Un tesoro da trasmettere

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chiesa vangelo

MichaelDavide Semeraro, autore del volume, è un monaco benedettino (Fasano, 1964), dottore in Teologia spirituale che, assieme a due confratelli, vive nella Koinonia de la Visitation a Rhêmes-Notre-Dame (AO), una piccola domus monastica che segue la tradizione sublacense-cassinense, caratterizzata dall’ascolto cordiale degli appelli che ogni giorno salgono dalla vita concreta delle persone.

In un tempo segnato dalla pandemia, egli segnala delle piste che possono portare a un rinnovamento della Chiesa perché resti fedele, in modo nuovo, alla sua missione di trasmettere il tesoro del Vangelo, dissodando i solchi delle città che lo aspettano, anche se con desiderio espresso molte volte a livello inconsapevole.

Semeraro traccia il cammino di una Chiesa che si ripensa, si imbarca, si espone e sa piangere.

La Chiesa si ripensa

La Chiesa deve ripensarsi. Accanto alla Parola di Dio, l’autore fa tesoro del magistero vivente di papa Francesco, in modo particolare dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium.

Per Ireneo di Lione, «la tradizione […] è un liquore che fa ringiovanire il vaso e lo contiene». La tradizione è liquida e non si deve solidificare e cristallizzare. In un mondo che cerca sempre la novità – spesso segnata da obsolescenza programmata –, rimane fermo il vangelo e non la cristianità.

I cristiani sono chiamati a essere strumenti di risurrezione, perché la Chiesa sia vero sacramento di salvezza per l’umanità. «La risurrezione è una vera e propria insurrezione della gratuità assoluta del dono» (J. Alison, cit. a p. 22), l’irruzione del totalmente gratuito nella nostra mentalità egocentrata.

L’ideale da vivere è quello tratteggiato nella Lettera a Diogneto: il nostro mondo reale, da amare perché amato per primo da Dio, può essere trasformato solo con il lievito che fa fermentare e il sale che insaporisce e conserva i cibi. Occorre «disseppellire Dio» (E. Hyllesum) dalle pietre e dalla sabbia che nascondono la sua sorgente nel mondo di oggi.

Io sono una missione su questa terra – afferma papa Francesco: «Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (EG 273).

L’evangelizzazione rinnovata sta nell’evidenziare la presenza del seme del vangelo nascosta nel cuore di ogni uomo. Solo attraverso l’amicizia si può dissodare le zolle dei cuori e scoprirvi il tesoro nascosto, già presente prima ancora che sia portato in dono dall’evangelizzatore. Occorre farsi fratelli universali.

La Chiesa sta vivendo la stagione frapposta tra la primavera del concilio e l’estate della maturazione dei frutti. Si rende necessaria una spiritualità nuova: passare da una spiritualità per il mondo a una del mondo. Si è davanti a un cammino di umanizzazione in cui recuperare lo «sguardo radicale» sul mistero della vita. Si tratta di passare da un ossessivo sguardo su Dio a uno sguardo di Dio.

L’atteggiamento e lo stile relazionale del Signore Gesù permettono di arrivare al cuore dello sguardo di Dio sulla nostra umanità. EG 269 ricorda che, per inserirsi a fondo nella società, occorre condividere la vita, ascoltare, collaborare, rallegrarsi e piangere insieme agli altri fratelli, lavorare gomito a gomito per la costruzione di un mondo nuovo. Questo non è un obbligo, un peso che esaurisce, ma una scelta personale che riempie di gioia e conferisce identità.

La Chiesa si imbarca

Una Chiesa che si ripensa alla luce dell’essere evangelizzatrice del tesoro del vangelo è una Chiesa che si imbarca con coraggio nella nuova avventura che le sta davanti, lavorando gomito a gomito con tutti. Dalla verticalizzazione si passa alla condivisione, attraverso un dialogo delle fedeltà al plurale. Bisogna «immaginare un modo completamente diverso di credere, di testimoniare e di annunciare, ammonisce l’autore –: più per “amorizzazione” che non per insistenza e terrore» (p. 44). Ripartire da ciò che è genuinamente umano per proporre a tutti un messaggio di salvezza.

Semeraro indica tre elementi da riposizionare: 1) Rinnovare l’alleanza col cosmo; 2) Passare da una teologia sulla sessualità ad una della sessualità; 3) Ritrovare i valori comuni di umanità e, primo fra tutti, la libertà.

Il vangelo eterno è un tesoro non solo da trasmettere agli altri, ma anche il tesoro da ricevere dagli altri. «È necessario accompagnare in una crescente sensibilizzazione alla trascendenza senza la quale nessuna esperienza religiosa e pratica cultuale possono veramente agire sui cuori delle persone» (p. 51). Si tratta di affinare e dilatare i sensi spirituali, diventando facilitatori del senso di trascendenza, coltivatori di sensibilità «misterica». La gioia è il criterio certo per identificare un’esperienza aperta al trascendente.

Come lo sposo san Giuseppe, si tratta di vivere e far vivere non la logica del sacrifico di sé, ma la gioia del dono di sé. La Chiesa, sposa del Cristo, si può fare madre e maestra in quanto «unita con vincolo nuziale a quella umanità sposata e amata di cui è simbolo, primizia, facilitatrice di relazione e di amore» (p. 58). Come Giuseppe, il dovere della Chiesa «è di prendersi cura del mondo per il quale Dio, il Padre, ha dato il suo Figlio che si è consegnato liberamente e appassionatamente per la salvezza e la gioia di tutti» (pp. 61-62).

Spiritualità della complicanza

Si tratta ora di uscire dalla fortezza sacrale e riprendere la sequela dell’unico maestro sulle strade della Galilea del nostro tempo dove il Risorto ci «precede». La Galilea dell’oppressione e dell’esilio diventa con Gesù la Galilea della grazia, della luce, dell’incontro col brulichìo della gente che vive nella città di Cafarnao, quintessenza della Galilea. Città «a rischio», essa diventa la dimora di Gesù, luogo in cui Gesù si espone «a rischio di relazione», fino ad aprirsi a tutte le tonalità dell’esperienza umana e religiosa. La Chiesa trova il suo simbolo evangelico più vero nella barca che non in quello del tempio.

Da Giuseppe si può imparare a non temere le complicazioni della vita. In EG papa Francesco indica una specie di «spiritualità della complicanza». La complicanza, con cui si entra in comunione con il dramma dell’esistenza concreta degli uomini, «diventa cifra per discernere una spiritualità tanto più autentica quanto più compromessa col reale» (p. 69). «Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri […] affinché accettiamo veramente di essere in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo» (EG 270, cit. ivi).

L’obbedienza al vangelo implica l’assunzione del «principio dell’incarnazione», che porta strettamente legate con sé la capacità e la volontà di assumere la complessità della vita credendo che in ogni esperienza di vita c’è la presenza di Dio.

L’incarnazione è il primo dei passi degli abbassamenti del Verbo, che culmineranno nel mistero pasquale. Ripartire dall’incarnazione significa imparare a ripartire sempre dalla realtà colta nella totalità, nella complessità e persino nella sua inevitabile ambiguità» (pp. 74-75). Una perfezione nell’imperfezione.

Assieme alla circolarità del popolo di Dio che ha rovesciato la piramide della vita della Chiesa in termini di potere, anche la piramide della santità oggi si riduce a una circolarità inclusiva e non esclusiva. Una santità incarnata, terrestre, fedele al cielo, attraverso una serena fedeltà alla terra.

Rigore della fedeltà al vangelo non significa però rigidità di chi approfitta del vangelo per il proprio potere. L’annuncio del vangelo e la richiesta della conversione richiedono previamente l’accoglienza dell’altro, «il riconoscimento – per fede e nella fede – della capacità di trasformazione che l’altro porta in sé come carattere di umanità incontestabile per quanto possa essere incrostato di limiti e difetti» (p. 75). Solo allora scatta la possibilità della relazione con Dio che crea il bisogno della conversione, prima interiore e poi esteriore.

Semeraro è convinto che l’avvento del Regno passa attraverso l’ascolto vivace della parola di Dio per mezzo delle Scritture, ma esse non esauriscono la Rivelazione. A esaurire la Rivelazione – afferma l’autore – è la capacità che questa Parola ha di incarnarsi fino a diventare un tesoro da trasmettere. «Incarnatasi in modo assoluto e unico in Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, la Parola esige di incarnarsi nella nostra vita» di discepoli e di persone (p. 77). Una domanda, infine: «La Chiesa è troppo occupata a discutere di cellule staminali e di dettagli da camere da letto […] Perché non torna a essere maestra di interiorità e portatrice del mistero?» (G. Gonella, Nel deserto il profumo del vento, 20, cit. ivi).

La Chiesa si espone

La Chiesa che si ripensa alla luce sempre nuova di un’intelligenza viva del vangelo è pure una Chiesa che, guardando al futuro, si imbarca nelle vicende della storia mettendosi dalla parte dei più piccoli come trasparenza della compassione di Cristo per l’intera umanità. Per fare questo, essa diventa una Chiesa che si espone fino a mettersi in prima linea. Essa evangelizza a partire dall’intercessione, cioè dal «fare un passo nel mezzo», mettendosi là dove ha luogo il conflitto.

La vita cristiana – osserva Semeraro – si configura come un entrare nella logica della fraternità, consapevoli che questo è un compito da realizzare di continuo. Da una religione patriarcale si passa a un discepolato fraterno. Solo dopo la risurrezione, Gesù chiama i suoi discepoli «fratelli». «Se il mistero dell’incarnazione si offre come il fondamento della compagnia, quello pasquale fa della fraternità il segno proprio della testimonianza dei discepoli del Risorto» (pp. 82-83). La fraternità è il proprium della vita della prima comunità cristiana (cf. At 2,42.44).

Comunione come stile ecclesiale

La comunione diventa lo stile della vita ecclesiale. Il ripristino della comunione fraterna, dopo secoli di piramidalizzazione della vita ecclesiale, diventa per papa Francesco profezia ecclesiale a servizio dell’intera umanità. L’identità della Chiesa non può che essere a servizio del dialogo e della comunione. Identità non è identificazione come riferimento a un’appartenenza che può dare sostegno e sicurezza ma anche sostituire il volto autentico con una maschera predominante. Fin dall’inizio la fede trinitaria è sempre stata il fondamento di un ideale coordinativo e cooperativo di comunità: «una forma di vita caratterizzata da unità plurale, complementarità, pariteticità, cogestione e cooperazione» (A. Ganoczy, cit. a p. 86).

Ogni carisma e ogni ministero è – secondo Semeraro – a servizio di una umanizzazione condivisa e non per la conservazione di un sistema chiuso, fosse anche la vita della Chiesa. I vari carismi manifestano la grazia e la bontà del Signore, il suo amore per l’umanità attraverso quelle persone che si lasciano guidare dallo Spirito. «Rivestirsi di Cristo significa mettere a disposizione la propria particolare esperienza di umanità affinché, attraverso l’insieme della comunità e dei suoi membri, il Cristo possa raggiungere tutta l’umanità nella sua ricca diversità» (p. 90). La tentazione dell’uniformità che livella le originalità personali è un attentato alla manifestazione dello Spirito (cf. 1Cor 12,14-19). La Chiesa è primizia e profezia di una umanità chiamata a essere trasformata.

«La Chiesa come comunità di discepoli a servizio dell’umanità diventa profezia, primizia e segno di un modo nuovo di abitare il mondo» (p. 93).

La comunione si esplica come esercizio appassionato di fraternità che, per natura sua, è universale e si gioca sempre in relazione fraterne uniche. «Il Vangelo con le sue esigenze di libertà, egualità e fraternità è il banco di prova della Chiesa» (p. 94). La differenza tra la proposta cristiana e le altre forme religiose è – secondo Semeraro – la postura relazionale con cui rinuncia a ogni privilegio per dare spazio alla relazione con l’altro fino a mettersi ai suoi piedi per servirlo senza nessun ricatto religioso. I discepoli sono chiamati a fare per primi il passo nella logica della kenosi pasquale.

Rinuncia e piccolezza

La Chiesa che si espone è chiamata rinunciare a privilegi desunti da altre forme religiose e da formule sociali e politiche, accettando la relatività di molte istituzioni e funzionamenti. La logica evangelica di Gesù tende all’inclusione e non alla logica esclusiva ed escludente. Anche nel campo della sessualità dei ministri, «ciò che permette prima la vita e poi il ministero è una sana capacità di relazione con il mistero di se stesso in relazione sana a quello degli altri» (p. 100).

La profezia della comunione può essere leggibile e amabile se riparte dalla debolezza e dalla fragilità di cui Abele è simbolo di fronte a ogni tentazione di comportarsi come Caino. «La tenerezza è a fondamento di ogni esperienza di fraternità e di comunione nella forma basica di gentilezza» (p. 101).

«Lo sguardo di Gesù sulla realtà – osserva Semeraro – ha introdotto un nuovo paradigma in cui Dio è grazia, gratuità, compiacenza, ammirazione» […] Il compito e la sfida dei discepoli del Signore Gesù formati alla scuola del vangelo e conformati al mistero pasquale di Cristo è quello di “sacramentare” esistenzialmente. […] è richiesto di essere una “continuazione dell’incarnazione del Verbo” come pregava più di un secolo fa Elisabetta della Trinità» (pp. 102-103).

Occorre quindi che la Chiesa ritrovi la strada della piccolezza, in relazione a Cristo e a servizio del mondo, per il quale è sacramento in quanto invenzione di «compassione» (Mt 9,36).

L’etica – ethos – non è il proprium della Chiesa, che invece è un hodos, una via: «La sua preoccupazione-desiderio è che questa sia una via di umanizzazione che permetta cioè un incremento continuo di umanità che è l’unico criterio di compatibilità evangelica delle scelte umane. Questo significa che si possono avere anche delle posizioni etiche molto diverse e queste possono essere più o meno compatibili con la via indicata dal Vangelo» (pp. 105-106). «Di fatto – aggiunge l’autore – si può parlare di etica cristiana come di finestra di discernimento aperto sul criterio della compatibilità in umanità» (p. 106).

La Chiesa deve ritrovare il cammino della piccolezza come «un modo di stare al mondo volgendo lo sguardo più verso il basso dei bisogni che non verso l’alto delle illusioni di onnipotenza» (p. 108).

Per rimettersi sulla strada della compassione, la Chiesa è chiamata a lasciarsi guidare dall’icona del samaritano evocata da Gesù. «La Chiesa è chiamata a trasmettere il tesoro del Vangelo attraverso una postura di compassione come quella del samaritano» (ivi).

La ricchezza dottrinale del concilio Vaticano II – affermava papa Paolo VI nell’Allocuzione pronunciata nell’ultima sessione pubblica – «è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità» (cit. a p. 109).

La Chiesa sa piangere

Vedova. Secondo Semeraro, oggi la Chiesa è chiamata a ritrovare la strada della piccolezza per vivere serenamente la sua crescente irrilevanza. Deve riscoprire più che mai di essere anche vedova, perché anche lei cerca il Signore. Così si esprimeva papa Francesco in un’omelia del 17 settembre 2013. Essa difende i suoi figli e li porta all’incontro con lo Sposo. Quando è fedele, la Chiesa sa piangere per i suoi figli, prega per loro, li accompagna fino all’ultimo congedo.

Ma su cosa piange la Chiesa? Piange sugli aspetti del passato che si sono rilevati incompatibili con le esigenze e lo stile del vangelo, sulle forme che non sono più in grado di mediarne l’annuncio oggi. Anche la Chiesa deve assumerne l’atteggiamento della vedova Anna per essere profezia. Anna è consacrata totalmente al Signore, giunta allo stadio della maturità spirituale, quello in cui l’attenzione e la cura è rivolta interamente verso gli altri, con uno sguardo di infinita benevolenza verso il mondo.

La Chiesa è chiamata a rinascere dal basso, perché l’alto corrisponde al «basso» dell’innalzamento della croce. Deve ripartire dal mistero dell’incarnazione quale «cardine della salvezza». «La via cristiana è l’esegesi esistenziale della kenosi del Verbo», ricordava Isacco il Siro. La «pastorale» della Chiesa «deve ripartire dal basso di un recupero di ciò che è l’essenziale della nostra umanità […] dal desiderio più profondo di ogni cuore» (p. 118).

Sussulto battesimale. Semeraro ricorda come il duro tempo della pandemia abbia portato a un ripensamento dell’impianto ecclesiale fondato sul rigurgito del «sacerdozio» come espressione somma del battezzato configurato come «alter Christus» a partire dal sacramento dell’ordine e non del battesimo, con un accentramento assolutistico sull’eucaristia. La pandemia ha fatto però riscoprire anche l’esistenza di un altro impianto, quello «fondato sul sussulto di dignità battesimale con una relativizzazione non relativistica dell’eucaristia. La sua celebrazione è stata finalmente contestualizzata in una più ampia esperienza del sacerdozio comune dei fedeli avvertito come un thesaurus inesauribile di misteri e di ministeri» (p. 121). Si è scoperto che non esiste solo un «clero vizioso» ma anche un «clero virtuoso», solidale col popolo fino alla morte di molti presbiteri. Il presbitero è stato avvertito «presente».

Secondo Semeraro, «[Meno] preti e più ministeri significa una riconsiderazione radicale del funzionamento del “culto” in senso ampio e della celebrazione dei sacramenti, in particolare, dell’eucaristia» (p. 124). Per guarire dal virus del clericalismo occorre il vaccino della discrezione nel ministero e la diversificazione dei ministeri.

Due sono i cantieri che secondo l’autore sono da aprire con urgenza: la rivisitazione del concetto di «precetto festivo» e il superamento del «ricatto catechistico» per accedere alla prima comunione (cf. p. 125). Occorre riscoprire la bellezza e la necessità del dominicum, ma senza identificarlo in senso restrittivo esclusivamente con la celebrazione eucaristica. Occorrerà rivedere e alleggerire la questione economica, il peso pastorale, con una differenziazione fra clero, «presbìteri che ricevono il sostentamento del clero» e «presbìteri lavoratori», con la possibilità di una vita comunitaria per chi lo desidera.

Occorre resistere per sperare. Riferendosi alle riflessioni del vescovo ausiliare di Malines-Bruxelles, Jean Kockerols, Semeraro ricorda che occorre resistere alla tentazione della rassegnazione e della comodità, inserendosi come lievito nel «deserto del cuore umano».

Tentazioni. Secondo Semeraro, occorre affrontare la «buona battaglia della fede» lottando contro una serie di tentazioni:

  • nascondere la nostra fragilità, cedendo a una sorta di negazionismo della reale condizione umana;
  • guardarsi indietro invece di andare diritti verso «il domani di Dio», con realismo sereno e coraggioso;
  • aver paura della paura senza cedere alla temerarietà superficiale e spaccona;
  • isolarsi per salvaguardarsi, invece di essere profeti di prossimità e di compromissione profetica;
  • il conflitto sterile, assumendo invece con onestà il confronto nel rispetto delle differenze;
  • la rassegnazione o l’ossessione della conservazione: il cammino di fede indicherà la strada;
  • lo scoraggiamento e l’isolamento interiore per lasciarsi invece contagiare dal dolore, dalla sofferenza, dai bisogni, dall’amore del Cristo che ci possiede e ci spinge verso l’altro con il soffio di una carità operosa.

Porte e chiavi. Anche nel giubileo del 2025 si apriranno probabilmente molte porte sante e non solamente una. Le chiavi affidate alla Chiesa non sono il segno di un potere da conservare ma «il simbolo di un servizio da compiere nella libertà e nell’“adultità” di ciascuno» (p. 140). Siamo chiamati a dare fiducia ai figli dando loro le chiavi di casa (l’autore cita il film Le chiavi di casa di Giovanni Amelio).

Il ministero delle chiavi è l’apertura del mistero dell’infinita fiducia di Dio nell’umanità. La Chiesa ha ricevuto fiducia dal suo Signore e deve riporre la stessa fiducia nei suoi fratelli e sorelle. La Chiesa non può essere dogana che trattiene e colpevolizza, ma luogo dove un padre parla al figlio per offrirgli la possibilità di avere le chiavi necessarie per vivere e rischiare la sua vita.

Secondo Semeraro sono molte le porte da chiudere e aprire con grande fiducia:

  • aprire la porta del rispetto di ogni vissuto e dell’onore per ogni sofferenza;
  • aprire la porta della fiducia nella libertà di ogni persona, quella dell’integrazione di ogni razza, colore, lingua, cultura;
  • aprire la porta «del rispetto fino al riconoscimento di modi diversi di vivere le alleanze tra persone senza sentirsi obbligati ad approvare e in dovere di disapprovare. È necessario imparare a dare la precedenza assoluta al compito di essere compagni di vita e speranza per tutti» (p. 143).

Va aperta la porta dell’intelligenza del cuore con cui cercare nuovi linguaggi e nuovi alfabeti; va aperta quella delle piccole cose, delle piccole comunità, dei mezzi semplici, della marginalità e della modestia; spalancata va, infine, la porta dell’ammirazione per i semi di vangelo presenti nelle parole, nei gesti e nelle scelte dei fratelli e delle sorelle in umanità.

Vanno chiuse invece la porta dei privilegi, quella del senso di superiorità che si esprime in un atteggiamento clericale (anche nei laici), quella del compromesso con i poteri mondani e con le ideologie «cristianiste», quella della nostalgia di noi stessi e dei tempi idealizzati come gloriosi.

Va chiusa la porta del vittimismo dietro cui ci si difende dagli stimoli alla conversione e quella del trionfalismo e delle cose «in grande».

L’autore chiude così l’elenco delle chiusure da compiere: «È da chiudere la porta dell’ostilità verso coloro che non vogliono o non possono, o non possono perché non vogliono, vivere né come noi, né secondo i nostri criteri senza mai cedere alla farisaica insensibilità alla sofferenza concreta delle persone concrete» (p. 145).

Il volume è un libro ricco di spunti coraggiosi e pieni di fede per tutti i discepoli di Gesù che vogliano essere lievito evangelico nella condivisione serena e fiduciosa del cammino degli uomini e delle donne del presente e del futuro, radicati nel mistero dell’incarnazione e vivendo gioiosamente il mistero pasquale di Gesù generatore della vita piena dei fratelli.

  • MICHAELDAVIDE SEMERARO, Trasmettere il tesoro. Evangelizzare: dissodare solchi nelle città. Prefazione di mons. Derio Olivero (Percorsi di Teologia Urbana), Edizioni Messaggero, Padova 2021, pp. 152, € 14,00, ISBN 9788825050219.
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