Più forte della morte è l’amore

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triduo

«Un’occasione… per andare al cuore della nostra fede e lasciarci condurre dallo stesso Gesù a fare una lettura pasquale, caratterizzata dalla speranza, della nostra vita, del tempo in cui ci troviamo, della comunità ecclesiale di cui facciamo parte». Così Francesco Patton, il cinquantottenne Custode di Terra Santa, originario di Trento, definisce le sei riflessioni dedicate ai giorni santissimi della Settimana Santa. In pratica le meditazioni vertono sulle sette parole di Gesù dette sulla croce, e una sul racconto dei discepoli di Emmaus.

Il card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, vede le proposte di p. Patton come un vero e proprio corso di esercizi spirituali per riscoprire il proprio discepolato, contemplando la croce di Cristo e l’amore con cui egli l’ha abbracciata. In questo modo, egli afferma, «tutti possiamo accogliere la nostra croce come esperienza non di sofferenza fine a se stessa, ma come luogo di comunione profonda con Colui che ha scelto di entrare nel mistero del dolore e della morte di ogni uomo» (p. 8).

Ogni meditazione si apre con una preghiera tratta dal Messale, a cui segue il brano biblico di riferimento citato per esteso. La riflessione si articola in alcuni punti ben indicati e titolati, l’ultimo dei quali espone alcune indicazioni concrete per la riflessione personale: domande precise e indicazioni spirituali puntuali per una crescita nel proprio cammino di immedesimazione al Cristo pasquale. La meditazione si chiude con una orazione finale.

La prima riflessione è dedicata alla passione e alla croce nella vita di Gesù e del discepolo (cf. Mc 15,1-38), con la professione di fede del centurione che ne funge quasi da sigillo. La passione, morte e risurrezione di Gesù costituisce il nucleo centrale dell’annuncio cristiano, articolato nei vangeli secondo quattro diverse prospettive: quello del catecumeno (Mc), del giudeo-cristiano (Mt), quello missionario (Lc) e quello della maturità cristiana, che vede nella croce la gloria di Gesù (Gv). La croce è scandalo e stoltezza, orribile supplizio destinato agli schiavi e ai ribelli, che nella morte di Gesù abbraccia però ogni lontananza da Dio, ogni crimine, ogni deprivazione di dignità.

Nessuno viene escluso da Dio! Se, però, si fa memoria della croce è per seguire il Crocifisso e la prospettiva liturgica è quella più adatta per farlo: si rivive il mistero, lo si contempla, ci si lascia coinvolgere in modo personale guardando i vari personaggi nei quali possiamo ritrovarci, si adora mettendosi nell’atteggiamento di fare la volontà del Padre, sperimentando in tal modo i benefici della passione e della croce, cioè l’amore di Gesù che ha amato e consegnato se stesso per ciascuno di noi, per me!

La seconda meditazione è dedicata al passaggio che Gesù compie dal sentirsi abbandonato all’abbandonarsi al Padre con fiducia. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» e «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» segnano gli estremi di un percorso straziante fatto da Gesù che, pur sentendosi psicologicamente solo e abbandonato da Padre, sa di non essere mai solo e, aiutato dalla preghiera dei salmi, affronta la sua morte affidandola alla fonte della vita, colui che per amore l’ha inviato nel mondo.

Gesù vive un dramma oggettivo e soggettivo, che non fa sconti alla sua piena umanità assunta per la redenzione. Una vera e propria discesa agli inferi, accompagnata però dalla fiducia e dell’abbandono nelle mani del Dio Abbà. Al Padre, Gesù consegna con fiducia il suo spirito, la sua vita. Anche i discepoli sanno che vivono e muoiono consapevoli di essere sempre nelle mani del Padre affidabile. A lui appartengono, sono suoi (Rm 14,8).

Gesù muore in modo drammatico, assumendo il dramma del morire umano, ma lo vive divinamente. Non muore da eroe, ma muore da credente. Stefano, il primo martire cristiano, farà proprio questo atteggiamento di Gesù.

“L’esperienza del perdono apre le porte della vita piena” è il titolo della terza meditazione, che commenta le frasi di Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» e «In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,33-43). Per Luca, Gesù è il modello di bontà, di pietà, di misericordia e di perdono, di fiducia e di preghiera. L’ora della passione è quella del ritorno del potere delle tenebre, del ritorno di Satana, che si serve di vari dei suoi sgherri. Le responsabilità umane ci sono, ma i capi agiscono per ignoranza (At 13,17), crocifiggendo il Signore della gloria (1Cor 2,8).

Gesù muore in croce perdonando, come a perdonare aveva insegnato ai suoi discepoli con bellissime parabole. Gesù muore come ha vissuto e come ha insegnato a vivere. Una preghiera di perdono per i singoli e per il popolo. Una preghiera di intercessione e di perdono avviata in modo gratuito e personale da lui stesso, che precede qualsiasi segno di ravvedimento da parte di singoli o del popolo. Intercedendo come Mosè, Gesù muore per gli empi e per essi intercede come il misterioso servo di YHWH descritto da Isaia. La reazione al perdono di Gesù è la più diversa, ma sempre indifferente e schernente.

Solo il popolo alla fine si allontanerà dalla scena del teatro battendosi il petto. Gesù è morto per gli empi, mentre eravamo nemici e peccatori. È stato reso peccato perché ricevessimo la giustizia di Dio, cioè il ritorno alla comunione nell’alleanza infranta. Luca è l’evangelista dell’«oggi» della salvezza. E “oggi”, come per il «buon ladrone», è l’appuntamento per ciascuno di noi con il perdono e la salvezza offerti da Gesù.

Nella quarta meditazione la “protagonista” è Maria, la madre di Gesù. “Accogliere Maria per sperimentare la maternità della Chiesa” è il titolo della riflessione, vertente sulle parole: «Donna, ecco tuo figlio» e «Ecco tua madre» (cf. Gv 19,25-27). Per Giovanni, Gesù si rivela nella passione e morte come l’«Io sono» che proclama la sua divinità, il re innalzato per attirare tutti a sé, il giudice che, mentre viene giudicato, giudica, l’agnello pasquale dal corpo integro, colui che adempie le Scritture. Gesù affida la madre al discepolo con pietà filiale. Maria viene costituita madre spirituale del popolo nuovo di Dio, dal momento che si trova in uno strettissimo legame con la croce del Figlio, la cui «ora» è giunta definitivamente.

Affidando la madre al discepolo amato, Gesù fa entrare i discepoli nell’intimità della sua famiglia di elezione. L’“ora” che mostra la gloria dell’amore mostra anche la madre accolta dalla vita del discepolo amato, dalla Chiesa. La scena ha un doppio livello di significato: uno comunitario ed ecclesiale e l’altro più personale. La Chiesa è presentata come famiglia, realtà materna (Maria) contrassegnata dall’essere amati (Giovanni, il discepolo amato). La Chiesa come famiglia ha nel suo cuore il calore della presenza materna, femminile che, integrando quella paterna, esprime accoglienza e tenerezza.

La devozione mariana e la spiritualità mariana fanno vivere la dimensione materna, familiare e accogliente della Chiesa. Accogliere Maria è accogliere Gesù e la sua opera salvifica. Siamo invitati a metterci nei panni del discepolo amato e sentirci amati da Gesù fino alla fine e a stare sotto la croce insieme a Maria, per ricevere i benefici della passione. «Gesù dona a me Maria come madre e perciò mi inserisce in questa famiglia che nasce dal dono d’amore del crocifisso» (p. 64).

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“Dalla sete al dono dell’acqua viva” titola la quinta riflessione, che si sofferma sulle parola di Gesù: «Ho sete» e «Tutto è compiuto» (cf. Gv 19,28-37). Gesù porta a compimento l’opera che il Padre gli ha affidato e glorifica in tal modo il Padre e il Figlio stesso. Gesù porta a compimento/perfezione/completamento/pienezza le Scritture. Senza la morte in croce di Gesù – sembra dire Giovanni – esse «sono vuote e il loro significato profondo non è svelato e raggiunto finché Gesù non lo rivela con il suo modo di vivere, con le sue azioni, con la sua morte e […] anche con la sua risurrezione» (p. 72).

Fa parte del compimento la Chiesa e la sua maternità, il dono dello Spirito quando già la Pasqua è iniziata, il vero agnello pasquale, il fianco aperto da cui esce sangue e acqua, il volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto, che in tal modo inizia ad attrarre tutti a sé. La sete di Gesù è senz’altro fisica, ma riprende tutte le afflizioni espresse dai sofferenti nei salmi (Sal 22; 69,22). La sete di Gesù è però una sete che disseta (cf. Gv 4, l’incontro di Gesù con la Samaritana). Nella sua vita Gesù è colui che disseta (Gv 6,35; 7,37-39).

Esprimendo la sua sete, Gesù sta già offrendo lui stesso l’acqua vera, il dono dello Spirito, l’acqua battesimale, il sangue della celebrazione eucaristica. Ap 22,17 appella: «Chi ha sete venga, chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita». Il compimento è, infine, strettamente legato al modo con il quale Gesù ha fatto propria la volontà del Padre. Tutto il Vangelo di Giovanni ricorda il tema del compimento della volontà di Colui ha inviato Gesù. Gesù agisce in piena sintonia col Padre, per non perdere nessuno dei figli di Dio dispersi. Gesù prega perché la volontà del Padre si compia. E l’opera di Dio è unica: «credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29).

Il volume di p. Patton si conclude con la riflessione “Il cammino di Emmaus: dalla fuga alla testimonianza”, incentrata sull’affermazione di Gesù apparso ai due discepoli: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (cf. Lc 24,13-35). La Pasqua è la grande sorpresa, un evento inaspettato: per le donne, per l’apostolo Pietro, per i discepoli di Emmaus che, dopo una fuga dalla comunità, vivono un ritorno ad essa, vivendo anche una conversione «dalla speranza perduta alla speranza ritrovata, dalla tristezza alla gioia, dalla Croce come scandalo che impedisce di credere alla Croce come ragione per credere» (cit. di B. Maggioni a p. 84).

I due discepoli di Emmaus compiono un cammino fisico e spirituale insieme. La morte di Gesù è uno scoglio che frantuma le speranze, e questo è ben espresso dai due al viandante sconosciuto che li accosta, facendosi compagno di viaggio. È infranta la speranza messianica, la possibilità di credere nelle parole che Gesù stesso aveva predetto parlando di risurrezione. Tutto si infrange sui pochi resti lasciati nella tomba vuota, che essi sono incapaci di leggere come indizi della risurrezione e inviti a credere. Gesù offre ai due discepoli una lettura pasquale di tutta la sua vita alla luce delle Scritture. La morte di Gesù non è un fallimento, ma un passaggio necessario per realizzare il progetto di Dio.

La morte in croce è il punto più basso e profondo che Dio raggiunge per condividere la vita degli uomini suoi figli. La pasqua è il passaggio dalla morte alla vita, dopo che tutte le sofferenze, le angosce e la morte stessa degli uomini sono state assunte fino in fondo e redente con il sigillo della risurrezione. Le parole di Gesù riscaldano il cuore dei discepoli. Sono il contenuto fondamentale dell’annuncio cristiano, il kerygma (cf. 1Cor 15,1-5). In 1Cor 15,12-20 Paolo ci insegna a fare una lettura pasquale della nostra vita. Senza la risurrezione, la nostra fede è vana e siamo perduti, compresi i nostri cari defunti.

Gesù viene riconosciuto dai due allo spezzare il pane. Questo gesto rammenta loro la totalità della vita di Gesù spesa come dono generoso di sé, condivisione totale con la vita degli uomini, specie dei poveri e dei peccatori. Luca ricorda che lo spezzare il pane è il «gesto riassuntivo che svela l’identità permanente del Signore: del Gesù terreno, del Risorto e del Signore presente ora nella sua Chiesa» (cit. B. Maggioni a p. 91). Non è più l’ora di trattenere Gesù. È l’ora «di testimoniarlo senza indugio di prolungarne la presenza facendo, come corpo ecclesiale del Risorto, quello che Lui ha fatto come capo dello stesso corpo» (ivi) (cf. At 2,42). Negli Atti degli Apostoli si narra proprio il cammino della testimonianza operata dagli apostoli, in tutti i luoghi e ambienti, fino ai confini della terra.

Ai suo lettori p. Patton lascia l’impegno di «rimettere in moto i nostri piedi per raggiungere tutti gli ambienti di vita […] testimoniare senza indugio e senza timore, che l’incontro con Gesù è quello che ha cambiato la nostra vita e dà significato al nostro vivere e riempie di speranza perfino il nostro morire» (p. 93).

Ringraziamo il Custode di Terra Santa per questo suo volume di intensa spiritualità, mentre promettiamo di seguirlo e di sostenerlo con tutti i mezzi anche attraverso il sito Terra Santa, nell’attesa di tornare presto a percorrere la Terra del Santo e di visitare le comunità cristiane che lì vivono e danno testimonianza fra molte difficoltà a Gesù morto e risorto.

  • FRANCESCO PATTON, Custode di Terrasanta, Più forte della morte è l’amore. Meditazioni e preghiere per la Settimana Santa. Prefazione del card. Leonardi Sandri, Edizioni Terra Santa, Milano 2021, pp. 96, € 12,00, ISBN 9788842408103.
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