Credere dentro e oltre la pandemia

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pastorale covid

Qual è la sfida che abbiamo davanti dopo la pandemia e, in generale, dopo ogni crisi? Qual è il messaggio che Dio rivolge alla Chiesa e alla fede cristiana? Possono essere le nostre Chiese vuote e il digiuno eucaristico una potente profezia per il futuro della Chiesa? Come è possibile credere dentro e oltre la crisi?

Domande alle quali risponde il nuovo e avvincente libro di Francesco Cosentino, Quando finisce la notte – Credere dopo la crisi, EDB 2021.

Cinque godibilissimi capitoli che si leggono d’un fiato, preceduti da un’introduzione che motiva il senso della pubblicazione e seguiti da una conclusione che ha il pregio di sintetizzare in pochi paragrafi i tre ambiti di riflessione proposta: in quale Dio continuare a credere; quali le opportunità ecclesiali e pastorali dopo la pandemia; quali i contenuti di una spiritualità autenticamente cristiana.

L’autore, presbitero dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace e docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana, ha il pregio di trattare nelle sue pubblicazioni[1] temi straordinariamente importanti, illustrati con linguaggio profondo e limpido in grado di parlare alla mente e al cuore ed è accessibile anche a lettori non avvezzi al linguaggio teologico.

Con Quando finisce la notte – Credere dopo la crisi ancora una volta Francesco Cosentino dimostra di essere un «teologo alla papa Francesco»: non un teologo da museo che accumula «dati e informazioni sulla Rivelazione senza però sapere davvero che cosa farsene» o che si accontenta di una teologia da tavolino, cadendo nella tentazione «di verniciare, profumare, aggiustare un po’ e addomesticare le frontiere», ma un teologo che, come i buoni pastori, «odora di popolo e di strada» e, con la riflessione teologica, «versa olio e vino sulle ferite» degli uomini e delle donne di oggi.[2]

Per Cosentino, la crisi epocale che, a causa della pandemia, sta sconvolgendo la nostra vita chiama in causa anche la teologia, la quale deve porsi queste domande: «Quale altra figura di cristianesimo e di Chiesa può avere inizio? Si tratta davvero di un inizio o, piuttosto, di un’effettiva riconciliazione con gli orizzonti del concilio Vaticano II che, sotto la spinta propulsiva della conversione pastorale auspicata da papa Francesco, potrebbero finalmente concretizzarsi?» (p. 35).

Dire Dio nella pandemia e dopo la pandemia

In primo luogo, la pandemia ha fatto tornare sulla scena una questione fondamentale: «la questione Dio» (p. 46). Tema approfondito da Cosentino in Non è quel che credi – Liberarsi dalle false immagini di Dio, EDB, Bologna 2019.

Per rendercene conto, basta riflettere sul senso della preghiera cristiana.

Nei tempi difficili e sofferti della pandemia, tutti – scrive Cosentino – abbiamo constatato due modi di pregare, che in qualche modo rivelano l’immagine di Dio che ci portiamo dentro.

Una preghiera rivolta a Dio perché ci dia la forza di attraversare questa terribile crisi con senso di responsabilità e gratitudine nei confronti di chi (scienziati, medici, infermieri e amministratori pubblici) si è speso e si spende per superarla quanto prima, a volte rimettendoci la vita.

Un’altra preghiera, «fin troppo presente nel nostro cristianesimo e nelle nostre Chiese, che invece trae linfa da una falsa creduloneria religiosa e superstiziosa» che si appella a Dio perché, magari con un evento straordinario e miracoloso, ci risolva il problema e ci dia salute e guarigione, “saltando” la natura, la medicina, la scienza e le buone prassi politico-amministrative (p. 44).

La preghiera dei cristiani non è quella che si rivolge a un dio tappabuchi che interviene solo se alimentiamo una catena di messe e di rosari a un dio rancoroso e tiranno che vuole punire la tracotanza umana con il flagello del coronavirus.

La preghiera dei cristiani è quella che, da un lato, si rivolge a Dio, onnipotente nell’amore e nella misericordia, «apre il cuore dei credenti e li rende capaci di vedere il dolore del mondo con gli stessi occhi del Dio compassionevole rivelatoci da Gesù, in un mondo segnato dall’egoismo e dall’ingiustizia» (p. 46) e, dall’altro, sollecita i credenti a cambiare stili di vita e a maturare responsabilmente nuovi sguardi soprattutto verso i poveri e i sofferenti (p. 24).

La crisi provocata dalla pandemia è l’occasione per liberarci definitivamente da ogni falsa immagine di Dio e per guardare a Gesù che, dinanzi al dolore degli uomini e delle donne, si è fatto loro vicino con compassione, ha pianto le loro lacrime, si è indignato per il male, ha rialzato chi giaceva a terra e guarito chi era ammalato. Svelandoci, così, un solo volto di Dio: il Dio dell’amore che ha cura di noi e vuole la nostra totale liberazione e felicità.

Dunque, dobbiamo dire con chiarezza: Dio non manda il male, né lo permette per fini educativi, né lo tollera. Dio non c’entra nulla con la pandemia da coronavirus.

Dio può rivelarsi in molti modi e può trarre anche dall’esperienza della sofferenza e della notte qualcosa di buono per noi. Ma Dio combatte ogni forma di male e di sofferenza prendendola addirittura sopra di sé, come ci mostra la croce di Gesù. Egli non ci salva dal dolore, ma lo attraversa con noi, lo illumina, lo trasforma dal di dentro impegnandosi a liberarci e farci risorgere sempre, anche a costo della sua vita. «L’unica onnipotenza di Dio è la straordinaria debolezza del suo amore» (p. 68).

Una Chiesa che valorizza i tesori e che si disfa dei relitti

Anche su non pochi aspetti della nostra vita ecclesiale la pandemia ci ha costretti a riflettere (p. 72). Cosentino ne elenca alcuni.

Ad esempio, la crisi provocata dall’emergenza sanitaria «ha contribuito a mettere in crisi una concezione pastorale, liturgica e più in generale spirituale, fondata esclusivamente sulla celebrazione della santa messa» (p. 82), scoperchiando “il vaso di Pandora” di una diffusa visione ecclesiologica in grado di «far ritornare alla ribalta un pericoloso clericalismo» (p. 81) che alimenta nel prete «la smania di riprendersi a tutti i costi il centro della scena» (p. 93).

Il proliferare di celebrazioni eucaristiche online o streaming ha contribuito di fatto ad affermare «un predomino della sacramentalizzazione su altre forme di evangelizzazione» (p. 84), con il rischio di indurre il popolo di Dio a pensare che Dio è più presente nella messa streaming che nella sua Parola letta, meditata, pregata e condivisa con altri fratelli e altre sorelle nella fede.

«Oggi – scrive Cosentino – abbiamo bisogno di ricentrare il modello ecclesiologico sulla riforma del concilio Vaticano II, ammettendo che non abbiamo ancora compiuto il superamento del modello tridentino di Chiesa, in cui non è per nulla ovvio che tutti i membri del popolo di Dio siano soggetti attivi, che la liturgia cristiana non sia un atto sacrale fine a se stesso, che la pastorale abbia bisogno di un respiro di evangelizzazione e non del predominio della sacramentalizzazione» (pp. 92-93).

L’alternativa “chiese chiuse” o “chiese aperte” che, durante il periodo di forzato isolamento provocato dalla pandemia, ha caratterizzato non poche polemiche, più che sterile e inutile sembra essere inquietante. «Desta davvero non poco dolore constatare, a sessant’anni dal concilio e dalla sua ecclesiologia, che si rimane spesso fermi al pensare la Chiesa nei termini del luogo fisico dell’edificio di culto; è sconfortante immaginare che, nel pensiero di tanti, se domani non ci fossero più chiese fondate su pietra d’uomo, smetteremmo di essere la Chiesa di Cristo; è ancora più sconvolgente l’assordante scarsa comprensione del vangelo, in cui Gesù relativizza il Tempio invocandone perfino la distruzione, indicando se stesso come vero Tempio e annunciando il dono dello Spirito Santo, che avrebbe reso anche noi Tempio del Padre» (p. 100). «La Chiesa vera, quella fatta di membra vive, può vivere anche senza le chiese» fatte di mattoni (p. 103).

Una spiritualità che scopre lo Spirito all’opera nella vita quotidiana di ognuno

La pandemia, «che in qualche modo simboleggia e sintetizza altre nostre crisi, ci chiede di fermarci a riflettere anche sul significato della spiritualità cristiana» (p. 106).

La spiritualità del cristiano è «una spiritualità del quotidiano, dell’ordinario, del frammento umano» (p. 108).

Essa non va scambiata per una falsa pace che spegne le domande e le inquietudini (p. 106). Non separa il Dio trascendente dalla storia umana (p. 105) o lo spirito dalla materia (p. 107). Non è un salire in cielo senza la terra e non è neppure un rifugiarsi nel proprio intimo compiacendosi del proprio mondo fatto di riti e preghiere (p. 107).

La spiritualità cristiana si esprime in forme liturgiche capaci di comprendere la vita e di generare preghiere sensibili alle domande, al dolore, al travaglio e alla speranza degli uomini e delle donne di oggi (p. 107). Mette in circolo – nelle strutture della società come nei rapporti interpersonali, nella cultura come nella vita politica – la profezia sempre nuova del vangelo (p. 134). Promuove e alimenta forme di ascolto e di preghiera della Parola fuori dal tempio (p. 141), nelle case e nelle famiglie (p. 152). Incontra Dio non nei grandi ideali religiosi, ma nei frammenti della nostra ferialità (p. 109). Ci spinge ad uscire dal vecchio cattolicesimo spesso rinchiuso nelle sagrestie e nella superstizione (p. 110). Ci emancipa dagli egoismi personali e collettivi e da stili di vita carenti di visioni solidali (p. 113) e scopre «lo Spirito all’opera nella vita quotidiana di ognuno» (p. 127).

«La spiritualità cristiana scaturisce dal Cristo, Parola di Dio che si è fatta carne, presenza di Dio nelle viscere della storia umana» (p. 108). Essa ci ricorda che «il cristianesimo non è una religione bella e sistemata una volta per tutte, ma qualcosa che si reinventa continuamente nella vita, cioè l’esperienza di una sete che ogni volta dev’essere placata in modo nuovo dalla relazione vivente con Dio» (p. 121).

Come Abramo, Giacobbe, Mosè, Elia, Giobbe, Elisabetta, Nicodemo

In conclusione, «credere dopo la pandemia significherà cambiare: da un Dio della paura al Dio dell’amore, da una Chiesa chiusa e clericale a una Chiesa dell’annuncio, da un cristianesimo di devozioni ed esteriorità a una spiritualità della vita quotidiana» (p. 155).

Come Abramo, possiamo guardare il cielo e contare le stelle anche quando siamo segnati dalla vecchiaia.

Come Giacobbe, possiamo imparare che il credere non è mai un riposo tranquillo ma è invece lotta e agonia.

Come Mosè, possiamo aprire varchi in mezzo al mare in tempesta della nostra vita anche se ci sentiamo inadeguati.

Come Elia, possiamo sperimentare che l’attraversamento del deserto geografico simboleggia l’attraversamento del nostro deserto interiore – che può essere fatto anche di aridità e paura – per riscoprire il volto di Dio rivelatoci da Gesù.

Come Giobbe, abbiamo il diritto di protestare dinanzi al dolore innocente e contestare la vecchia idea religiosa che lega la sofferenza alle colpe commesse dinanzi a Dio.

Come Elisabetta, possiamo generare vita anche quando sperimentiamo la nostra sterilità.

Come Nicodemo, possiamo rinascere di luce anche nella notte più oscura (p. 105 e p. 145).

Nella consapevolezza che «l’annuncio cristiano è concentrato proprio nell’esperienza di una notte dolorosa che si apre allo splendore dell’alba» (p. 13), Cosentino ricorda a te lettore che «non c’è nessuna notte che sia infinita, nessuna debolezza che possa impedirti di scalare il cielo, nessun fallimento che possa cancellare la bellezza che sei, nessuna ora buia che possa resistere alla forza tenera e travolgente dell’alba. Perché anche la crisi, la fragilità, il peccato, la sofferenza e la morte sono l’ora del passaggio di Dio. Da quando Cristo è stato crocifisso e Dio è entrato negli abissi della nostra morte, ogni ora buia della storia è tempo di Dio» (p. 14).


[1]Un Dio possibile. Cristianesimo, immaginazione e morte di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2009; Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo, Cittadella Editrice, Assisi 2010; Il Dio in cammino. La rivelazione di Dio tra dono e chiamata, Editore Tau, gennaio 2011; L’amore non avrà mai fine – Lettera ai fidanzati e alle giovani coppie, Editore Tau, Todi 2011; Sui sentieri di Dio – Mappe della nuova evangelizzazione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2012; Dalla fine del mondo – Il sogno di papa Francesco sulla Chiesa, Editore Tau, Todi 2016; Incredulità, Cittadella Editrice, Assisi 2010; (con Domenico Cravero) Lievito nella pasta – Evangelizzare la città postmoderna, Edizioni Messaggero, Padova 2018; Non è quel che credi – Liberarsi dalle false immagini di Dio, EDB, Bologna 2019.

[2]Dalla lettera del 3 marzo 2015 inviata da papa Francesco al Gran Cancelliere della Pontificia Università Cattolica Argentina nel centesimo anniversario della Facoltà di teologia.

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