Sui “social” insulti e fanatismo

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Giuseppe SavagnoneGiuseppe Savagnone è docente alla Scuola di formazione politica Pedro Arrupe, alla Scuola superiore di specializzazione in bioetica e sessuologia dell’Istituto teologico San Tommaso di Messina e alla Lumsa di Palermo. Direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della cultura, partecipa al Forum della Conferenza episcopale italiana per il Progetto culturale. Editorialista dei quotidiani Avvenire e Giornale di Sicilia. Per EDB ha pubblicato Il Vangelo nelle periferie. Comunicare la fede nella società liquida (2a ed. 2014) e Il gender spiegato a un marziano (3a ed. 2017). Firma una rubrica intitolata “I chiaroscuri” sul sito web www.tuttavia.eu, da cui riprendiamo la riflessione dello scorso 3 agosto.

La novità più positiva e al tempo stesso la più inquietante che l’attuale dibattito politico fa emergere è l’attiva partecipazione, soprattutto attraverso i social, dei cittadini, in particolare di coloro che sostengono la svolta attuatasi con le elezioni del 4 marzo scorso.

Non si tratta più di una «maggioranza silenziosa», come accadeva in passato, perché ormai, grazie Internet, è possibile a tutti esprimere il proprio parere. E molti lo fanno. Proprio per questo, però, siamo in grado di valutare, al di là del dato quantitativo, la qualità del consenso. E qui cominciano i problemi.

Naturalmente essi si pongono anche per il dissenso, i cui toni a volte sono ben lontani dallo stile di un dibattito democratico. Sono noti gli insulti rivolti dallo scrittore Saviano al ministro degli Interni: «Buffone», «Ministro della malavita»… E ha fatto molto discutere la copertina di Famiglia cristiana che identificava Salvini addirittura con Satana. Demonizzazioni indicative dello stile violento che oggi ha assunto il confronto politico, distogliendo dai suoi reali contenuti.

È sui social, però, che questo imbarbarimento si manifesta come effetto collaterale – ma drammatico – di quella maggiore partecipazione dei cittadini, di per sé salutare per la democrazia.

Un esempio significativo sono i commenti critici che, sulla rete, accolgono le prese di posizione degli oppositori del «governo del cambiamento». Una vera democrazia passa attraverso il dibattito, in cui anche «l’uomo della strada» può avere ottime ragioni da far valere, a partire dalle sue concrete esperienze. Purtroppo, però, basta navigare nella rete per scoprire che, nel 99% dei casi, le cose non vanno così.

Perché il bersaglio di questi commenti non è quasi mai – o lo è di striscio – il contenuto dell’articolo, bensì la persona dell’autore. Fatti, argomenti, critiche, non vengono neppure presi in considerazione. Chi li espone è un «nemico» da screditare. Con un campionario di accuse che si riproduce quasi immancabilmente. Ecco qualche esempio, tratto dalla mia esperienza di pubblicista (ma potrei moltiplicare indefinitamente le citazioni).

impossibilità di un vero confronto

Il primo passo di solito è l’accusa, a chi solleva delle obiezioni sul «nuovo corso», di essere uno che ha goduto dei privilegi della seconda Repubblica e che non vuole mollarli. A uno dei miei ultimi “chiaroscuri” – in cui sostenevo, portandone le ragioni, che il Vangelo non è compatibile con il «prima gli italiani» – un commento, firmato “Salvo”, replica: «Noi caro sig. Savagnone, non abbiamo il suo stipendio. E con 2.000 euro campare moglie, figli, casa, e tutto il resto ci è complicato. Ma lo sa dal suo pulpito dorato che c’è gente a mille euro al mese? Ma lei che pensava che tutti avevamo il fondo schiena al caldo come voi?».

Dove la forza dell’argomentazione è la contrapposizione tra poveri (lui) e ricchi (io). Naturalmente Salvo ignora che, dopo 41 anni di insegnamento nei licei, il culmine del mio stipendio è stato di 1.890 euro mensili. Ma soprattutto gli viene difficile immaginare che qualcuno esprima le proprie opinioni non per difendere i suoi privati interessi, ma perché ne è convinto…

Spesso fa parte del campionario un cocktail che mescola l’aspetto ideologico, quello ecclesiale e quello morale. In un commento firmato “Maria”, non rivolto a un mio articolo (ma che avrebbe potuto esserlo benissimo), leggo: «Sono i cattocomunisti che stanno dividendo la Chiesa. Furiosi e lividi di rabbia perché la maggioranza degli italiani anche cattolici non è più plagiata dalle loro idee, non sanno stare all’opposizione, e come Saviano usano toni sopra le righe. Avete perso le elezioni, fatevene una ragione! Salvini sta smantellando il vostro business della falsa e pelosa accoglienza agli immigrati clandestini. Perderete dei soldi? Ok, ma non serve dare in ismanie con la bava alla bocca contro Salvini».

A volte viene tirato in ballo, insieme al catto-comunismo, anche il filo-islamismo (senza rinunciare all’accusa di malafede), come in questo commento a un altro mio articolo: «Quanta santa ignoranza e ideologia cattocomunista filoislamica. Vai Salvini contro i farisei ipocriti».

Molti commenti attaccano chi critica il governo accusandolo di mancanza di rispetto per la volontà popolare e per le regole democratiche, secondo cui chi ha più voti ha il diritto di governare. Il campionario prevede che alla frase di Maria: «Avete perso le elezioni, fatevene una ragione!», segua come logica conseguenza un rabbioso: «State zitti!». Nessuno ha mai spiegato a queste persone che in una democrazia il ruolo dell’opposizione è fondamentale. E che zittire chi non è d’accordo significa preparare il totalitarismo.

La vera molla, in questa parodia dell’agorà, non sono le ragioni, ma l’immenso risentimento che trabocca da simili commenti. «Vi siete mangiati il mondo» scriveva ancora “Salvo” contro il sottoscritto, «vi siete mangiati Palermo, avete vissuto nel benessere e oggi fate i moralisti mettendovi la coscienza in pace cercando di convincerci che il genere umano va messo nel nostro conto?».

La violenza di questi interventi non risparmia neppure la Chiesa istituzionale. Si dice in uno di essi, firmato “Domenico”, riguardante il discorso tenuto dall’arcivescovo Lorefice per Santa Rosalia: «Ma questo arcivescovo quanti migranti accoglie nel suo palazzo arcivescovile? Ci piacerebbe saperlo per fargli i complimenti».

Questo è un argomento che ritorna e che lo stesso Salvini aveva usato contro papa Bergoglio: chi difende i diritti dei migranti – sia un singolo o un’istituzione –, si faccia lui carico di ospitarli! Come se si dicesse che chi protesta per la carenza di personale paramedico negli ospedali per coerenza dovrebbe andare lui ad assistere i malati! L’idea che, in un dibattito pubblico, si propongano leggi che devono avere come soggetto la società è quasi del tutto assente nel coro dei social.

Un doloroso senso di impotenza mi assale davanti a questo scenario. Il problema non è il disaccordo, ma l’impossibilità di un vero confronto. So bene che quanti scrivono queste cose non sono mostri, ma uomini e donne probabilmente migliori di me per tanti aspetti. Purtroppo, quando entrano nel gioco politico, le loro reazioni sono quelle di una folla inferocita e irrazionale, come quella descritta dal Manzoni, con la sua fine ironia, nel racconto dell’assalto al forno delle grucce. Ma quelli erano altri tempi! Non c’era l’istruzione obbligatoria, non c’erano le mille fonti d’informazione fornite dalle nuove tecnologie della comunicazione sociale!

Non posso reprimere la domanda: ma cosa è stato fatto in questi anni per formare una coscienza critica nella maggior parte delle persone e fornire loro una seria educazione alla cittadinanza? Cosa ha fatto la televisione purtroppo lo so fin troppo bene: ereditiamo i frutti di vent’anni di Grande Fratello, di Isola dei famosi, di programmi della De Filippi. Ma possibile che in questa società non ci sia stata un’alternativa efficace a questo deserto culturale?

Cosa ha fatto la scuola per queste persone? Come è possibile che dopo anni e anni di studio della letteratura, della storia, delle materie scientifiche, manchino gli strumenti logici e culturali indispensabili per una seria discussione? Cos’ha fatto la Chiesa? Come è possibile che dopo anni di omelie domenicali ci sia gente che dà per scontato che Salvini sia un vero cristiano perché agita il rosario e giura sul Vangelo?

Anche chi sostiene le ragioni del populismo – ce ne sono, per fortuna, con cui si può discutere ed esercitare un franco dissenso – dovrebbe essere, credo, preoccupato di questo modo di interpretarlo. Qui la priorità dev’essere data, in tutte le sedi che hanno un ruolo nella formazione delle persone, all’educazione alla ragione, al pensiero, alla ricerca della verità. Non “contro” qualcuno, ma nell’interesse comune di tutti gli italiani. Per non trovarci prigionieri, alla fine, di un totalitarismo fanatico travestito da democrazia.

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