Satana, i soldi e il mago

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Un sedicente mago che si fa versare più di 10.000 euro da una donna ultraottantenne, affetta da infermità e da deficienza psichica, per liberarla da satana, risponde o no del reato di circonvenzione di incapace?[1]

È la (curiosa, ma non rara!) questione che la Corte di Cassazione è chiamata a risolvere. Lo ha fatto nuovamente con un’istruttiva sentenza del 26 marzo 2018.[2]

Il fatto

Un mago, in concorso con un collega, si fa versare da un donna ultraottantenne, che soffre di disturbi neurocognitivi ed è affetta da idee subdeliranti con allucinazioni visive, la somma di circa 11.000 euro per liberarla da asseriti fenomeni satanici dei quali la donna sarebbe vittima.

Con sentenza del marzo 2016, la Corte d’appello di Roma conferma la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Roma nel giugno 2012, con la quale il santone era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione e ad euro 600,00 di multa per il reato di circonvenzione di incapace.

Avverso detta sentenza, l’imputato ricorre in Cassazione, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità per il delitto contestato, mettendo in dubbio l’effettivo stato di infermità o la deficienza psichica della persona offesa comprovato da documentazione formata o ottenuta grazie ai “buoni uffici” del figlio (medico) e della nuora (magistrato) della medesima.

La decisione della Corte di Cassazione

Nel dichiarare la manifesta infondatezza del ricorso del mago, i giudici di legittimità non si limitano solo a rilevare che il giudizio sulle reali condizioni di salute della vittima emerge altresì da certificazione medica rilasciata dalla ASL di Roma, ma ricordano anche che l’anziana vittima, comparsa in precedenti dibattimenti, aveva evidenziato in modo assolutamente chiaro la propria condizione di disorientamento nel tempo e nello spazio: condizione che aveva indotto il pubblico ministero a rinunciare al suo esame e il giudice tutelare ad imporre la nomina di un amministratore di sostegno della stessa.

A ulteriore comprova di tale simile condizione, le testimonianze acquisite nel corso del processo hanno riferito di delirio mistico, di allucinazioni e di condizione delirante a sfondo religioso, evidenziando un contesto di assoluta debolezza e incapacità, nel quale si è innestato il facile intervento del mago che, approfittando di detta condizione e vantando una sua “capacità di liberazione” dalle molteplici afflizioni della donna, si faceva da essa consegnare a più riprese denaro per importi complessivi pari a circa 11.000 euro.

Configurabilità del reato

L’interesse della sentenza in esame risiede nell’esemplare puntualizzazione, da parte della Corte, del reato di circonvenzione di incapace. Reato particolarmente odioso non solo perché va a colpire l’aspetto patrimoniale di persone deboli, ma perché ne intacca in profondità anche l’aspetto psicologico.

Ai fini dell’integrazione dell’elemento materiale del delitto di circonvenzione di incapace, devono concorrere – si legge nella sentenza – le sottoindicate condizioni:

  • l’instaurazione di un rapporto “squilibrato” fra vittima e reo, in cui quest’ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l’assenza o la diminuzione della capacità critica;
  • l’induzione a compiere un atto che importi per la vittima o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso;
  • l’abuso dello stato di vulnerabilità, che si verifica quando il reo, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sé o ad altri un profitto;
  • l’oggettiva esistenza e riconoscibilità all’esterno della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.
Circonvenzione di incapace: ulteriori chiarimenti

Tre sono le categorie di incapaci tutelati dalla norma:

  • i minorenni,
  • gli infermi psichici (anche se non interdetti),
  • i deficienti psichici (anche se non interdetti).

Non è agevole distinguere concettualmente gli infermi dai deficienti psichici. Nel diritto vivente il riferimento allo stato di infermità o deficienza psichica è interpretato in modo ampio. Tale stato si sostanzia in tutte le forme, anche non morbose, di abbassamento intellettuale, di menomazione del potere di critica, di indebolimento della funzione volitiva ed affettiva, che rendono facile la suggestionabilità e diminuiscono i poteri di difesa contro le insinuazioni e le insidie, essendo «deficienza psichica» qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie.

Quanto al rapporto tra truffa (art. 640 c.p.) e circonvenzione di incapaci (art. 643 c.p.), la condotta tipica dell’abuso della circonvenzione non esige che la qualità dell’azione raggiunga il livello degli artifizi o raggiri (previsti per la truffa), ma neppure li esclude. Pertanto, ove la condotta del reo sia riconducibile astrattamente ad entrambe le fattispecie richiamate, ma l’abuso si sostanzi in artifizi o raggiri posti in essere in un lasso temporale unitario e circoscritto, connotato dalla condizione di deficienza psichica della persona offesa, la circonvenzione di incapace assorbe la truffa.[3]

Relativamente alle condotte di abuso e di induzione, esse consistono rispettivamente in qualsiasi pressione morale idonea al risultato avuto di mira e in tutte le attività di sollecitazione e suggestione capaci di far sì che la vittima presti il suo consenso al compimento dell’atto dannoso.

Ai fini della prova dell’induzione, non è richiesta la dimostrazione di specifici episodi, potendo il convincimento del giudice formarsi anche su elementi indiziari, quali la natura degli atti compiuti dall’incapace e il pregiudizio dagli stessi derivante.

Gli atti (e i contratti) stipulati dall’incapace, quale frutto del reato ex art. 643 c.p., sono nulli e non semplicemente annullabili, per contrasto con norma imperativa, giacché va ravvisata una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti,[4] che, a differenza della nullità, può essere fatta valere solo su istanza della parte interessata.

Bene giuridico tutelato

Ancorché sia inquadrato dal codice penale tra i reati contro il patrimonio, in merito all’individuazione del bene giuridico tutelato dalla «circonvenzione d’incapaci» si fronteggiano, in dottrina e in giurisprudenza, principalmente due tesi.

Da una parte, un orientamento “personalistico”, secondo il quale il bene giuridico protetto dalla norma penale coinciderebbe con la dignità e la libertà di autodeterminazione dell’incapace, per cui ad essere leso non sarebbe tanto il patrimonio quanto l’interesse dello stesso alla libera esplicazione delle sue attività.

Dall’altra, un orientamento “patrimonialistico” che, partendo proprio dalla collocazione sistematica del reato tra i delitti contro il patrimonio, individua il bene giuridico tutelato dalla norma nell’inviolabilità del patrimonio dell’incapace.

Non manca, tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza, chi lo considera un reato plurioffensivo, lesivo cioè sia dell’interesse patrimoniale del soggetto incapace sia della sua libertà di autodeterminazione.


[1] Previsto dall’articolo 643 c.p.: «Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o dell’inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o di deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 206 euro a 2065 euro».

[2] Trattasi della sentenza n. 13868 del 26 marzo 2018 della Seconda sezione penale della Corte di Cassazione.

[3] Cassazione Penale – Sezione II, sent. n. 945 del 13 gennaio 2016.

[4] Cassazione civile, Sezione II, sent. n. 7081 del 20 marzo 2017.

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