Le cose che facciamo / 1

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spiritualità quotidiana«L’idea di queste note di spiritualità quotidiana non mi è venuta a tavolino, tantomeno in una chiesa o durante un momento di preghiera. Mi è venuta, invece, in viaggio – tra un volo e l’altro, in attesa di aerei perennemente in ritardo, in quella Babele affascinante dell’umano che sono i nostri aeroporti di oggi. E poi in treno, nelle lunghe ore di viaggio, sulla linea sgangherata che unisce Flensburg, dove vivo, ad Amburgo, dove prendo l’aereo per i miei viaggi. Altra umanità, altre storie». Inizia con questo intervento la rubrica Note di spiritualità quotidiana a firma di Marcello Neri, teologo e docente di teologia alla Europa-Universität di Flensburg.

Ogni giorno, quasi senza accorgercene, facciamo molte cose. Semplici, magari banali, ripetitive – appunto, quotidiane. In maniera magari impercettibile a coloro che ci sono vicino, e spesso anche a noi stessi, celebriamo così la liturgia delle nostre giornate. Nulla di straordinario: svegliarsi, mangiare, il lavoro, prendersi cura dei figli e della casa, fare la spesa, ordinare una pizza per cena perché la stanchezza della giornata vince sulla nostra voglia di cucinare qualcosa.

Tutto un mondo, una vita, il nostro quotidiano, che sembra essere lontanissimo dall’avere a che fare con la fede; così che quando si tratta di essa quasi non ne teniamo conto. Come se la fede rappresentasse una sorta di eccezione dal quotidiano, come se essa non avesse a che fare con le cose che facciamo ogni giorno per vivere e cercare il nostro posto nel mondo.

La fede e i giorni

Relegata a questa eccezionalità la fede rischia di dissolversi in un qualcosa che non ha spessore né giorni. Separata e messa da parte senza sapere nulla delle cose che facciamo, che fanno quello che siamo. Mancando le cose di tutti i giorni, la fede manca così la vita tutta intera – non dovremmo sorprenderci che sia diventata estranea e lontana a molti.

Strano destino a cui abbiamo costretto un Dio che si fa carne, che non lascia traccia alcuna del suo lungo vivere a Nazareth – giorni, mesi, anni, durante i quali, nelle semplici cose del vivere, dà forma allo slancio del suo fugace apparire sulle strade della nostra storia.

Ridare spessore evangelico alla quotidianità dei giorni, lavorio incessante dell’impresa di credere, vuol dire anche apprendere quel lessico comunemente umano per dire oggi del radicarsi di Dio nella vita di ogni uomo e ogni donna. Lui, discreto, silenzioso, quasi impalpabile; ma tenacemente presente, compagno di via lungo ogni asperità – dentro le cose più banali come nelle folgorazioni della gioia che, di tanto in tanto, ci baciano del tutto inaspettate.

Racconti di viaggio

Un racconto, necessariamente biografico, del quotidiano, del suo esercizio, delle sue pratiche – come della fede. Non certo esemplare. Non può esserlo perché il fare la stessa cosa ha significati diversi per ciascuno, dice di un vissuto incomparabile a qualsiasi altro. Eppure, li rende anche così vicini, così prossimi, quasi fratelli gemelli che un giorno immemorabile si persero di vista senza sapere bene perché. Il quotidiano, in tutte le sue differenze, ci accomuna tutti. Nel quotidiano si aprono le voragini che ci allontano gli uni dagli altri.

L’idea di queste note di spiritualità quotidiana non mi è venuta a tavolino, né tantomeno durante un momento di preghiera. Mi è venuta in viaggio – tra un volo e l’altro, in attesa di aerei perennemente in ritardo, in quella Babele affascinante dell’umano che sono i nostri aeroporti di oggi. E poi in treno, nelle lunghe ore di viaggio sulla linea sgangherata che unisce Flensburg, dove vivo, ad Amburgo, dove prendo l’aereo per i miei viaggi. Aeroporto, treno, aereo, stazione: altre umanità, altre storie. Il medesimo fascino che generano in me.

L’ignoto dell’altro

Una marea ignota dell’umano: qual è la loro storia, come vivono, cosa desiderano, chi amano? Dopo un attimo non li vedrò mai più, dimenticherò i loro volti, ma non andrà mai persa la loro fugace e anonima apparizione nella mia vita. Pendolari che si riconoscono a naso, ragazzi che vanno a scuola o tornano dopo una giornata di divertimento nella grande città, coppie di anziani di cui fiuti la complicità di una vita, lavoratori, amanti che consumano la loro passione, migranti più o meno integrati nella società in cui sono approdati.

Tutti insieme, fugacemente. Per un attimo siamo tutti qui: qualcuno indaffarato con se stesso, altri che chiacchierano fra di loro, altri ancora appisolati nel tentativo di recuperare un po’ di sonno. Stanchi, allegri, soli, qualcuno irritato per chissà che cosa, una mamma che cerca di gestire al meglio le energie inesauribili delle sue bimbe… Tutti così diversi e così vicini, per un attimo.

Non ce ne rendiamo conto, se non in rarissime eccezioni, ma per questo rapido lasso di tempo siamo una comunità di destino. Un misterioso potenziale di dedizione e meschinità, senza sapere dove passi la linea che le separa. L’ignoto e l’anonimità dell’altro, che si perderà non appena scenderà dal treno, non appena avremo raccolto i nostri bagagli all’aeroporto, non appena si accorge che il suo volo parte da un altro gate, si fa prossimo alla mia vita, ne diventa parte senza che io sappia nulla di lui/lei e senza che io possa farci nulla.

Comunità di destino

Porto con me, dopo tanti anni, migliaia di queste incisioni estranee nella mia vita, negli odori che ho percepito, nelle lingue che ho sentito senza comprendere nulla, nei volti di cui non ricordo più i tratti. L’assolutamente sconosciuto si è seduto accanto a me e io non me ne sono più liberato. Mi è rimasto addosso senza che ne fossi consapevole.

Non come un peso, anche se era lo sguardo sperduto di un illegale che cercava di essere il più invisibile possibile – fallendo, ovviamente. Porto con me anche i commenti di quelle strane comunità viaggianti – il biasimo, il fastidio, talvolta l’odio di cui siamo capaci quasi senza ragione, così solo per sentito dire. Ma anche la gentilezza inattesa, una parola amica pronunciata con naturalezza. Siamo anche questo strano miscuglio di sentimenti contrastanti, siamo fatti di contraddizioni e instabilità, viviamo di slanci generosi e piccolezze meschine.

Quando viaggi te ne rendi conto in una maniera strana, lo senti sulla pelle più che comprenderlo con la testa. Che questo umano un po’ scalcagnato, imprevedibile, che conosce il risentimento e sa la dedizione, così come è, sia teneramente amato da Dio, sia il destinatario della sua cura e della sua passione, non cessa mai di sorprendermi – come la folla di anonimi che incontro nel mio viaggiare.

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