Spiritualità dehoniana e Sacro Cuore

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capiago cappella

M.I. Rupnik, Crocifissione, cappella della comunità dehoniana di Capiago (Como)

Imponendosi quasi a strapiombo, il riferimento al Sacro Cuore di Gesù si è annidato in ogni angolo della spiritualità dehoniana anche senza volerlo. Un’immagine scomoda e profondamente simbolica al tempo stesso, che ha impegnato la Congregazione fin dal momento in cui si è trovata a doversi collocare nella Chiesa dopo la morte di p. Dehon.

Una devozione ingombrante

Dopo il Vaticano II si è pensato di poter prendere congedo da questa figura della devozione, così ricca di spunti fecondi oramai sentiti però come il resto di una stagione ecclesiale che ci si andava a lasciare definitivamente alle spalle. In quei giorni, fu l’altra parte di scritti del fondatore che si impose alla coscienza della Congregazione come modo di riattualizare il suo carisma e dare continuità alla dimensione fondativa della sua esperienza spirituale della Chiesa, ossia quella dedicata alla questione sociale.

Pensando che essa potesse entrare in presa diretta con una nuova stagione della Chiesa, quella post-conciliare appunto, senza bisogno di grandi rielaborazioni. Salvo poi accorgersi che anche gli scritti sociali di p. Dehon erano non meno problematici di quelli dedicati al Sacro Cuore. Della cosa si divenne consapevoli quando la “questione ebraica” lasciò l’iter di beatificazione di Dehon sospeso nell’aria a due passi dalla data di celebrazione.

Trovandosi così in mano le due metà dell’unica vita di Dehon senza grandi prospettive di ricondurle al ruolo di ispirazione unitaria per il tempo che verrà, come sembrava invece intenderle il fondatore. Lo stallo della beatificazione di padre Dehon ha avuto il merito di aprire un percorso critico di indagine storica della sua vicenda umana ed ecclesiale, a cui un’eventuale beatificazione avrebbe posto la parola fine ben prima del suo nascere.

Dalla devozione alla spiritualità

Pian piano anche alcuni degli elementi devozionali legati al Sacro Cuore hanno trovato, qua e là, un nuovo diritto di cittadinanza nella Congregazione. Questo nel momento più complesso, ossia quando i dehoniani iniziavano nuove esperienze comunitarie nei grandi territori asiatici e indiani, da un lato, e l’impatto numerico delle prime fondazioni in Europa annunciava una sorta di tramonto dell’ambiente culturale e civile rispetto al quale la devozione al Sacro Cuore aveva preso forma al suo interno, dall’altro.

La scelta intorno a cui si organizzano le nuove Costituzioni dei dehoniani è abbastanza lineare e coerente: traghettare la devozione al Sacro Cuore all’interno della normatività spirituale intorno a cui creare una coesione all’interno della Congregazione, preparandola così anche per nuovi stili di allargamento della comunità in territori culturali ed ecclesiali finora ignoti, secondo una logica squisitamente evangelica che andava a sostituire quella di cristianizzazione ancora presente nel fondatore.

Doverosamente condotta alla forma spirituale condivisa, la devozione sembrava avere esaurito (con onore e merito) il proprio compito nella vita della Congregazione dehoniana. Mentre il riferimento agli scritti sociali di padre Dehon continuava a essere frequentabile grazie agli effetti di trascinamento che hanno caratterizzato il primo (lungo) periodo della fine della stagione moderna. Fino a esaurire però in breve tempo il loro impatto residuale rispetto a una società civile e politica che andava configurandosi su schemi e temi a essi del tutto estranei.

La figura del fondatore: oltre l’intimità per pochi

La domanda davanti a cui si trova la Congregazione in questo momento storico è se Dehon, insieme a tutto il corpo delle sue scritture, non possa essere qualcosa di più che un riferimento puramente nominale, quasi da elidere dalla presentazione della Congregazione verso l’esterno, come se fosse un paio di pantofole che si infilano solo nelle mura di casa nei momenti di intimità; o se invece egli abbia ancora qualcosa da dire anche per il traghettamento della barca che ha messo in mare verso nuovi lidi e nuove avventure.

Parto da una semplice constatazione che qui non può essere argomentata come dovrebbe. E la definirei nei seguenti termini: vi è un’urgenza epocale di raccogliere la sensibilità sociale di Dehon, intesa in senso ampio, e di darle un profilo politico; ossia di renderla capace di far circolare nella socialità umana un determinato stile di organizzazione e pensiero del vivere-insieme fra molti.

La crisi civile e politica dell’Europa e dell’Occidente, in fase di regressione verso antiche sicurezze e nuovi imperialismi tutti contratti nello spazio di un’irrilevanza globale, chiedono esattamente questo. L’assenza di ogni pensiero politico che non sia coltivazione burocratica o mero risentimento verso di essa, pone un compito alla sensibilità sociale, e per il sociale, che Dehon ha lasciato ai suoi.

Sul politico

E lo fa nella maniera più complessa possibile: articolare in maniera politica l’esigenza evangelica con una percezione realista ad ampio raggio dell’attuale condizione civile. Su questo è possibile che Dehon abbia molte più cose da dirci di quanto non si tenda a dargli credito. Basta non pensare di leggere i suoi scritti sociali come una sorta di vademecum in cui trovare indicazioni già pronte per l’agire dehoniano alle soglie di una nuova epoca della storia umana.

Ma il passaggio dal sociale al politico è impresa non facile. Eppure, mi sembra l’unica via per rimettere in circolo la dinamica di una buona generazione all’esperienza dehoniana – dentro e fuori la Congregazione.

I gesti e i luoghi testimoniali sono preziosi, addirittura irrinunciabili, ma da soli non bastano perché accentuerebbero lo scollamento fra spazi sociali e forme della politica.

Qual è la forza in grado di sostenere questo passaggio di quadro (dal sociale al politico, appunto)? Perché senza una forza tutto è destinato a permanere nella ripetizione residuale di un dono fino al suo esaurimento per eccesso d’uso. E qui trova spazio la seconda suggestione.

La forza della devozione

La forza per poter passare al politico, come ripresa e rilancio della sensibilità sociale di Dehon, è esattamente la forza della devozione che si articola intorno al referente immaginario del Sacro Cuore. Perché questa devozione ha la capacità di dare calore affettivo e diritto di cittadinanza nello spazio abitato da tutti a una serie di sensibilità epocali che le generazioni più giovani coltivano con schietta persuasione, senza trovare però un’istanza di riferimento in grado di articolarne la grammatica fondamentale.

La devozione al Sacro Cuore coltiva in sé i tratti sapienziali di un linguaggio capace di accompagnare i giovani nella costruzione di questa grammatica fondamentale di un umano secondo giustizia nella socialità abitata da tutti.

Non si tratta dell’impresa coloniale di impiantare il Regno di Dio nella società umana, ma del mandato evangelico di generare a un desiderio capace di riscattarsi dalla sua misera riduzione a pulsione ripetitiva e consumista. Quando incontrano uno stile di abitare il mondo che si declina secondo le armoniche maggiori di questo linguaggio generativo, state tranquilli, i nostri giovani sono quasi avidi di apprenderne i suoi fondamentali.

Perché intuiscono in esso la circolazione di una forza che, in qualsiasi altro luogo, viene immediatamente estinta dalle logiche del nostro mondo contemporaneo.

Rispetto alla posizione di Dehon bisogna, certo, mettere mano a un capovolgimento di rilievo, richiesto anche dalle mutate condizioni del tempo storico. Ma è proprio così che si permane nella traccia di un percorso che egli non poteva che abbozzare, senza dare ulteriori indicazioni.

Insomma, non si tratta più di fare della devozione al Sacro Cuore lo stendardo di un certo quadro politico ritenuto favorevole e coerente con una visione di cristianità dell’intero corpo sociale, finendo così all’asservirsi alle logiche di potere di quella politica. Si tratta, invece, di fare della forza della devozione al Sacro Cuore quell’istanza capace di dare forma politica alle migliori aspirazioni che i nostri giovani coltivano nel loro cuore, accontentandosi poi che esse vengano messe in circolo in quanto tali all’interno di un corpo sociale sempre più suddito delle nuove potenze che lo vogliono soggiogare.

Politiche di riscatto dell’umano comune

La devozione al Sacro Cuore ha la forza, ed è la forza, per abbozzare le coordinate maggiori di una nuova impresa politica nel nostro tempo, perché ha la capacità di offrire una grammatica minima al desiderio di riscatto dall’immanentismo tecnico-procedurale che i nostri ragazzi sentono essere la signoria di un’ingiustizia dispotica che tiene in scacco le loro aspirazioni migliori e di più alta qualità spirituale.

Incontrarli esattamente sul piano di questa loro schietta disponibilità di futuro è il compito che dovrebbe stare a cuore a chiunque abbia una qualche familiarità con la devozione al Sacro Cuore e con la forza che una troppo lunga assenza di pensiero e di fantasia ha imbrigliato al suo interno.

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