Generazioni

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nascere

L’antropologia del XX secolo ha considerato l’essere umano principalmente dal punto di vista esistenziale della mortalità. Non solo Martin Heidegger, ma anche Max Scheler, Karl Jaspers o Gabriel Marcel, così come Karl Rahner o Gisbert Greshake in teologia, hanno visto l’essere umano come inizialmente determinato dalla sua caducità, dal suo “essere alla morte”.

Ciò è comprensibile in un secolo in cui la finitezza e la vulnerabilità della vita umana – con due guerre mondiali e campi di sterminio di massa – raramente è stata dimostrata così chiaramente su base quotidiana. Tuttavia, accanto a questo filone dominante di una “filosofia tanatologica”,[1] si può cogliere anche la traccia di una contro-lettura. Invece di intendere l’esistenza come un percorso che porta alla sua inevitabile e, in linea di principio, indisponibile fine, si trova – soprattutto nelle opere di autrici donne – un tentativo, forse oggi da riscoprire, di vedere l’esistenza umana dal suo indisponibile inizio.

Il benedettino Elmar Salmann ha definito tale prospettiva sul vivente “pensiero natale”.[2] Anziché l’aborto, esso pone al centro la connessione e la doverosità della vita; l’affermazione dell’essere nella sua bontà primaria, nella sua eccedenza generativa, nonché l’affermazione della libertà insita nel nato.

Hannah Arendt, che è stata una delle prime pensatrici a introdurre questa prospettiva in riferimento alla sfera del politico, intende l’esistenziale della natalità soprattutto come il miracolo di un nuovo inizio del mondo, che si fonda nella nascita come presupposto dell’azione libera: “Poiché ogni essere umano, in virtù del fatto di nascere, è un initium, un inizio e un nuovo arrivo nel mondo, gli esseri umani possono prendere l’iniziativa, diventare principianti e mettere in moto qualcosa di nuovo”.[3]

Nella concezione della politologa ebrea, l’azione richiede anche il perdono e, per estensione, la promessa, cioè la libera e fiduciosa gestione del passato e del futuro.[4] In origine, tuttavia, la capacità di ricominciare nella libertà è già data all’uomo come equivalente del miracoloso nuovo inizio della nascita.

Come Arendt, la testimonianza cristiana presuppone l’indisponibilità dell’origine della potenzialità del mondo e dell’essere umano, che è connessa al nome di Dio. Il fatto che il nome di Dio si riveli non solo nella croce e nella redenzione, ma già nella mangiatoia e nella costante ri-creazione del mondo, è rimasto qualcosa di secondario nella teologia, nell’estetica religiosa e nella pratica spirituale della Chiesa occidentale fin dal Medioevo.

In tempi più recenti, tuttavia, i teologi e le teologhe hanno sempre più sottolineato il fatto che la salvezza non si dà solo nel perdono dei peccati, ma è già promessa con la gravidanza di una donna, con l’esperienza della nascita di un bambino o di un nuovo popolo. “La Bibbia ha preso la via della nascita come poche altre tradizioni religiose: quando il Dio biblico intende creare del nuovo nella storia, un nuovo che rispecchi la propria novità, fa nascere un bambino”.[5]

Scritture

Se si guardano i testi biblici da questa prospettiva, diventa subito chiaro che le narrazioni di nascite graziose attraversano gli scritti biblici. Da un lato, la prospettiva storico-teologica dei testi biblici indica che la trasmissione della vita non può essere intesa in modo positivistico-meccanico, nel senso di una connessione causale lineare e ininterrotta.

Sebbene l’enumerazione delle Toledot, la sequenza delle generazioni (A generò B, B generò C, …), che ricorre frequentemente nei libri biblici, suggerisca una coercizione e una necessità simili a una derivazione logico-matematica (lo schema: A segue da B, B segue da C, …),[6] le sequenze decisive delle generazioni nella storia della salvezza sono tuttavia caratterizzate da interruzioni, irregolarità, spostamenti e salti.

Questo inizia già nella seconda generazione umana: la storia della salvezza non è costruita in ultima analisi sulla linea forte di Caino-Lamech; è la linea interrotta del soffio di vento Abele e del figlio “sostituto” Set che viene narrata – la linea di un essere umano che non ha avuto figli, che è rimasto muto e di cui l’unica pronuncia tramandata è il grido del suo sangue, così come la linea di un essere umano che trova la sua “identità” nella sostituzione di un’altra persona morta, in modo da non essere dimenticato.

Questa narrazione genealogica “debole”, graziosa, persino sovversiva, continua: Abramo/Sara-Isacco, Elkanà/Anna-Samuel, Noemi-Rut/Boas-Obed, Zaccaria/Elisabetta-Giovanni, (Giuseppe/Maria-Gesù…). Da questi pochi esempi di spicco, si può intuire che i testi biblici collocano generalmente i momenti della gravidanza e della nascita in un orizzonte di meraviglia, di speranza e di promessa, dove si deve sempre fare i conti con l’essere sorpresi.

Entrambi i Testamenti raccontano di nascite inaspettate o addirittura impossibili che interrompono il normale corso degli eventi e significano la grazia di un nuovo inizio. Ma questo motivo si ritrova anche nella storia di fondazione del popolo di Dio, nella liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto: un uomo, addirittura uno straniero, salvato dalle acque e accudito dalla nutrice, è chiamato a essere il capo di un gruppo che si costituisce in popolo attraverso un evento di liberazione che, con la separazione del Mar Rosso, equivale alla creazione del mondo.

La successiva marcia pericolosa attraverso le acque può essere intesa nel senso di una grande nascita. Ecco perché il passaggio del popolo attraverso il Mar Rosso trova spazio anche nella teologia del battesimo di Paolo. Nella Prima Lettera ai Corinzi, l’apostolo mette in relazione gli eventi dell’Esodo con il battesimo e li paragona alla traversata del Mar Rosso: “Ma non vi lascerò ignorare, fratelli e sorelle, che i nostri padri [e le nostre madri] furono tutti sotto la nube e tutti passarono attraverso il mare; e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare” (1Cor 10,1s.). “In entrambi i casi”, afferma Linda Pocher, nell’Esodo come nel battesimo, “il passaggio attraverso l’acqua equivale a una nuova nascita, poiché stabilisce un inizio completamente nuovo”.[7]

Alleanze

In questo senso, anche la prima formula di benedizione dell’acqua battesimale richiama l’esperienza del popolo d’Israele e il significato del mare: “Hai condotto i figli di Abramo a piedi asciutti attraverso il Mar Rosso e li hai liberati dalla schiavitù del Faraone. Così essi sono un’immagine dei battezzati che tu hai liberato dalla schiavitù del maligno”. Tutti i gesti e i segni che accompagnano il battesimo – l’immersione nell’acqua e l’uscita dall’acqua, nell’antichità anche la completa nudità del battezzato – così come l’architettura e i motivi musicali dei battisteri della Chiesa primitiva, che simboleggiavano sia la tomba che il grembo materno, testimoniano questa comprensione del battesimo come rinascita del credente.[8] Il battesimo del credente è una seconda nascita.

Questa seconda nascita o rinascita che il battesimo rappresenta – a parte forse nelle sfere d’azione di quello che si potrebbe definire un cattolicesimo o un protestantesimo culturale “necessariamente ereditato” – non può più essere assegnata al principio della genealogia. Appartiene piuttosto a quell’altro tipo di legame che biblicamente rende possibile la relazione tra Dio e gli esseri umani e tra i popoli: l’alleanza.

L’alleanza – forse si potrebbe parlare anche di amicizia – non si basa su legami di sangue, ma sulla libertà, sulla parola e sulla promessa. In questo senso, nascere di nuovo non significa “Rinascere di nuovo non significa […] ricominciare la genealogia […] ma credere nella possibilità della nuova apertura[…] della Parola”.[9] Questa seconda nascita simbolica radicalizza il momento di apertura che, come mostrato sopra, attraversa le sequenze generazionali bibliche fin dall’inizio.

L’alleanza o l’amicizia sono in grado di stabilire relazioni tra persone che non appartengono alla stessa genealogia. Aprono i legami familiari ad altri, potenzialmente a tutti, o almeno a qualsiasi X – anche a coloro che sono usciti dalla propria genealogia o non la conoscono.

Questa seconda nascita simbolica non va intesa nel senso di una svalutazione della prima nascita “naturale” e quindi, allo stesso tempo, della donna – una lettura di cui la filosofa Francesca Rigotti sospetta proprio la tradizione cristiana,[10] per la quale trova certamente conferma in alcuni abbozzi teologici o esempi di annuncio ecclesiale.

A ciò si potrebbe obiettare che questa “seconda nascita” non può essere pensata senza la prima, che presuppone il corpo come principio irrinunciabile della libertà personale.[11]

Ma forse qui occorre muoversi in modo ancora più radicale. Forse pensare la naturalità significa tornare con nuova meraviglia a questo miracolo della nascita e della crescita; percepire la generatività stessa come già operosa e riscoprire la creatività degli inizi. Nessuna separazione tra creazione e grazia, dunque, ma la riscoperta della grazia del dato stesso.

  • Pubblicato sul sito di teologia pastorale Feinschwarz.

Isabella Bruckner è docente di “Pensiero e forme dello spirituale” presso il Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo a Roma.


[1] Cf. S. Zucal, Filosofia della nascita, Brescia, Morcelliana 2017, 7.

[2] Si veda la lezione di Salmann presso l’Accademia Cattolica di Berlino, 12.12.2014, in https://www.youtube.com/watch?v=cCj4ifKDDvo 1

[3] Arendt, Hannah: Vita activa oder Vom tätigen Leben, Monaco: Piper 2015, 215.

[4] Cf. M. Quast-Neulinger “Leben heißt Vertrauen”, in Feinschwarz https://www.feinschwarz.net/leben-heisst-vertrauen/1.

[5] J.-P Sonnet, “Generare, perché? Una prospettiva biblica”, in Anthropotes 36 (2020), 139-190, 140.

[6] Cf. K. Heinrich, “La funzione della genealogia nel mito”, in Id., Parmenide e Giona. Quattro studi sul rapporto tra filosofia e mitologia, Freiburg/Wien, Caira 2020, 11-28.

[7] L. Pocher, Dalla Terra alla madre. Per una teologia del grembo materno, Bologna, EDB 2021, 92.

[8] J.-P. Hernández, Nel grembo della Trinità. L’immagine come teologia nel battistero più antico di Occidente, Milano: San Paolo 2004.

[9] I. Guanzini, “Nascere di nuovo. Profezia e anarchia delle generazioni”, in I. Guanzini-G. Melandri (ed.), Come ripartire?, Genova, il melangolo 2022, 7-38, 36s.

[10] Cf. F. Rigotti, “Da corpo di donna”, in: F. Rigotti-M. Veladiano (ed.), Venire al mondo, Trento, Il Margine 2015, 23-42, 35-37.

[11] Cf. T. Forcades, Il Corpo Gioia di Dio. La Materia come Spazio di Incontro tra Divino e Umano, San Pietro in Cariano, Il Segno dei Gabrielli Editori 2020.

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