Cristo fondamento della creazione

di:

libro zamboni

Fino a qualche anno fa occorreva un editore cattolico particolarmente illuminato per accettare la pubblicazione di un testo sulla responsabilità dei cristiani dei confronti del creato (un tema troppo “politico” e divisivo, una questione non così sentita a livello ecclesiale… erano le scuse portate avanti più frequentemente).

Poi, cinque anni fa, è arrivata la Laudato si’, la prima enciclica sociale dedicata alla cura della nostra casa comune. Critiche, anche feroci, nei confronti della scelta di papa Bergoglio da parte di un certo cattolicesimo, che in maniera semplicistica diciamo conservatore, ma una strada era aperta, anzi spalancata e tutte le testimonianze dei cristiani lungo i secoli nei confronti della creazione ci accompagnano ora nel quotidiano insieme agli interrogativi sulla nostra attuale responsabilità.

Come dire: nessuna svolta ecologica, come qualcuno vorrebbe far credere, (smentita con forza proprio dal pontefice in diverse occasioni), solo un recupero di ciò che un tempo era comune sentire (e agire!) delle Chiese e dei cristiani, poi venuto meno, soprattutto in anni di boom economico.

La sensibilità ecologica, infatti, si era fatta strada a fatica anche nel mondo laico: si può dire non prima della fine degli anni Sessanta/Settanta dello scorso secolo (pensiamo al Cerchio da chiudere di Barry Commoner o a I Limiti dello sviluppo diffuso in Italia dal Club di Roma) quando, in alcune università europee, anche queste particolarmente illuminate, erano sorti i primi corsi di ecologia (a cominciare da Padova con il mitico Manuale di ecologia di Enzo Scossiroli).

Un’assunzione di responsabilità che parte da lontano

Sulla scia del mondo laico, postsessantottino, le Chiese sono andate recuperando ciò che le aveva sempre caratterizzate, anche se più recentemente rimasto in ombra. Bisogna dare atto alla Chiesa ortodossa di aver dato una scossa in tal senso con la proposta di una Giornata di preghiera per il creato, in data 1° settembre, portata avanti alla 1° Assemblea ecumenica di Basilea nel 1989.

Da allora non si contano gli studi e le riflessioni, anche in campo cattolico, sulla responsabilità dei cristiani nei confronti della creazione, da salvaguardare per le generazioni future, fino all’istituzione da parte dei vescovi italiani, nel 2006, della Giornata di preghiera per il creato il 1° settembre e poi, nel 2015, la proclamazione di papa Francesco della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato nella stessa data.

Ciò che caratterizza gli interventi più autorevoli – vuoi la Laudato si’, vuoi alcuni messaggi o documenti dei vescovi (a partire dai vescovi di Germania nel 1980 con il loro Futuro della creazione, futuro dell’umanità), ma anche la IV parte della Caritas in veritate di Benedetto XVI – è l’ascolto (più o meno umile secondo le persone) di ciò che dice la scienza sulla situazione del pianeta e l’accoglienza della sfida per individuare le piste da percorrere per testimoniare la nostra fede di cristiani nei confronti della salvaguardia del creato (non è un caso che papa Ratzinger negli USA sia ricordato come “The green Pope”, il papa verde).

Una sfida raccolta da diversi teologi morali e, in questo filone, si colloca l’ultimo testo, Al cuore della creazione, di Stefano Zamboni, giovane prete dehoniano e docente all’Accademia Alfonsiana di Roma, autore di alcuni saggi di teologia morale, apprezzati e adottati in diversi studi teologici.

Con lo stile di un manuale, il volume – pubblicato per i tipi dell’editrice Aracne nella serie “I quaderni di Hypsosis” – si apre con un’analisi della “Teologia di fronte alla questione ecologica” per passare (e qui si giustifica il sottotitolo “Mistero di Cristo ed ecologia”) a “Cristo fondamento della creazione”.

«Il testo di Stefano Zamboni costituisce precisamente uno sforzo – a mio avviso molto riuscito – di presentare le risorse che la fede offre per “ristabilire” la gloria divina così minacciata» scrive Réal Tremblay, coordinatore della collana, nella presentazione.

Zamboni prende le mosse da un’affermazione condivisa da molti: «non si può proporre una convincente modalità di relazione con l’ambiente che prescinda dal riferimento al mistero di Dio e dell’uomo e che si dà pertanto un approccio teologico alla questione ecologica».

La sua è una riflessione che non parte dal creato per poter scoprire e conoscere Dio, bensì parte dal Dio rivelato in Cristo e operante nello Spirito per poter conoscere la profondità del reale e il ruolo dell’uomo all’interno del creato, nella consapevolezza che «il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo che è presente fin dall’origine» (LS 99).

L’evidenza dell’attuale crisi ecologica è sotto gli occhi di tutti: siamo nell’Antropocene, l’epoca geologica in cui l’ambiente del nostro pianeta è fortemente condizionato dall’azione umana.

Zamboni cita volentieri una delle prime prese di posizione del magistero su questo tema. Siamo alla Mater et magistra, l’enciclica promulgata da Giovanni XXIII il 15 maggio 1961, fortemente segnata dall’ottimismo di inizio anni ’60, ma 54 anni prima della LS: «Dio, nella sua bontà e nella sua sapienza, ha diffuso nella natura risorse inesauribili e ha dato agli uomini intelligenza e genialità per creare gli strumenti idonei ad impadronirsi di esse e a volgerle a soddisfazione dei bisogni e delle esigenze della vita.

Per cui la soluzione di fondo del problema non va ricercata in espedienti che offendono l’ordine morale stabilito da Dio e intaccano le stesse sorgenti della vita umana, ma in un rinnovato impegno scientifico-tecnico da parte dell’uomo ad approfondire ed estendere il suo dominio sulla natura. I progressi già realizzati dalle scienze e dalle tecniche aprono su questa via orizzonti sconfinati» (MM 176).

Oltre l’ecologismo e l’ossessione del “bio”

Sgombrato il campo dalla tentazione di ecologismo, il testo prende le distanze anche da quel «paradigma tecnocratico» di cui parla la LS: mai l’umanità ha avuto tanto potere come oggi ma «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza» scriveva Romano Guardini in Das Ende der Neuzeit.

C’è un altro paradigma che oggi si sta imponendo con forza: una sorta di naturalismo biocentrico che estromette l’uomo in un modello olistico che considera la natura come il Tutto entro cui trova posto, insieme al resto indifferenziato, anche l’uomo (si tratta di una concezione che si rifà impropriamente all’assunto biologico dell’unica vita condivisa dagli organismi, tesi su cui si discute molto).

E, infine – ricorda Zamboni –, esiste anche l’“ipotesi Gaia” formulata dal biologo inglese James Lovelock nel 1979 e dalla microbiologa americana Lynn Margulis (più nota per la teoria endosimbiotica degli organelli cellulari), anche questa una teoria molto discussa a livello di biologi e naturalisti secondo la quale la terra sarebbe un sistema vivente in sé, una sorta di super-vivente che ingloba tutti gli organismi, umani compresi.

È da queste teorie che l’ecologia rischia di diventare sempre più un orientamento di vita e visione del mondo: in questo contesto tutto ciò che è “naturale” sembra tanto buono e puro – ecco l’ossessione salutista del “bio” – al punto che è dalla natura (priva di trascendenza) e non dalla civiltà che ci aspettiamo la salvezza. La Caritas in veritate a questo riguardo è illuminante: «Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l’uomo» (ma non sono pochi ad essere ossessionati, in maniera quasi ideologica, dall’idea dell’alimentazione “bio” e affini, anche in campo ecclesiale).

Se questo è il panorama offerto dalla scienza, e soprattutto dalla sua percezione a livello culturale, qual è allora l’apporto specifico della teologia cattolica?

Il senso profondamente cristiano dell’“ecologia integrale”

La via proposta da Zamboni è quantomeno interessante, anche se non inedita: si tratta di assumere quell’espressione che la LS definisce «ecologia integrale», evidentemente mutuata dal celeberrimo Umanesimo integrale di Jacques Maritain.

Anche qui non si tratta certo di una svolta, bensì di un recupero di quanto già indicato con chiarezza dalla Populorum progressio alla Caritas in veritate: il termine integrale dice la preoccupazione di un approccio che includa tutte le dimensioni, al di là della tendenza riduzionista a considerarne l’aspetto puramente tecnico-scientifico.

«Mentre la natura può essere considerata, come di fatto si fa, come un sistema autonomo, dotato di leggi e strutture proprie, il termine creazione allude invece all’intervento di Dio, all’origine ultima del mondo»: Zamboni richiama come il termine creato implichi il dispiegarsi del progetto di Dio perché «l’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato» (LS 77).

Si dispiega da qui la sua riflessione sulla comprensione cristiana dell’ecologia e lo sguardo dei credenti nei confronti della natura vista come creazione: «al centro sta il Vangelo di Cristo, o meglio il Vangelo che è Cristo», scrive il teologo citando a più riprese Jürgen Moltmann e la sua dottrina ecologica della creazione.

«Gesù Cristo costituisce la prima parola necessaria della teologia per comprendere il creato. Non è che da questo si deduca immediatamente qualche pista operativa per la salvaguardia del creato, tuttavia dev’esserne la chiave di volta. Per comprendere la creazione occorre partire da lui e, comprendendone il senso, si potrà anche riconoscere che cosa significhi la sua salvaguardia».

“Oltre il mito della natura: per una teologia della creazione” recita la 1ª parte del testo, segue “L’alleanza cosmica in Cristo: il Figlio e la creazione” e, infine, “Per un’ecologia umana: quale uomo al centro?”.

Il libro analizza il Cristo cosmico di Moltmann e la cristologia della natura, così come derivano dalle Lettere di Paolo ai Colossesi e agli Efesini, espressioni che ora devono confrontarsi con «una natura trasformata in pattumiera» e senza alternativa fra natura e storia.

«Tutti gli esseri – dalle piante agli animali, dagli uomini agli angeli – sono creati e ricevono il loro marchio dal “Primogenito” della creazione. Le cose visibili e le cose invisibili, il mondo come lo conosciamo e i più remoti spazi siderali, hanno il senso più profondo in Lui», il Cristo omega  evocato da Teilhard de Chardin.

Ampia la citazione, e la condivisione, con le riflessioni del domenicano, e agronomo, Christophe Boureux, autore dell’ottimo Dio è anche giardiniere. La Creazione come ecologia compiuta (tradotto da Queriniana nel 2016 e Zamboni, che prende molto da lui, titola il capitolo 8 “Il Cristo giardiniere”).

Uno sguardo nuovo su cose e persone

Significativa la sottolineatura dello “sguardo” nuovo di Gesù nei confronti del creato, in particolare: «Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.

Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,25-34).

«La capacità di non affannarsi nel possesso e nella spasmodica ricerca delle cose è data come conseguenza della primaria ricerca di Dio, nella nuova logica del Regno»: è lo sguardo filiale perché riconosce nella creazione il riferimento all’origine paterna, di cui parla von Balthasar, un nuovo sguardo sulle cose e sulle persone, nella direzione della sobrietà, che rappresenta anche un nuovo ruolo culturale, e una responsabilità per tutti i cristiani, come già indicava san Benedetto nella sua Regola.

Ma l’approccio cristiano alla questione ecologica nasce essenzialmente da uno sguardo contemplativo, quello che la LS definisce «un atteggiamento del cuore». È lo sguardo che si ritrova in Francesco d’Assisi, «esempio per eccellenza di ecologia integrale» aggiunge Zamboni; è lo sguardo nutrito di stupore e meraviglia, che parla il linguaggio della fraternità e della bellezza e si sente intimamente unito a tutto ciò che esiste.

«Lo sguardo contemplativo diventa anche una prospettiva privilegiata con cui Francesco guarda all’Amazzonia, uno dei “luoghi ecologici” per eccellenza» si legge nel testo, che aggiunge: «Le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (LS 100).

Il lavoro di Zamboni si completa affrontando le parole di Paolo sui gemiti della creazione, l’alleanza con Noé, l’incarnazione vista come solidarietà con ogni essere vivente, la “novità” della risurrezione, lo Spirito cosmico (che abita in ogni singola creatura e nella comunione creaturale), i cieli nuovi e la terra nuova, il sabato e la creazione giunta a compimento.

«Rispetto al tema del futuro, la teologia deve mantenersi entro un discorso assolutamente sobrio, che preservi la nostra ignoranza sul “modo in cui sarà trasformato l’universo”, ma che al tempo stesso sia consapevole di ciò che a partire dalla rivelazione si può dire».

Significativo il capitolo che riprende un tema caro alla teologia ortodossa, nello specifico al metropolita ortodosso di Pergamo, Iohannis Zizoulas: il creato come eucaristia. “Che relazione sussiste fra eucaristia ed ecologia?” è l’interrogativo che apre il capitolo 7.

Sia l’eucaristia, sia l’ecologia, devono essere comprese in modo non riduttivo per poterle pensare rettamente nella loro reciproca relazione. Diversi sono i livelli di comprensione della realtà (scientifico, filosofico, teologico…), così un primo nesso tra i due modelli interpretativi a loro propri si può cogliere nel comune riferimento al logos che anima l’una e l’altra. Ecologia è la ricerca del senso autentico dell’abitare comune, eucaristia è il dare culto a Dio.

Secondo Zizioulas non basta un’etica, occorre un ethos, una rinnovata cultura all’interno della quale sia l’elemento liturgico ad occupare il posto centrale e a fondare il comportamento umano. In questo contesto, una volta liberato il campo da un concetto di sacerdozio di tipo clericale, l’uomo diventa sacerdote del creato o – come scrive Zizioulas – «l’uomo deve divenire un essere liturgico per poter sperare di superare questa crisi ecologica».

In quest’ottica «va recuperato anche il senso dell’ascetismo, da intendersi non come disprezzo della materia, ma come superamento della propria volontà egoistica e dunque riacquisizione di una relazione armonica con la natura, uscendo da una posizione di dominio», un modo elegante per accantonare la tentazione di hybris antropocentrica.

Al contrario, l’eucaristia fonda un’etica comunionale, il concetto che Francesco esprime nella LS dove parla di “casa comune” (e nella FT di “fratellanza universale”). Per il vescovo Golser, teologo morale che si era tanto preoccupato della questione ambientale, il soggetto sarebbe l’autentico homo oecologicus.

Coltivare e custodire

Zamboni procede con un’analisi sull’incontro fra il Risorto e Maria Maddalena al mattino di Pasqua descritto con parole di autentica poesia. All’uomo spetta il compito e la responsabilità di «coltivare e custodire il giardino del mondo».

Con queste premesse, appare con evidenza come la questione dell’uomo sia assolutamente centrale per la questione ecologica: riflettere sull’uomo e sul suo posto nel mondo per andare alla radice della questione ecologica. «Non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo» scrive papa Francesco (LS 118).

Uomo come creatura fra le creature (ben oltre l’“ipotesi Gaia”) «capace di guardare il mondo a partire dalla rivelazione cristologica, filiale, di un Dio che è Padre creatore» aggiunge Zamboni citando le due posizioni prevalenti fra i Padri della Chiesa a questo riguardo: da una parte, quella di Ireneo (l’importanza del corpo) e, dall’altra, quella della scuola alessandrina, Clemente e Origene, più debitrice del dualismo platonico.

La soluzione sta nel corretto rapporto fra “dominio” e “custodia” (Gen 1,28), un testo che continua a far discutere.

E, infine, è l’antropologia della povertà a costituire uno degli assi portanti della LS: in altre parole, l’intima relazione fra i poveri e la fragilità del pianeta. «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la disgnità agli esclusi e, nello stesso tempo, prendersi cura della natura» (LS 139).

«Per molto tempo l’ecologia è stata una questione di élites dei paesi più sviluppati: l’ecologia era aspirazione a una vita più sana, a un ambiente più bello, a una relazione più armonica con l’ambiente naturale – si legge nel testo –, ma oggi ci si rende conto che esiste una questione più urgente, una ecologia dei poveri in cui la natura non è quella delle pubblicità televisive, ma l’ambiente necessario per il sostentamento, il fondamento della stessa sopravvivenza».

Senza dimenticare che il povero, prima che categoria sociologica, è dimensione teologica, dove rientrano pure gli emarginati e quanti vivono in una condizione di fragilità sociale (le donne, le vedove, gli stranieri, i bambini) e il Crocifisso è il povero tra i poveri.

«Cristo ha voluto assumere il volto dei più poveri e l’ecologia acquista anche un volto cristologico» scriveva Diego Fares, gesuita, in Civiltà Cattolica n. 166; «ne deriva che l’opzione preferenziale per i poveri e la cura del Pianeta non assumono soltanto un carattere etico-ecologico, bensì aprono al mistero del Dio Creatore, in modo tale che la nostra relazione con il nostro Padre Creatore e con la nostra madre terra passino per il tramite del prossimo più fragile» (LS 78).

“Accogliere il creato come benedizione” conclude Zamboni. Abbiamo un ethos filiale che ci fa “abitare la casa della vita” con responsabilità. Con un occhio alla riflessione di Heidegger, «la finalità di un’etica ecologica è allora quella di istituire un legame abitabile con il mondo, nella tensione feconda tra libertà e relazione» e proprio di un ethos filiale sarà la capacità di abitare nella natura come casa propria.

La riflessione prosegue con un’analisi sul concetto di “ospite” e lo stile del nostro stare al mondo in una dinamica del dono, ricevuto e offerto. Per concludere recuperando ancora una volta il fascino della poesia con la danza cosmica di Thomas Merton.

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