Quelli che voltano le spalle alla vita

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La notizia è di questi giorni, anche se i risultati della ricerca sono noti da mesi agli addetti ai lavori e ora pubblicati sul numero di aprile online di The American Journal of Psychiatry, la rivista dell’American Psychiatric Association. È stato messo a punto uno spray nasale a base di esketamina, una sostanza parte della ketamina – farmaco anestetico, ma anche droga pesante e quindi da usare esclusivamente in dosi mirate – che potrebbe aiutare rapidamente i pazienti affetti da depressione maggiore a rischio immediato di suicidio.

Secondo uno studio clinico condotto dalla Janssen del New Jersey e San Diego e dalla Yale School of Medicine la combinazione di questo spray con l’antidepressivo potrebbe portare benefici maggiori, a distanza di 4 e 24 ore, rispetto al solo antidepressivo.

La ricerca in questione ha coinvolto 68 partecipanti con diagnosi di depressione maggiore, con pensieri suicidari e a imminente rischio di suicidio: gli effetti del trattamento sono stati rilevati dopo quattro ore dalla prima somministrazione, dopo 24 ore, e dopo 25 giorni, quasi alla fine del periodo del trial clinico. Un miglioramento significativo è stato registrato, rispetto ai sintomi della depressione e ai pensieri suicidari, nel gruppo che aveva assunto esketamina.

Tutto è da prendere con cautela, come suggeriscono sempre i ricercatori, che mettono in guardia dalla diffusione miracolistica delle notizie: si tratta ancora di uno studio che, in gergo, viene definito di fase 2 (quando la ricerca è ancora limitata a poche decine di pazienti e deve dimostrare la sicurezza e l’attività del farmaco); pertanto, occorrerà passare alla fase 3, estesa a migliaia di pazienti, che serve a confermare l’efficacia – prima che il farmaco possa essere approvato dalla FDA (Food and Frug Administration) ed entrare poi in commercio (non si deve dimenticare che tra la ricerca e l’arrivo in farmacia di un medicinale occorrono tra i 10 e i 15 anni).

Solo un esempio sullo stato dell’arte che dimostra (purtroppo) l’attualità di un problema che si va progressivamente allargando nella nostra società del benessere, come ci raccontano le cronache anche delle ultime settimane.

Una nuova disciplina per un fenomeno in crescita

Un fenomeno, quello dei suicidi, talmente in crescita che un autore come S. Shneidman ha proposto di istituire una nuova branca della sociologia, la “suicidologia” e si moltiplicano i saggi sul tema, anche se restano attualissimi il classico Levar la mano su di sé dell’austriaco Jean Améry (Vienna 1912 – Salisburgo 1978) riedito da Bollati-Boringhieri nel 2012, o quello di Marzio Barbagli Congedarsi dal mondo. Il suicidio in Occidente e Oriente (Il Mulino 2010).

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), nel corso del 2014 nel mondo sono morte oltre 800 mila persone al giorno per suicidio e in alcuni Paesi, tra i 15 e i 19 anni, questo rappresenta la prima causa di morte. Dal momento che per ogni suicida esiste il coinvolgimento di un arco di persone tra familiari e amici (se ne calcolano almeno 6), l’American Psychiatric Association parla di un «evento catastrofico» per chi resta (i “Survivors”). E in più, soprattutto per i genitori, si assiste ad una vera e propria stigmatizzazione: «mi guardano come la mamma di…» si sente dire spesso nei gruppi di aiuto.

Particolare attenzione rivestono i tentativi di suicidio che rappresentano un alto fattore di rischio per un successivo suicidio letale. Tra i soggetti più a rischio si registrano i giovani e gli anziani.

Un panorama allarmante che ha indotto il WHO a porre la prevenzione del suicidio fra le priorità del Mental Health Action Plan per gli anni 2013-2020 con l’obiettivo dichiarato di ridurre del 10% il tasso di suicidio entro il 2020 e di fare in modo che l’80% degli Stati attivi almeno due programmi di prevenzione.

Il tasso di suicidi in Italia e il picco del Trentino-Alto Adige/Südtirol

L’Italia ha oggi un tasso di 6 suicidi ogni 100 mila abitanti collocandosi nella fascia più bassa rispetto agli altri Paesi europei, ma, andando a scorrere le singole realtà, si scopre che la Provincia Autonoma di Trento ha un tasso quasi doppio rispetto alla media italiana, 10,1 e, a Bolzano, ancora di più).

Nel periodo 2010-2013, l’Azienda sanitaria provinciale rivela che, in Trentino, si sono avuti 297 accessi al Pronto Soccorso per tentato suicidio (74/anno): l’89% di questi sono relativi a residenti prevalentemente concentrati nella fascia 15-54 anni, con un 58% di maschi, e i mesi di agosto e settembre come mesi più a rischio (il picco si registra in Valsugana all’ospedale di Borgo con 5,8 accessi, mentre a Trento città si scende a 2,8).

Dal 2012 in poi preoccupa anche l’andamento crescente, con una media che si attesta in 32,5 eventi l’anno nei maschi e 9,4 per le femmine. Nel triennio 2014-16 si è registrato solo 1 caso di suicidio tra i minorenni, pari allo 0,8%, e la classe modale è compresa tra i 45 e i 54 anni.

Tra i fattori incidenti si associano bassa autostima, difficoltà interpersonali, mancanza di aspettative positive per il futuro e incapacità di trovare soluzioni alternative ai problemi.

I programmi di prevenzione e il ruolo delle relazioni

In linea con le aspettative del WHO anche la Provincia Autonoma di Trento ha avviato un programma di prevenzione denominato “Invito alla vita”, che vede coinvolte diverse realtà sociali, culturali e sanitarie ed è da segnalare la presenza, tra le agenzie pubbliche e gli organismi di privato sociale, dell’arcidiocesi di Trento che siede al Tavolo di coordinamento insieme all’Area di salute mentale, gli Ordini dei medici, degli psicologi, dei farmacisti, dei giornalisti, il Servizio politiche sociali della Provincia Autonoma di Trento, il Consorzio dei comuni, l’Associazione mutuo aiuto, la LGBT.

Ampio il raggio d’azione per diffondere materiale e sensibilizzare la popolazione – e la messa a punto di appositi incontri e corsi di formazione per diverse categorie professionali e di elaborazione al lutto per i survivors («Il dolore non è per sempre») – comprese una linea telefonica con numero verde e l’attivazione di una piattaforma Tra noi dove i ragazzi possono interagire con i volontari dell’AMA.

Un pieghevole e un manifesto diffusi in scuole, biblioteche, circoscrizioni, presidi sanitari e ambulatori medici di base recita «Vita: aiutiamo chi le volta le spalle».

Vengono fornite anche delle linee-guida agli operatori della comunicazione nella convinzione dell’importanza fondamentale della corretta diffusione delle notizie (soprattutto della modalità) e del ruolo dei media, tematiche oggetto di corsi appositi per giornalisti (significativo l’appello a non utilizzare il termine in senso figurato, ad esempio «suicidio politico» sia sui media che nelle conversazioni informali!).

Gli addetti ai lavori raccomandano di considerare il suicidio come un evento: non una patologia (troppo frettolosa spesso l’equivalenza suicida/malato psichico), né un comportamento deviante. In particolare, evitare la prima pagina, l’utilizzo di fotografie della vittima e dei parenti, le descrizioni troppo dettagliate della modalità utilizzata.

La psichiatra dell’Azienda provinciale servizi sanitari, Luana Di Gregorio, tiene a sottolineare, tra i fattori di protezione, il ruolo della cultura e la rete di relazioni. E Domenico Tosini, docente di sociologia all’ateneo trentino, suggerisce di passare da quello che viene denominato “Effetto Werther” all’“Effetto Papageno” riprendendo le due opere rispettivamente di Goethe e di Mozart.

Come a dire: la relazione e l’accompagnamento si rivelano ancora una volta determinanti. Perché tutti siamo chiamati ad accorgerci e ad intercettare, anche solo da impercettibili segnali, quelli che voltano le spalle alla vita.

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