Il “gorgo” del battesimo

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Io continuo a dire il breviario in latino, colpito sempre dalle magnifiche sintesi che gli inni riescono a produrre e che mi piace, anche come una sfida, tradurre e commentare.

Battesimo di Cristo

Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1450, Londra, National Gallery

Lavacra puri gurgitis
Celestis Agnus attigit;
Peccata quae non detulit
Nos abluendo sustulit.

Di pura onda a un gorgo
giunse il celeste Agnello:
lui che peccato non portò
nell’acqua il nostro tolse.

Credo di non sbagliare se penso che negli occhi di molti la “scena” del Battesimo di Cristo comporti una situazione fissa, intrisa di una calma surreale, di cui forse l’esempio più noto, e più affascinante, è la versione che ne ha dato Piero della Francesca nella tavola che si conserva nella National Gallery di Londra. Tutto è così fermo che risulta persino difficile accorgersi dell’acqua, peraltro ridotta quasi a una pozza poco profonda. Se poi mi chiedo cosa un termine come battesimo evochi nella memoria dei più, temo di non sbagliare se ritengo che l’idea più diffusa sia quella di un rito, ricco di segni, certo, che lo rendono discretamente interessante, almeno per le foto, ma che, come accade spesso per i riti, corre il rischio di essere una formalità, adempiuta la quale, un po’ come l’iscrizione a una sorta di anagrafe, finisce in un registro, senza più grandi tracce nella vita. Per qualcuno può diventare addirittura un peso: tra l’inefficacia e il fastidio, insomma. Può darsi che questa sia una ricaduta negativa dell’uso di battezzare i bambini, che porta forse a una certa infantilizzazione della fede, quella che traspare, per esempio, nell’uso fastidioso, quando si parla di Maria di Nazaret, di chiamarla “la Madonnina”. Non ho mai capito il perché.

Tornando alla scena del battesimo, non ho niente contro Piero della Francesca, anzi, trovo incredibilmente incantevole quel dipinto, e mi ci fermo volentieri a contemplarlo. A una condizione però: che si ricordi che quella visione di pace trasognata traduce l’effetto, il frutto, il dopo del Battesimo, non dice gran che del percorso per arrivarci. Che invece è suggerito chiaramente nel testo di Marco, dove la traduzione letterale dovrebbe essere “fu immerso”, e non “fu battezzato”, termine che, pur corretto, rischia di proiettare sull’evento una coltre “teologica” potenzialmente fuorviante. Marco, infatti, parla dinamicamente di immersione/discesa nell’acqua cui segue una risalita/ascesa, un abbassamento implicito pure in Matteo, che non pochi pittori, come Tintoretto, Veronese e altri, hanno tradotto nel gesto di Gesù che si piega davanti al Battista. Questo marginalizza l’elemento “acqua”, che quasi più non si vede, o si coglie a fatica nel poco che ne esce da una conchiglia, come nella scena affollatissima di angeli del Greco, il quale più che altro sembra abbia voluto mostrare che Gesù, abbassandosi, abbia voluto trascinare il paradiso in terra, aprire i cieli, appunto. La strofa di Sedulio, che arriva da epoche (V secolo) che parrebbero tutte concentrate sull’aldilà, e dunque sui “traguardi”, descrive sì il Battesimo di Gesù come un risultato, che è la purificazione dal peccato, ma con immagini chiaramente dinamiche che non lasciano dubbi sul fatto che non si tratti di una scena fissa, ma di un cammino, quello di Gesù, certo, ma che in sottofondo suggerisce anche il nostro. Il movimento è nei quattro verbi: attigit, detulit, abluendo, sustulit, al passato per quanto riguarda Gesù, da rendere al presente per quanto riguarda noi, e posti in un contesto che di tranquillo ha ben poco, a partire da quell’immagine del gorgo, e considerando inoltre il come l’agnello è diventato celeste.

Le parole contengono immagini, cui di rado badiamo, così come accade che memorie di immagini si riflettano su un’inconscia comprensione delle parole. Così disattenzione si aggiunge a disattenzione, con esiti che impoveriscono l’intelligenza delle cose. In un primo tempo, traducendo, attento all’immagine del lavacro/bagno, in tono con tutte le memorie di immagini del Battesimo di Gesù trasmesse dalla tradizione iconografica, accentuate da quelle legate al fonte battesimale, e al modo con cui da noi viene amministrato il sacramento, non avevo colto la forza intrigante e inquietante del gorgo: mi bastava l’immagine della fonte. Poi, la memoria di come il vangelo di Marco e alcuni testi di Paolo (Rm 6,3-4; Col. 2,12) parlano del battesimo (parole come immagini, e viceversa, ancora!) mi hanno portato a mettere a fuoco la violenza, la vorticosità, la pericolosità, la paura legata all’immagine del gorgo. Inutile tentare di addolcire le cose, cercando di ridurre l’acqua del “lavacro” a quattro gocce innocue. Andranno bene per un bambino del catechismo, che non va spaventato inutilmente, ma prima o poi si deve ricuperare la serietà dell’adulto, si deve “mettere in movimento” il battesimo. Il latino gurges significa vortice, onda impetuosa, abisso delle acque; in italiano gorgo vale per mulinello, di quelli che si formano dove la corrente è forte, e l’acqua è profonda, di quelli che, anche per la connessione di gurges con gula, possono inghiottire chi ne è vittima. Ma non dimentico che ci sono anche i gorghi canterini dei torrenti di montagna, dove l’acqua, balzando di sasso in sasso, danza e “gorgoglia”, trasmettendo immagini di vita. Due vie, dunque: morte e vita si mescolano in questa energia dell’acqua!

Facendosi battezzare Gesù sprofonda, “scende in un gorgo”, da cui però, come dice splendidamente Marco, risale, e non semplicemente “esce” come si ostinano a tradurre le nostre Bibbie, suggerendo l’immagine di qualcuno che, fresco e profumato, esce dalla stanza da bagno! Si immerge in un gorgo, non però per morirvi, ma per rinascere, attraverso quella che sembra una morte, ma che in realtà è una paradossale via alla vita. Del resto è chiaro che colui che raggiunge (attigit: ecco il cammino!) il gorgo di acqua pura è l’Agnello celeste. Attenti al realismo delle parole: non sono nuvolette colorate. L’agnello non è una pecorella di marzapane che troviamo in tavola a Pasqua, ma il simbolo vivente del sacrificio, che è diventato celeste, cioè vive immortale nel mondo di Dio, perché ha dato in offerta la sua vita. E cosa altro è questo se non entrare nel gorgo della morte? L’Apocalisse nomina una trentina di volta Gesù come Agnello, ma celebrando il dopo non dimentica il prima: “L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Ap 5,12). Quando penso alle “migliaia di migliaia” che proclamano a gran voce queste parole, mi torna sempre alla mente il coro strepitoso, Worthy is the Lamb, con cui Handel chiude in modo fantastico il suo Messia martellando con foga le sette qualifiche frutto dell’immolazione. Dopo di che resta solo il canto di un grandioso Amen.

Siamo al traguardo: la creazione, e in essa l’umanità, è “rigenerata” nel battesimo di Gesù, è “lavata” nel gorgo d’acqua pura, diventa nuova come nell’innocenza primigenia. Forse a questo pensava Piero della Francesca, che potrebbe aver ridotto a poca cosa l’acqua perché, se doveva solo “lavare” Gesù, dopo il battesimo non ce n’era più bisogno. Per noi, però, il “lavaggio” è continuamente necessario. Il battesimo ha pur sempre a che fare con il peccato, letto volentieri come una “macchia” che va pulita. E l’inno non se ne dimentica, perché parla di bagno (lavacrum) e di lavaggio (abluendo). Azioni, dunque: Gesù/Agnello cammina (attigit) verso il gorgo, vi si immerge, lava se stesso e con questa operazione lava pure noi, porta sulle sue spalle il nostro peccato e così lo elimina (sustulit), lui che per natura non aveva mai portato il peccato (non detulit). Misteriosa comunione tra il rabbino di Nazaret e ogni uomo, misteriosa efficacia su tutti noi di un’azione che ha fatto solo lui, a patto però che pure noi si entri nel dinamismo stabilito da quanto ha fatto lui. Gesù non è né una lavandaia né una lavatrice. Bisogna coniugare il lavare con il morire nel gorgo! Con il suo battesimo non ha solo agito anche per conto nostro, ma ci ha indicato pure una strada sulla quale noi si possa raggiungere uguale risultato. È come per la croce e il suo effetto di salvezza. Quando diciamo che “per le sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5) non intendiamo dire che, siccome il prezzo l’ha pagato lui, a noi non resta che ricevere la ricompensa. Era già chiaro da subito come stavano le cose. Scrive Pietro: “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). Quanto al battesimo, che figurativamente anticipa la croce, è stato pure scritto: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo siamo stati battezzati nella sua morte?” (Rm 6,3; Col. 2,12). Seguirlo su questa strada, dunque, entrare nel gorgo.

Poche note per concludere. L’acqua del battesimo non è quella di uno stagno! È un gorgo che va agitato, è un saper morire nel dono di sé, è un saper accettare eventi e persone che ci fanno morire, onde ritrovare nella spoliazione una purezza e una semplicità che matura in un sano distacco da sé, base della gratuità. Giordano e Calvario si richiamano, ma ambedue vanno a finire nel giardino di Pasqua. Se poi ricordiamo che nella parola “peccato” è incluso, oltre alla colpa, tutto ciò che è male e fa soffrire, capiremo che, portarlo nella pazienza, come fece Gesù, è lavarlo e guarirlo. E questo è, se si vuole, un “rito” da celebrare tutti i giorni, nei “gorghi” piccoli e grandi della vita.

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