma è sempre più riscontrato che, con le giuste strutture sociali e istituzionali, la prevenzione dei disturbi mentali, e il benessere di ogni cittadino del mondo, è possibile.

È uscito quest’anno il libro Healing – our path from mental illness to mental health di Thomas Insel, figura di assoluto primo piano della psichiatria nord-americana e mondiale, dal 2002 al 2015 guida del National Institute of Mental Health, l’organismo del Governo Federale USA che ha la missione di approfondire la conoscenza e i trattamenti delle malattie mentali attraverso la ricerca clinica e di base, con lo scopo ultimo di innovare e facilitare i percorsi di prevenzione, recovery e cura.

Insel agli esordi della sua carriera pensava che il miglioramento dell’assistenza potesse derivare da migliori trattamenti. In altri rami della medicina la ricerca biomedica ha prodotto enormi progressi, salvato vite, dato qualità agli anni di vita, mentre nell’ambito della salute mentale questo non è accaduto: negli USA è calcolato in 15 milioni il numero di persone con disturbi mentali gravi per i quali non vi è stata riduzione nel numero delle morti e delle disabilità e le famiglie hanno continuato ad essere la prima risposta da involontari caregiver, fra fallimenti e cattivi consigli.

La malattia mentale è di per sé diversa da una malattia del corpo, ma non è una condanna a vita: le persone possono risollevarsi, ritrovare una vita piena e significativa. Ma una migliore assistenza sanitaria non significa di per sé migliori esiti, perché questi dipendono da qualcosa di molto di più e diverso: in fatto di salute mentale i trattamenti devono essere associati a quell’assistenza (prossimità) personalizzata di cui le persone necessitano e alla messa a punto di un trattamento centrato sul singolo perché la medicina di precisione non appartiene alla psichiatria. Senza considerare poi che vi sono diffuse opinioni negative circa i trattamenti, aspetto che tiene lontani i pazienti dalle cure.

Quando una persona si ammala per la prima volta di una malattia mentale, già al primo episodio dovrebbero essere disponibili – insieme – psicoterapie, farmaci, educazione e sostegno ai famigliari, lavoro e/o istruzione a supporto dei giovani, pari con esperienza.

Qui Insel denuncia i fallimenti del sistema sanitario del suo paese e propone come parole d’ordine di un nuovo indirizzo del lavoro per la salute mentale tre “P”, ossia le iniziali delle parole People, Place, Purpose, che possiamo tradurre in gente, contesti di vita, scopi di vita. Fare salute mentale comporta equità, fiducia, vita, incontri fuori dalle istituzioni sanitarie. Perché la malattia mentale ha una natura medica, ma le soluzioni dei problemi sono anche sociali, ambientali, politiche.

Per ogni problema non c’è un’unica via d’uscita e non c’è bisogno di rinchiudere le persone perché soffrono di disturbi mentali: si può migliorare la qualità dell’assistenza, integrando i trattamenti e addestrando gli operatori a erogare trattamenti che funzionano. E qui Insel cita l’esperienza di Trieste caratterizzata da un approccio olistico, dalla scelta dell’ospitalità al posto dell’ospedalizzazione, da un mandato basato sull’agenda dei diritti umani. La crisi della salute mentale, infatti, non è una crisi assistenziale, ma dei diritti umani.

Negli USA le malattie mentali sono fra le maggiori cause di morte per suicidio (non omicidio), più del cancro della mammella, della prostata, dell’aids. Il dato è in aumento anche senza considerare le morti per overdose, epatite ecc. Secondo dati ufficiali del 2006, in 8 Stati, le persone con disturbo mentale in carico ai sistemi pubblici (Medicare, MedicaAid) muoiono da 15 a 30 anni prima del resto della popolazione.

Le cause di morte sono patologie cardiache, cerebrovascolari, cancro, respiratorie, come se non ci fossero stati grandi progressi nelle cure di tali malattie. Dal 1990 al 2016 le disabilità correlate alle malattie mentali sono aumentate del 43%, andando a costituire un enorme ulteriore problema nel XXI secolo, tenendo conto del fatto che si è stimato che un adulto su venti soffra di gravi disturbi mentali. Un vero disastro!!! Perché questo a fronte della disponibilità di trattamenti efficaci?

Nella cura del diabete la combinazione di insulina e altri farmaci con i cambiamenti nello stile di vita, l’istruzione della famiglia e la lungo-assistenza, hanno consentito che le persone con diabete possano continuare a funzionare invecchiando, pur affette da una grave malattia cronica.

Anche nelle malattie mentali si tratta di ricostruire una vita attraverso progetti personalizzati di recovery gestiti da squadre di operatori che aiutano la persona a vivere nella propria a casa, garantiscono sostegno nella scuola e nel lavoro, psico-educazione della famiglia tenendo conto dei bisogni e dei desideri dei pazienti, a differenza di uno sguardo clinico rivolto alla sola ripresa dei sintomi.

Oggi, sul versante delle cure, disponiamo di trattamenti efficaci, facili da applicare: in particolare, i farmaci, se correttamente assunti, sono più efficaci dei placebo. Tuttavia, la compliance è fra le più basse (meno del 50%). Il fatto è che il farmaco è solo una parte di ciò di cui hanno bisogno le persone con disturbo mentale per condurre una vita piena e ricca. Vi sono poi le psicoterapie che richiedono la motivazione e l’adesione del paziente e i trattamenti riabilitativi che si rivolgono alla persona intera (whole person care).

Drammatico per le sue dimensioni è il fenomeno della trans-istituzionalizzazione: le prigioni, infatti, sono diventate de facto ospedali psichiatrici, ospitano persone che non sono ancora state giudicate: Insel cita la prigione della Contea di San Francisco con 1.300 reclusi di cui 200 in trattamento con antipsicotici e 200 con antidepressivi. Candidati al carcere sono soprattutto afroamericani e senza casa. I tassi di suicidio nei detenuti in attesa di giudizio sono 10 volte superiori rispetto al resto della popolazione. A loro volta i manicomi di Stato sono diventati manicomi giudiziari, prigioni, con degenze che durano anche anni. Insomma – commenta Insel –, è avvenuto che le prigioni sono diventate ospedali e gli ospedali prigioni.

Vi è anche il dato catastrofico della condizione di metà delle donne detenute che sono madri single, il che significa che ci sono 250.000 bambini col loro unico genitore in carcere. Il nesso polizia-malattia mentale-violenza porta con sé razzismo, eccesso di reazione, abbandono: le persone con disturbo mentale grave rischiano 16 volte di più di essere coinvolte in operazioni di polizia, con conseguenze gravi anche per la salute mentale degli stessi agenti coinvolti (suicidi, PTSD, alcolismo). Un giovane con psicosi che abbisogna di valide opportunità di assistenza, al 50% può finire in prigione, al 25% fra i senza dimora, al 25% in ospedale o in una struttura di ricovero su 24 ore.

È necessario quindi cercare una via d’uscita da una situazione inaccettabile. Di qui la centralità delle “3 P”, da porre al centro dell’assistenza in una società che sia più equa, inclusiva, sensibile, compassionevole. Recovery è ri-costruirsi una vita. Ma – osserva Insel – manca il mandato (politico) per il cambio di parametro.

Insel denuncia anche la carenza nella formazione dei professionisti, da ricerche sugli esiti dei trattamenti e sul rapporto fra cure e stigma. Gran parte delle prestazioni assistenziali nelle malattie mentali è erogata non da medici o da infermieri, bensì da familiari e comunità. Le famiglie indicano lo stigma come il problema più importante, effetto di inadeguate coperture assicurative, scarsi investimenti nella ricerca, pochi progressi nelle cure, trattamenti mancati.

Lo stigma ha già accompagnato malattie come il cancro e l’aids, prima della disponibilità di trattamenti efficaci. Insel propone di usare al posto del termine stigma – che rievoca vittimizzazione e inazione – il termine discriminazione che richiama la giustizia sociale.

Quanto all’adesione alle terapie, un’indagine del 2019 riporta come nei casi di diabete e di malattia cardiovascolare, ad una settimana dalla dimissione, sia del 75%, meno del 50% invece per la salute mentale. Troppo poche persone ricevono cure per il timore dei trattamenti cui potrebbero essere sottoposte, in particolare per le cure in regime di coazione. Qui Insel cita come «lato oscuro della storia» le 60.000 sterilizzazioni praticate nel XX secolo in 27 Stati americani con motivazioni eugenetiche su persone con disturbi mentali o deficit intellettivi e che tale pratica è fuori legge in California solo dal 2014.

E Insel così conclude: anni ad ascoltare le famiglie, visitare rifugi per senza casa, residenze protette, cliniche, ospedali, carceri, mi hanno convinto che le questioni sono più complesse e le soluzioni di gran lunga più semplici. Per troppo tempo abbiamo chiesto alle persone e alle famiglie di arrangiarsi da sole nelle difficoltà.

Dalle famiglie che hanno perso i figli con malattia mentale ho imparato il potere distruttivo dell’anima che hanno queste malattie; da chi si è battuto con la depressione e la psicosi ho imparato l’importanza della pazienza e del coraggio; da coloro che ne sono usciti, il potere dell’amore e dell’impegno a raggiungere lo scopo.

Healing è un testo di rara eloquenza e potenza, che racconta l’approdo alla salute mentale coi modi delle più ricche esperienze della riforma italiana, da parte del direttore di uno dei più importanti centri mondiali di ricerca biomedica psichiatrica. Credo che siano assolutamente utili la sua traduzione e la messa a disposizione del pubblico italiano.

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