Cammina, cammina

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Sono rientrato a casa da poco, dopo aver trascorso un mese lungo il Cammino di Santiago. Ogni tanto riguardo la credenziale con tutti i timbri e la cartina della Spagna e che ho appeso in stanza; sul comodino ho la conchiglia e appoggiato al muro il bastone… E sorrido incredulo, con un enorme senso di gratitudine per il mio corpo, che mi ha permesso di camminare per oltre 800 km, attraversando 4 diverse regioni, da Roncisvalle fino a Santiago de Compostela passando poi per Finisterre.

Colori, profumi, incontri e sensazioni restano nel cuore e faticano a diventare parole.

Cammino di Santiago

Un’esperienza di vita, personale

Non so perché, ma sul cammino sono sempre stato contento, a parte alcuni momenti di fatica. Spesso dicevo: «Signore tu hai detto: “il mio carico è leggero” ma a me questo zaino pesa e la salita è dura».

Ci sono andato contento, con un po’ di dubbi, e ne sono ritornato contentissimo.
Quello che fa del cammino qualcosa di diverso dall’andar per sentieri è la meta e la sensazione che a Santiago c’è qualcuno ad aspettarci. La meta non è San Giacomo ma Cristo – ha detto il canonico della Cattedrale – ed è vero! La destinazione dà senso alla marcia. Se la vita non porta da nessuna parte non siamo dei pellegrini, siamo dei vagabondi.
La magia del cammino sta nell’entusiasmo con cui ogni mattina si riparte qualunque sia il tempo, la fatica, le vesciche, i dolori alla gambe e qualunque sia la lingua ci si saluta sempre con «Hola, buen camino».

Mi piace pensare al Cammino di Santiago come una lunga meditazione in cammino…

Cosa muove il pellegrino? Senza dubbio c’è un senso di sfida, a te stesso, alle tue capacità psicologiche ed anche fisiche. Da questo punto di vista si dice che è la testa più che la gamba a portarti a Compostela. Poi c’è una volontà di misurarsi fuori dagli schemi, un voler provare a stare in una dimensione non scontata. Può essere una sfida alla propria pigrizia, alle sicurezze facili, alla quotidianità rassicurante. Un altro motivo è il valore della strada, del cammino, dell’andare. È desiderio di crescere. Si arriva a Santiago tutti con il bastone e la conchiglia legata alllo zaino a testimonianza della fatica sostenuta. Molti viaggiatori, una volta giunti alla piazza dell’Obradoiro, sulla quale si affaccia la Cattedrale, si limitano a buttarsi a terra, rimanendovi a lungo, appoggiati ai loro zaini, con il cuore in gola e l’emozione così forte di essere arrivati che si comincia a piangere. Poi, dopo essere andati nella Cattedrale per assistere alla messa del pellegrino con la fortuna di poter vedere il “botafumeiro”, si cerca un ostello per riposare.

Ricerca di un’armonia perduta

La magia sta nel sentire che siamo parte di un cammino secolare. Si mettono i propri passi nei passi dei milioni che sono passati prima di noi su una strada millenaria. Come avranno fatto i pellegrini dei secoli passati ad arrivare a Santiago?
In un alternarsi di dubbi e certezze, si devono cercare e saper scorgere i segni, la freccia gialla che indica il cammino metafora della vita, per trovare la via da percorrere e il senso di quello che stiamo facendo. Non ci si volta indietro. Chi è costretto a rinunciare non ha pace fin ché non torna a completare il cammino.
In un mondo che si muove velocemente c’è una sorta di profezia in questo muoversi al ritmo del nostro corpo senza fretta alla ricerca di un’armonia perduta. Ci si lascia fare dal cammino, lasciandosi insegnare dal nostro corpo, lasciandosi condurre dallo Spirito.
Si trova la pace nella natura, nel ritmo naturale, nel ridurre a poche cose le necessità giornaliere.
Il corpo, impegnato per ore nella ripetizione dei passi, lascia lo spirito libero di vagabondare, e nella mente scorrono immagini, parole, senza un ordine preciso come se il cervello ritrovasse una libertà di funzionamento inesplorata.
Risuonano nella mente tanti passi del Vangelo che parlano di strada «Seguitemi», «Io sono la via la verità la vita». Il Vangelo guida di questo cammino è Gesù che cammina con i discepoli di Emmaus.

Cammino di Santiago

In un mondo di rumori e frastuono qui spesso è il silenzio l’unico rumore che ti circonda.
Si fa esperienza di quello che chiamerei un “eremo itinerante”.
Specialmente quando sei nella meseta o, per chilometri e chilometri, in boschi di quercia, come sulla Via della Plata, si cerca di fare vuoto nella mente per fare spazio a Dio, come nella meditazione. Mille domande affiorano alla mente e non trovi risposte; in quel momento Dio ti appare davvero un Dio nascosto… «Gesù in persona si accostò e camminava con loro», ma non lo riconoscevano.
Tuttavia di fronte a un’ improvvisa vallata di campi brulli lasci che la tua immaginazione ti faccia vedere quei campi pieni di grano nei mesi estivi… resti incantato a contemplare le bellezze del creato e al mattino presto, ancora buio, guardi il cielo e contempli le stelle e risuona il Salmo: «Guardo il cielo opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai creato….». Vedi lo spuntare del sole e senti che Dio si rivela. E così ci si ritrova senza accorgersi a lodare e a rendere grazie.
La preghiera ci ha sempre accompagnato nel corso della giornata, scandendo il ritmo dei miei e nostri passi, sotto il sole, sotto la pioggia, contro il vento. Se ti lasci andare, anche camminare sotto l’acqua è bellissimo e, mentre ripiegato su te stesso, costretto al silenzio, ti nascondi sotto il poncho e abbassi la testa per ripararti dalla pioggia senti che puoi resistere e che puoi farcela. In quel momento senti che Dio sta camminando con te.
L’acqua e il fango – grazie a Dio, solo per 2 giorni – ti mettono alla prova, ti costringono a fare attenzione, a superare difficoltà impreviste.
Incappare ogni giorno nelle proprie debolezze, nei propri limiti ti fa diventare più umile e ti ridimensiona, ti rende consapevole della tua nullità di fronte all’universo, ma ripartire e avanzare comunque ti dà la consapevolezza che dentro di te c’è una forza a cui puoi attingere nei momenti di sconforto e di solitudine.
Quanta gente, quanta diversità

Sul cammino avvengono incontri sorprendenti quando meno te li aspetti ed è incredibile la facilità con cui dopo appena poche ore di cammino si possa instaurare un rapporto di amicizia con persone mai viste prima, persone provenienti da tutte le parti del mondo.
Ognuno porta con sé il segreto del suo cammino e del suo rapporto col sacro e col divino, tutti diversamente credenti, tutti alla ricerca di qualcosa. Credo che tutti si incontrino con Dio o perlomeno scoprano il mistero che è nascosto in ciascuno di loro.
In questo cammino incontri molte persone e si imparano gratuità e libertà. C’è una regola non scritta per cui la sera si può cenare insieme ma la mattina ognuno riparte senza pesare sull’altro né avere aspettative di compagnia.
L’essere sul cammino da soli facilita gli incontri.

Sul cammino si incontrano quelli che io chiamo gli angeli custodi e noi stessi possiamo diventare gli angeli custodi di qualcun altro con una parola di incoraggiamento, un’indicazione, un sorriso, un momento di ascolto, condividendo emozioni con chi è solo.
Si incontrano comunità di preghiera che ti accolgono: Bercianos, dove un hospitaleiro guida la preghiera della sera dopo cena; ad Astorga il padre alla sera fa la preghiera con il pellegrini; a León dove le monache dopo cena recitano compieta con i pellegrini.

È bello aver fatto diventare Chiesa ogni luogo: un bosco, un ruscello, un giardino, una stanza, una panchina fuori chiesa, una cattedrale. Pamplona, Burgos, León, e stato bello celebrare in vari monasteri… ogni giorno una chiesa diversa con diverse nazionalità
Si incontrano ermite solitarie dove ci possiamo fermare nel silenzio pieno della presenza di Dio e pregare per i nostri cari, per la pace, per il mondo e per tutte quelle persone che hanno camminato con noi nei nostri pensieri e ci hanno caricato di portare la loro vita a Santiago.
Non si è pellegrini da soli, lo si è con gli altri, in mezzo agli altri. Non interessa che cosa fa uno nella vita di tutti i giorni; tutti i pellegrini sono uguali non c’è ricco, né povero, né debole, né forte. Non è che le differenze sociali siano annullate, solo che chi ha una giacca in Goretex non si sente superiore a chi veste abiti semplici.
Alla sera è bello ritrovarsi nei rifugi

Si impara a vivere insieme. Si condividono cose materiali in modo spontaneo e naturale, acqua, cibo, medicine, cure; anche fastidi, come il russare, i bagni, i letti non sempre comodi, il cambiare stanza ogni giorno e aver compagni diversi ogni notte, lo stropiccio dei sacchetti di plastica alle 5 di mattina…
Si impara l’umiltà, aver bisogno degli altri.
Si fa tutto in leggerezza nel modo più semplice del mondo.
Si crea una comunicazione a livello profondo, raramente si parla di banalità.
Parlando si accoglie e si è accolti. Una parola può essere detta, condivisa tra pellegrini perché si condivide la stessa vita.

Alla fine la nostalgia

Negli ultimi giorni, più ci si avvicina a Santiago, meno si ha voglia di arrivare, non si vuole che tutto questo finisca. Non si ha voglia di lasciare questa atmosfera, questo modo di vivere.

Cammino di Santiago

Il giorno dell’ arrivo si provano sentimenti diversi: gioia, sorpresa, tristezza, straniamento, nostalgia.
Gioia perché si è raggiunta la meta. Sorpresa di essere lì, tanto che molti restano a lungo sdraiati nella piazza a guardare la cattedrale increduli.
Sorpresa di essere riusciti in quello che non credevi e in una maniera del tutto naturale. Spesso mi chiedono: «come è possibile camminare così tanto?». Eppure si è fatto e senza essere eroi.
Si prova tristezza perché il sogno è terminato, la semplicità si sta per perdere, si deve ritornare alla vita di tutti i giorni, perché gli amici conosciuti per strada se ne vanno e quasi sicuramente non si rivedranno più. Il cammino è duro per il cammino ma anche per tutta l’atmosfera che si crea attorno.
Avvertiamo un senso di straniamento

Non siamo ancora pronti al ritmo della città, perciò si avverte ancor di più il bisogno di ritrovare quella calma e quel silenzio che ci hanno accompagnato per tanti giorni. Così ci si rifugia in cattedrale dove la pace ci avvolge in un tutt’uno di cuore mente e corpo, dove rendere grazie a Dio sale spontaneamente alle labbra.

Il cammino comincia al ritorno

Quante volte sono passato per “o Abraço” al santo. Quante volte sono passato davanti alla sua tomba per momenti di preghiera silenziosa.
Tutti, credenti o no, entrano in cattedrale; tutti escono con l’anima in pace e il cuore in festa.
Fuori sulla piazza mille foto ricordo e un continuo susseguirsi di richiami di esplosioni di gioia per il piacere e la sorpresa di riabbracciare qualcuno che si credeva perso per sempre. Abbracci di gioia per chi arriva, abbracci velati di tristezza per chi si saluta per sempre. Nel giro di due giorni si cerca inutilmente qualche viso conosciuto e si capisce che è arrivato il momento di partire, per non essere sopraffatti dalla nostalgia.
Il paradosso è che il Cammino di Santiago comincia al ritorno.
Andata e ritorno sono due viaggi differenti; al ritorno c’è un cambiamento di prospettiva.
Si ritorna con il cuore e lo spirito leggeri. Si è più essenziali, più tolleranti, più in pace con noi stessi.
Si torna diversi perché, parafrasando Etty Hillesum, abbiamo fatto esperienza che si può essere capaci di vivere anche senza niente perché c’è sempre un pezzetto di cielo da poter guardare.

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