Natale, la gioia di un’esperienza!

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«Tutto stava per accadere. Stava per cominciare l’enorme salvataggio/ Stava per cominciare una grande creazione/ Stava per cominciar il risveglio dal sonno/ Stava per cominciar un’immensa parola/ Stava per cominciar l’immenso evento/. L’avvento dell’ordine e della salvezza dell’uomo/ L’avvento di Dio nel cuore di ogni uomo» (Ch. Péguy, Ève, in Oeuvres poétiques, vv. 4082-4088).

Contemplando, forse davanti al presepe, il grande e sconvolgente mistero dell’incarnazione per il quale Dio, per amore degli uomini e per riparare l’errore umano originario, invia il Figlio suo tra gli esseri umani, il poeta francese, ricorrendo ad un linguaggio semplice e immediato, capace di coinvolgere il cuore dei semplici più che le menti eccelse degli speculativi, ci pone dinnanzi ad una sconcertante realtà, espressa con un’immagine di attesa e di sorpresa: stava cominciando qualcosa di sorprendente, stava per accadere una nuova creazione, cioè l’ingresso del Verbo eterno di Dio nella storia degli uomini.

Diventare figlio

E tutto ciò non ha nulla di idilliaco per il Figlio dell’Onnipotente! Diventando il figlio di Maria di Nazaret, il Verbo di Dio si è fatto in tutto simile a noi, abitanti del pianeta Terra: ha vissuto in mezzo agli altri, parlando il loro stesso linguaggio, ha subito l’ingiustizia, le dicerie e l’infamante calunnia, ha sofferto ed è morto come tutti noi, pur non sperimentando la realtà e gli effetti del peccato originale e originario.

Péguy, dunque, quasi immaginandosi nell’eternità di Dio, fuori dal tempo e prima dell’incarnazione del Verbo, usa più volte nel poema, che nelle sue ambizioni doveva superare persino il Paradiso di Dante, l’espressione: «stava per ereditar/ la legazione del mondo antico».

Bisogna davvero fare silenzio di fronte a questo mistero. Contempliamo, raccogliendo l’invito di papa Francesco a Greccio il silenzio dei pastori nella notte di Betlemme! Solamente dal silenzio può scaturire la molla per cogliere il significato di questo risvegliarsi dal sonno, a cui il poeta, sulla scia di quel vero e proprio “profeta” del Natale, che è Paolo nella Lettera ai cristiani di Roma, c’invita (cf. Rm 13,11-14).

NataleUna “letterina” proprio per voi. Servendoci di questa brillante intuizione poetica di Péguy, e quasi imitando i più piccoli di ogni famiglia, che usano ancora scrivere una letterina ai propri cari in occasione del Natale, scrivo anch’io a tutti voi, presbiteri, consacrati/e, seminaristi, fedeli tutti, uomini e donne di buona volontà, per cercare di penetrare più a fondo, tutti insieme in un clima di famiglia, l’insondabile e affascinante mistero del Natale che, insieme al mistero pasquale, di cui la Messa della vigilia imita l’andamento di Veglia, ripropone l’affermazione centrale della fede cristiana, il fondamento della sua singolarità nel contesto della pluralità delle religioni: Il Verbo si è fatto carne in Maria Vergine, nel Dio umanato adoriamo il Messia Signore, morto e risorto per noi e per la nostra salvezza!

Lo stesso poeta francese, del resto, nel poema citato, immagina Gesù dall’alto della croce, che rivede la sua prima infanzia, suggerendo degli accostamenti tra le fasce del neonato e il lenzuolo che gli verrà offerto per la sepoltura; tra la prima notte, che è quella della nascita, e l’ultima del Cristo nella tomba; tra la mirra offerta dai magi e gli aromi offerti da Giuseppe di Arimatea e dalle pie donne al sepolcro: «Rivedeva l’umile culla della sua infanzia, la mangiatoia, in cui il suo corpo fu posto per la prima volta (…). Una culla remota, una mangiatoia in una stalla (…) sotto il coro degli angeli; sotto le ali calme ma vibranti degli angeli» (Ch. Péguy, Le Mystère de la charité, in Oeuvres poétiques, 437-439; trad. it., I Misteri. Giovanna d’Arco, La seconda virtù, I santi innocenti, Jaca Book, Milano 1978, 76-78).

Occhi per vedere

Bisogna avere degli occhi particolari per vedere e riconoscere il genuino senso del mistero del Natale! Sgraniamo gli occhi come fanno, nel presepe, i pastori, gli zampognari e i magi!

Vedere, ascoltare, riferire la gioia del Signore nato e risorto. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro (Lc 2,17). Ecco la consegna per noi: annunciare con gioia il lieto annuncio della salvezza!

Il brano evangelico della Messa dell’aurora per la solennità del Natale, tratto dal capitolo secondo di Luca, ci presenta i pastori che, dopo essere stati evangelizzati dagli angeli, si recano a Betlemme e riferiscono ciò che hanno ascoltato e visto.

Il brano, sul quale vorrei intrattenermi con voi, sia pur in maniera epistolare, ci dona occasione per riflettere su un tema tanto caro alla Chiesa, perché ad essa connaturale: l’evangelizzazione gioiosa. Il Natale celebra la gioia, esorcizza i nostri Erode che vorrebbero sopprimere il neonato e ci apre all’ascolto attento per poi riferire, annunciare gioiosamente la Buona Notizia: «È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero… Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia.

Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato».

La Chiesa, principio e germe del regno di Dio sulla Terra, nasce ed esiste per evangelizzare, per dare al mondo il lieto annuncio della salvezza operata da Cristo Signore, Verbo eterno del Padre, fatto uomo e nato dal seno della Vergine Maria.

Come l’evento dell’incarnazione di cui i pastori sono i primi testimoni viene da essi annunciato con semplicità ad ogni uomo, così il mistero pasquale di passione, morte, risurrezione, ascensione del Signore che invia lo Spirito Santo, è annunciato dai discepoli di Emmaus, primi testimoni del Risorto ai loro fratelli; di essi si dice che «narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,35). Evangelizzare significa mettersi in movimento, andare: imitiamo l’andare di tutti i personaggi dei nostri presepi!

Evangelizzare il mistero del Natale. Cos’è dunque l’evangelizzazione, cioè l’annuncio gioioso di questa Bella Notizia di liberazione, carissimi?

Per comprenderlo, prendiamo spunto dai pastori e dai magi. Anzitutto diciamo che può evangelizzare solo chi è stato evangelizzato: i pastori, infatti, hanno ricevuto e accolto l’annuncio degli angeli; i discepoli di Emmaus, pur nella loro lentezza di cuore, hanno riconosciuto e accolto l’annuncio della risurrezione dalla voce stessa del Risorto!

La Bella Notizia

A loro volta, «i magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cf. Mt 2,1-12).

NataleDavanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti».

Evangelizzare, in secondo luogo, non è solo riferire; è anche, e soprattutto, creare una nuova creatura che viene messa in grado di realizzare l’utopia della liberazione. È questo il vero fine dell’evangelizzazione: se la creatura non viene fatta nuova da colui che evangelizza, la sua opera è vana.

Basta questo soltanto nell’opera di evangelizzazione? Non ancora! Non solo si deve liberare in noi e negli altri la nuova creatura, ma occorre altresì mostrare come la nuova creatura sia chiamata a vivere. Ecco il doveroso impegno, per ogni cristiano, della testimonianza: credenti, coerenti e credibili. Una testimonianza forte e sincera, che sia capace di difendere la verità fino al sangue, qualora fosse necessario, convinti che «La verità cristiana può ancora inghiottire tutte le mezze verità del mondo» (Sergio Quinzio, Dalla gola del Leone, Adelphi, Milano 2004, 91).

La Chiesa, pertanto, sente ogni giorno l’urgenza di evangelizzare, in primo luogo se stessa. Ogni suo membro è chiamato ad ascoltare e accogliere l’annuncio gioioso, per poi comunicare la propria esperienza di salvezza ad ogni fratello e sorella che incontra sul proprio cammino, in particolare i più deboli e coloro che hanno bisogno di aiuto: il prete evangelizzi il prete; questi si sentirà rafforzato nel suo ministero pastorale!

Allo stesso modo facciano i consacrati, le consacrate, i ministri ordinati e istituiti, gli sposi, i fedeli tutti: il più debole sarà sostenuto e rafforzato dal più forte e, insieme, cammineremo sulla via della santità, fugando ogni forma di tentazione. Come sono belli quei pastori del presepe che, tenendosi per mano, si sostengono l’un l’altro per andare verso la mangiatoia!

Andare al di là di ciò che vedono gli occhi. Continuando la lettura dei vangeli dell’infanzia e guardandola come realizzata nei pastori dei nostri presepi, ci accorgiamo che ci sono dei pastori che, pernottando all’aperto, vegliano le loro greggi (cf. Lc 2,8).

A questa gente umile si accosta un angelo del Signore e annunzia loro una grande gioia: «Oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore. Lo troverete avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-11).

Evangelizzare significa riconoscere qualcuno al di là di ciò che vedono gli occhi di carne. Evangelizzare comporta l’annunciare con gioia il lieto messaggio della salvezza! La meraviglia dei pastori non finisce qui; infatti, subito dopo, subentra una schiera di angelii che canta: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace in agli uomini che egli ama!» (Lc 2,14).

Chi si sente amato da Dio, sa andare oltre i suoi occhi e sa ascoltare quanto lo Spirito Santo rivela di questo bambino, che nel pieno vigore dell’età morirà inchiodato sul legno, lacerato nel suo corpo e nella sua anima, dichiarato un bestemmiatore, un sovversivo politico e un nemico di Dio.

Egli, però, rimanendo, sia sulla croce che per tutta la sua vita dagli inizi alla fine, solo e sempre nel più grande amore e nell’obbedienza purissima alla volontà del Padre suo, riesce a fare della sua vita un olocausto di redenzione e un sacrificio di salvezza.

Siamo dinnanzi al mistero dell’amore che non muore! Siamo di fronte alla carica “innovatrice” e quasi sovversiva del Natale: contro la grave mistificazione consumistica del Natale, gli uomini e le donne di buona volontà, non perdono il suo vero contenuto, la sua proposta liberante.

«L’immenso destino della donna. Così dormiva il bambino nel suo primo mattino/ Stava per cominciar Dio chi sa quale giornata/ Stava per cominciar un’eterna annata/ Stava per cominciar un immenso destino» (Ch. Péguy, Ève, in Oeuvres poétiques, vv. 4033-4036).

Nell’introduzione a questa lettera, ci siamo lasciati coinvolgere da alcuni versi, tratti da un lungo poema di Péguy, nel quale Gesù stesso si rivolge a Eva come alla propria madre. Lo fa con toni anche sorprendenti, di grande compassione e tenerezza, mischiando continuamente i riferimenti alle due donne, sulla scia dei Padri della Chiesa, a tal punto da arrivare a rivolgersi a Eva sulla falsariga della preghiera alla Madonna: “Ave, o piena di disgrazia”.

Maria

Il poeta ci sta mostrando l’immenso destino della donna! Se con Eva si sono chiuse agli esseri umani le porte del paradiso terrestre, con Maria, che ha aderito alla chiamata dello Spirito e generato il Figlio di Dio, quelle porte si riaprono, proponendo alle donne e agli uomini un nuovo destino di pace.

Contemplare il mistero del Natale, significa anche avvicinarsi al mistero e al significato dell’essere femminile. E ciò suona particolarmente importante nella stagione del persistere di violenze e abusi sulle persone di sesso femminile, spesso all’interno delle stesse famiglie.

NataleVogliamo rivolgerci alla donna e madre Maria, mistica aurora della redenzione, con le parole eccelse del sommo poeta, Dante Alighieri: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disïanza vuol volar sanz’ali./ La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fïate/ liberamente al dimandar precorre./ In te misericordia, in te pietate/, in te magnificenza, in te s’aduna/ quantunque in creatura è di bontate» (Divina commedia: Paradiso 33,13-21).

Non si può celebrare un Natale vero e autentico senza contemplare la grandezza di una Vergine che realizza la maternità, dando alla luce un Figlio che è suo e di tutti, che ella avvolge in fasce e depone in una mangiatoia (cf. Lc 2,16). È il Natale la cui verità è rivelata dagli angelii ai pastori e, dai pastori, ad ogni essere umano, anzi alle stesse creature del cosmo.

La vera “logica” del Natale. In un mondo sempre più dominato da logiche antitetiche a quella evangelica, solo questo Natale ci deve appartenere!

«Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e, al tempo stesso, ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi».

Accogliamo l’invito ad essere veri evangelizzatori dei nostri fratelli e sorelle, così come lo fu la Vergine che, dopo aver ricevuto la visita dell’angelo nella casa di Nazaret, si mise in fretta in cammino verso la casa di sua cugina Elisabetta (cf. Lc 1,39-45).

Di benedizione in benedizione

Non mi resta che formularvi, uno ad uno, partendo dai piccoli, dai malati e dai carcerati, un Natale santo, ricco di pace e serenità! Frutti, questi, del silenzio e dello stupore dinanzi al presepio. Frutti che, vi auguro di cuore, sappiate comunicare e trasmettere a chiunque il Signore permetterà che incontriate sul vostro cammino, nei vostri ambienti di lavoro e di attività, nelle vostre aule scolastiche, nelle case di accoglienza, di degenza e di cura, nei vostri viaggi e incontri.

Risvegliamoci dal sonno! Ognuno di voi possa sentire il sostegno spirituale del Vescovo che, paternamente e di cuore, estende su tutti voi e sulle vostre famiglie, la sua benedizione natalizia! Nel giorno santo del Natale 2019, per intercessione della Vergine e Madre Maria, vi benedica Dio Onnipotente, Padre-Figlio-Spirito Santo!

Vincenzo Bertolone è arcivescovo di Catanzaro-Squillace.

 

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