Venerdì Santo

di:

meditazione

La morte di croce contiene un segreto che non può essere rinchiuso in una pura descrizione storica, cioè nel semplice sguardo sulla scorza degli eventi. Tre aspetti dischiudono il senso profondo del morire di croce.

Il gesto di Gesù. Gesù vive la sua morte come il dono incondizionato di sé e del suo messaggio. E chiede che così sia compresa. La morte di Gesù ci dice che Gesù è completamente rivolto verso il Padre, affidato in modo radicale a Lui, anche e soprattutto nel momento in cui sembra precisamente messa in discussione la sua missione, la connessione tra il suo messaggio e la sua persona. Egli non fa valere se stesso neppure col pretesto di essere il rappresentante ultimo della verità di Dio, ma si affida in radicale abbandono al Padre suo, assumendo e portando persino la violenza e il rifiuto peccaminoso degli uomini.

È proprio tale rifiuto che genera la morte di Gesù. È come se noi dicessimo: se c’è Dio –in tal modo pensano i capi del popolo, ma forse anche Giuda, e in misura diversa gli altri, la gente, il popolo, le donne, i discepoli, Pietro, noi stessi –, non può agire così, non può abbandonare Gesù, non può non sostenere la sua pretesa, deve dar ragione a Gesù, deve confermare lo stile della sua missione… Il rifiuto di Dio si colloca allora nel cuore della sua manifestazione.

Noi non vogliamo accettare Dio così come è in se stesso, come si rivela; vogliamo quasi insegnare il mestiere a Dio. Questo, però, non pone in crisi il disegno di Dio, non lo mette in difficoltà, così che Dio debba ripensarlo e rifarlo. Dio comprende, perdona, salva dal di dentro il nostro stesso rifiuto e la nostra negazione. Egli non scambia il nostro rifiuto e il nostro peccato con l’innocenza di Gesù, «facendo pagare» a Lui ciò che dovremmo pagare noi. Come è pericoloso questo linguaggio di scambio, con cui spesso si parla della morte di Gesù!

Il Padre assume il nostro rifiuto, lo porta su di sé; mandandoci il Figlio suo, lascia che il Figlio porti il peccato degli uomini. Egli stesso, il Padre, lascia andare il Figlio nel mondo: questo “lasciar essere”  – suprema rivelazione – è proprio ciò che ci comunica Dio come Padre; e il “ricevere l’essere” da Dio – suprema dedizione – è proprio ciò plasma la forma dell’esistenza filiale di Gesù, che impara dalle cose che patisce; e lo Spirito apre lo spazio più grande possibile – suprema comunione – per includere tutti gli uomini e per trasformare anche il loro rifiuto.

Nel Figlio suo, Dio ci perdona, ci guarisce, ci abbraccia, ci fascia le ferite, ci raggiunge là a Gerico, dove ci siamo cacciati lontani da Lui, perché ci eravamo costruiti una maschera di Dio. (F.G. Brambilla)


Quanto ha parlato Cristo!
Eppure niente ha parlato più del suo corpo
inchiodato sulla croce in silenzio (…)
Siate ciò che siete!
Non passate attraverso nessun simbolo! (…)
Fate che Cristo parli con se stesso,
non con le sue parole, non con le parole su di lui.
E dove è Cristo, è dentro di noi (…)
Cristo è senza l’oro delle parole.
Cristo è, nella realtà (P.P. Pasolini).

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