2084: la teologia morale dopo il virus

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teologia morale coronavirus

«Era una luminosa e fredda giornata d’aprile e gli orologi battevano tredici colpi». Così ha inizio il celeberrimo romanzo di George Orwell, 1984, nel quale lo scrittore inglese prova a immaginare, appena qualche anno dopo la fine del secondo conflitto mondiale, come evolverà la società di lì a qualche decennio.

Le fantasie dell’autore fanno intravedere un mondo diviso in tre grandi blocchi che continuano a farsi guerra per mantenere il controllo sulla società. Una di queste potenze, l’Oceania, è governata da un unico partito il cui capo, il Grande Fratello, spia e controlla gli abitanti mediante enormi schermi posti sulle strade, con regole stringenti che impediscono anche i rapporti sessuali (se non all’interno del matrimonio e al solo scopo di procreare).

Con un po’ di immaginazione proviamo anche noi, in queste luminose e fredde giornate di inizio aprile, a immaginare un lontano 2084, per intravedere, seppur in modo fittizio, le possibili questioni morali che ci riguarderanno alla fine dell’emergenza pandemica del Covid-19.

«Il Grande Fratello vi guarda»

Il Grande Fratello di Orwell impone un rigido regime di spionaggio. Non esiste privacy e alcuna forma di libertà individuale. Grazie all’aiuto della psicopolizia e di una propaganda costante e martellante si cerca di mantenere l’ordine nella società di Oceania.

L’attuale situazione pandemica ci sta sottoponendo a degli sforzi immani, nel tentativo di contenere il contagio mediante rigide misure di “quarantena”. L’autorità politica sta esercitando il suo potere esecutivo tramite la promulgazione, abbastanza frequente, di DPCM, e il ruolo del Parlamento – sia per evitare l’assembramento di deputati e senatori, sia per eliminare le lungaggini dei dibattiti in aula – è sempre più ridimensionato. Da più parti viene anche suggerita l’ipotesi di controlli degli spostamenti tramite sofisticate tecnologie affidate alla geolocalizzazione dei nostri smartphones o automobili.

È chiaro! Si tratta di un’emergenza sanitaria alla quale nessuno di noi, nemmeno chi ci governa, era preparato. Suonano, però, provocatorie le parole di Ezio Mauro nell’editoriale apparso su La Repubblica il giorno 1° aprile: «La questione è l’uso che il potere pubblico intende fare di questo “di più” che la pandemia gli sta trasferendo in termini di potestà. Vuole usarlo a servizio dell’emergenza, spendendolo nella crisi o, al contrario, pensa di usare l’emergenza per interesse privato, entrando in uno spazio sovrano che altrimenti gli sarebbe precluso?».

Per quanto l’emergenza possa essere grave e possa realmente rappresentare un rischio per la salute fisica di ogni individuo, non si può pensare che il modo migliore per fronteggiarla sia costituito da una limitazione della libertà o della privacy individuale (che non sia rigidamente normato e ristretto nel tempo, come ad esempio prevedono le costituzioni di altri Paesi europei come la Spagna, dove i poteri speciali del Governo in situazione di stato di allarme sanitario sono sottoposti ad approvazione e verifica da parte del Parlamento).

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La libertà, infatti, non è solo l’esercizio incontrollato della propria autonomia, né, tantomeno, è una facoltà che può espandersi “fin dove inizia quella dell’altro”. Non è un accessorio, ma ciò che rende un uomo pienamente tale. Non si può ipotizzare, pertanto, una società futura fondata sulla limitazione sistematica di tale facoltà, ma sulla sua autentica promozione.

Se, come ci ha detto papa Francesco nel momento straordinario di preghiera del 27 marzo scorso, «nessuno si salva da solo», un’autentica visione della libertà umana esige la piena valorizzazione dell’interrelazione tra individui e della reciproca responsabilità nel prendersi cura gli uni degli altri.

«Io so che alla fine sarete sconfitti»

La società di 1984 è abbruttita dall’odio e dal sospetto. Winston, il protagonista principale del racconto, vive una storia matrimoniale disastrosa. S’innamora di Julia, ma, all’inizio, vive col sospetto che la ragazza sia una spia. Un suo amico e collega, O’Brian, lo porta alla rovina e alla tortura. Ma Winston non si abbatte e dice ai rappresentanti del Partito: «Io so che alla fine sarete sconfitti».

Così, anche il tempo della pandemia sembra renderci più sospettosi e guardinghi verso l’altro; terribilmente spietati verso gli untori; drammaticamente diffidenti verso tutti. Eppure, sostiene ancora il papa: «È caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

L’attuale emergenza sanitaria sta mettendo in rilievo che ciò che accomuna ogni essere umano è la sua costitutiva vulnerabilità. Sin dalla nascita ogni uomo si presenta al mondo con il suo bagaglio di debolezza e fragilità e, nel momento della vecchiaia o della malattia, debolezza e fragilità ritornano in tutta la loro dirompenza.

Fino a quando non accetteremo questa dipendenza come radice di ogni relazione e motore di ogni scelta etica e politica, non avremo posto le basi per una società più giusta e più equa, e non riusciremo a sconfiggere i mali più subdoli che attanagliano la nostra società.

Proprio la presa di coscienza della vulnerabilità della persona umana e del suo stato d’indigenza ci portano a riscoprire il valore del prendersi cura come principio etico primario e fondamentale. Nel momento in cui riconosco l’altro come persona e come persona bisognosa, nasce in me l’obbligo morale di non abbandonarlo a se stesso e la mia persona si concepisce sempre di più come ontologicamente legata agli altri da forti legami di intersoggettività che orientano il mio agire verso la cura.

Tutto ciò appare ancor più vero proprio guardando alle storie di tanti operatori sanitari che, inermi davanti all’avanzare del virus e sprovvisti di vaccini o di terapie riconosciute, prestano la loro cura attraverso piccoli gesti di attenzione e di affetto per lenire la sofferenza della solitudine.

«La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza»

Il mondo che Orwell descrive è suddiviso tra tre grandi superpotenze, Oceania, Eurasia ed Estasia. Tre macro blocchi in continua guerra per accaparrarsi il dominio sulla società. In Oceania, coloro che aderiscono al Socing (acronimo che sta per “Socialismo Inglese”), devono credere senza riserve allo slogan: «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza»: un meccanismo di controllo per poter assicurare la sottomissione di ogni cittadino al potere statale e fomentare l’odio verso le altre potenze che governano il pianeta.

Non è certo questo lo scenario presente e – certamente – non lo sarà nemmeno dopo la pandemia. Non possiamo però fare a meno di notare come, davanti all’emergenza sanitaria, sia mancata da subito una reazione coordinata degli Stati coinvolti. Ognuno ha agito per conto proprio, affrettandosi immediatamente nella chiusura dei confini o nel respingere turisti italiani nel proprio territorio, e la stessa Unione Europea, pur solidale negli aiuti, è teatro di confronti molto accesi che riguardano soprattutto la gestione della crisi economica che seguirà l’emergenza sanitaria.

Sono apparsi inaspettati gli aiuti di alcuni Stati non appartenenti all’UE o, tradizionalmente, non rientranti tra gli “amici” dell’Italia. E hanno avuto un’eco grandissima le parole del primo ministro albanese Edi Rama che ha inviato un piccolo contingente di medici e infermieri in aiuto alla nostra Nazione: «È vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere, e paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse è perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non l’abbandonano».

Non possiamo prevedere l’impatto che questi avvenimenti avranno sull’assetto sociopolitico globale. Possiamo, tuttavia, sperare che l’attuale situazione sospinga gli Stati verso rapporti di maggiore solidarietà e profonda collaborazione.

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Appare, anzitutto, indispensabile l’attuarsi di quella ecologia culturale di cui già papa Francesco parlava nella lettera enciclica Laudatosi’: «È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura. Neppure la nozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano» (LS 144).

Sarà, altresì, necessario riflettere accuratamente sull’allocazione delle risorse sanitarie e sugli investimenti economici nel campo dell’istruzione e della ricerca sia all’interno dell’Unione Europea che nel nostro Paese. È evidente e palpabile, ad esempio, la paura dei governatori e dei sindaci del sud Italia dinanzi all’eventualità del diffondersi della pandemia nel Meridione.

«Era riuscito a trionfare su se stesso. Ora amava il Grande Fratello»

Se il nostro sistema sanitario nazionale spicca per equità sociale e per numerosi centri ospedalieri d’eccellenza, questa situazione contingente ha mostrato le pericolose conseguenze di tagli non ragionati e di investimenti risicati nel campo della sanità e della ricerca.

Nemmeno la politica, pertanto, può esimersi dal vivere la dimensione della cura, mediante l’esercizio consapevole di una solidarietà responsabile e di una corretta e oculata distribuzione delle risorse.

La vita di Winston, dopo numerose peripezie, si conclude con la piena adesione ai valori del Socing. Si era arreso. Riusciremo certo a superare l’emergenza sanitaria del coronavirus, ma ci sarà una nuova etica nel 2084?

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