Tre espressioni del volto di Gesù

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Ricordo tre espressioni del volto di nostro Signore. Il primo è il volto della passione, come lo mostrò quando era con noi in questa vita nel momento in cui moriva… La seconda espressione del volto è di pietà, tenerezza e compassione, e così si mostra a tutti quelli che lo amano, assicurando la certezza della protezione a tutti quelli che hanno bisogno della sua misericordia. La terza è quella del beatissimo volto come sarà per tutta l’eternità. (71.300-301)

La tradizione della Via Crucis ha fissato nell’ottava stazione l’incontro tra Gesù e una donna chiamata Veronica (che per alcuni significa “vera immagine”), nome relativo al prodigio che avrebbe accompagnato quell’incontro: l’impressione del suo volto sul panno che la donna usò per pulirgli la faccia lordata dal sangue e dagli sputi. È certo un segno molto bello, in cui si congiungono la compassione della donna e quella di Gesù, che la ricompensa lasciandole l’immagine del suo viso.

Giuliana sa che, a Roma, si conserva una reliquia di cui si racconta un fenomeno prodigioso, secondo il quale si dice che quel volto «muta di colore e di aspetto, apparendo talvolta vivido e consolante, talaltra più afflitto e come morto, secondo che tutti possono vedere» (10.159), con i due aspetti che alternano in continuazione.

È, del resto, la stessa sensazione che Giuliana ha provato nella Seconda Rivelazione, quando le appare il volto di Cristo sofferente, come scrive: «E dopo ciò, vidi in una visione corporea il volto del crocifisso che pendeva davanti a me, e in quel volto continuavo a contemplare una parte della sua passione: gli scherni, gli sputi, le lordure e le percosse, e molte pene e sofferenze, più di quanto io possa raccontare, e il frequente mutar di colore del viso. E una volta vedevo come metà del volto, a partire dall’orecchio, era ricoperta di sangue rappreso che formava come una crosta fino a metà del viso. E, dopo ciò, l’altra metà diventava così mentre il sangue spariva dalla parte precedentemente ricoperta». (10,157)

Questa esperienza di alternanza non è nuova. Si ritrova anche in un poema anglosassone del IX-X secolo, intitolato il Sogno della croce, dove un veggente narra di come il «legno della gloria» gli appaia a volte scintillante di gemme e ricoperto d’oro, altre volte sanguinante sul lato destro: «Vedevo quel segno vivente / cangiare vestito e colore; ora pareva bagnato e intriso / da un colare di sangue, ora di tesori ricoperto».

È chiaro che qui viene proiettato sulla croce ciò che appartiene in realtà al corpo di Cristo, ma proprio la “visione” permette questa fusione di piani e insieme la condizione mobile e cangiante della realtà. Questa fluidità dell’immagine è, in realtà, un modo eccellente di tradurre la verità del mistero pasquale che intreccia morte e vita.

È questo che porta Giuliana a evocare il fenomeno del velo della Veronica, ma, se ne parla, non è tanto per esprimere il suo stupore quanto piuttosto per trarne un preciso insegnamento: quella oscillazione altro non è se non il riflesso di due aspetti della passione, la sofferenza del momento e la gloria che vi si cela, quasi a ricordare che quel volto sfigurato nell’agonia e nella morte è lo stesso volto trasfigurato visto sul Tabor.

Da qui Giuliana deriva due significati. I due aspetti del volto rappresentano, uno, la nostra morte assunta dal Figlio per riscattarcene, l’altro, il destino beato, frutto di tale riscatto, che ci attende.

L’alternanza dei due aspetti, poi, le fa pensare all’oscillazione tra la ricerca, suggerita e stimolata dal volto penosamente sfigurato, e la contemplazione di qualcosa che è ritrovato e posseduto, quale appare nella gloria del volto trasfigurato.

Noi viviamo in questa sospensione altalenante, ma ciò non ci deve turbare, perché, scrive Giuliana, «Il cercare con fede, speranza e carità piace a nostro Signore, e il trovare piace all’anima e la riempie di gioia» (10.160).

La situazione è definita da quell’intreccio di sofferenza e di fiducia di cui si sostanzia la ricerca, tra il dolore che mette in crisi la fiducia, e la fiducia, ricuperata nella scoperta e nel ritrovamento, che lenisce il dolore.

Veniamo ora a concentrare l’attenzione sulle tre espressioni con cui il Signore crocifisso ci si presenta, non senza ricordare che tale “espressione” rivela il cuore e i sentimenti della persona, e che tale rivelazione mira a precisare il tipo di rapporto che si stabilisce nell’incontro dei volti. Ecco quanto scrive la mistica: «Nel momento del nostro dolore e della nostra afflizione, egli ci mostra il volto della sua passione e della sua croce, aiutandoci a portare la nostra con la sua forza beata. E, nel momento in cui pecchiamo, ci mostra il volto della compassione e della pietà, e così ci custodisce con la sua potenza e ci difende da tutti i nostri nemici. E queste due sono le espressioni usuali che egli ci mostra in questa vita, unendo ad esse la terza, cioè il suo volto beato simile, in parte, a come sarà in cielo. E questo avviene per il tocco di grazia e la luce soave della vita spirituale, con il che noi siamo custoditi nella vera fede, speranza e carità, nella contrizione e nella devozione, così come nella contemplazione e in tutte le specie di gioia vera e di dolce consolazione». (71.301)

Motivi cari a Giuliana

Ritroviamo in questo passo tutti i motivi cari a Giuliana: la passione come fonte di conforto, la compassione come custodia e protezione, la presenza di Dio come segno di fedeltà e dono di gioia e consolazione.

Pare una meravigliosa parafrasi della benedizione indirizzata al popolo ebraico che si materializza esattamente nel “volto” di Dio come punto focale: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).

Quello che conta è che il volto è segno concreto di attenzione, garanzia di tranquillità, sostegno amicale in ogni circostanza, soprattutto in quelle situazioni che ci inquietano e ci fanno paura, come il dolore e il peccato.

E vale la pena citare, a conclusione di questo punto di riflessione, un altro passo del medesimo capitolo 71, dove il volto diventa il centro espressivo della gioia di Dio, che chiama per naturale risonanza una risposta altrettanto gioiosa: volto che si specchia in un volto, gioia che non è godimento isolato in uno stato di autoesaltazione, ma riflettersi di volti, scambio felice di vibrazioni d’amore, come un dialogo in contrappunto tra due strumenti musicali, che si cercano, si rincorrono, si replicano, suonano all’unisono, si staccano e si ritrovano, due in uno, uno in due: «Felice, gioioso e dolce è il beatissimo e amabile volto di nostro Signore verso le nostre anime, poiché egli ci contempla viventi nel desiderio d’amore, e vuole che la nostra anima gli mostri un volto felice, per ricompensarla come si merita. E io spero che egli vorrà con la sua grazia attrarre sempre più il volto esterno verso l’interno così da farci una sola cosa con lui e tra di noi in quella vera eterna gioia che è Gesù». (71.285)

Incontro di volti

Dove arrivi l’incontro dei volti non poteva essere detto in maniera più scoperta: il traguardo è farci «una cosa sola con lui e tra di noi».

Giuliana utilizza il contrasto esterno/interno per indicare le due parti di cui è fatto l’uomo: quella “esterna”, fatta di debolezza, fragilità, peccato, e quella “interna”, dove risiede la traccia indelebile di Dio, quella “volontà buona” che non cessa di amare Dio, un vestigio di quello che eravamo, e una promessa di quello che saremo, quando Dio «sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Il movimento dall’esterno all’interno diventa, quindi, metafora di quel cammino di trasfigurazione in Gesù che è la nostra vocazione, fino a “vestirci” di lui (cf. Rm 13,14; Gal 3,27).

La dicotomia esterno/interno, per il vero, simile a quella tra carne e spirito del linguaggio paolino, altro non è che una forma di quella segmentazione dell’uomo conseguente al peccato, la cui ricomposizione in unità è una delle condizioni perché la nostra gioia sia piena.

L’alto valore relazionale del volto, vero e proprio luogo di “incontro”, è evidente nel fatto che il Signore adatta le sue diverse “epifanie” alle nostre necessità.

Il volto della passione ce lo mostra quando siamo nelle afflizioni per sostenerci con l’esempio della sua pazienza (cf. 1Pt 2,21-25); quando siamo nel peccato, forse delusi e depressi, egli rivela il volto della sua compassione e pietà, con il che ci custodisce e ci difende da quei “nemici” che possono essere lo scoramento e lo sconforto paralizzante; infine, quasi a porre un sigillo che riassume la sua amichevole e inalterabile prossimità, egli ci mostra a tratti il suo volto beato per farci pregustare la gioia del cielo con la carica di forza e sostegno che tale visione incoraggia e garantisce.

Perché – scrive Giuliana – «per nostro Signore, noi siamo ora sulla sua croce con lui nei nostri dolori, e moriamo nella nostra passione (Gal 2,19; Col 1,24). E volentieri rimaniamo sulla medesima croce con il suo aiuto e la sua grazia fino all’ultimo momento. Improvvisamente vedremo mutare l’espressione del suo volto verso di noi e noi saremo con lui in cielo. Tra un momento e l’altro sarà un istante (cf. 1Cor 15,52): e poi tutto sarà trasformato in gioia». (21.182)

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