Dialogo e autorità tra società e Chiesa

di:
theobald

Il teologo Christoph Theobald durante la sua prolusione

Non perdere l’unica rotta che è l’annuncio del vangelo a tutta la creazione: non basta tenere a galla la barca della Chiesa, occorre mantenerla nella direzione del vento. Con questa immagine il teologo Christoph Theobald ha esordito nella prolusione al dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto, tenuta a Padova il 22 novembre 2018.

Nella lettera inviata da papa Francesco al popolo di Dio (agosto 2018), nella quale parla della sofferenza vissuta da parte di innumerevoli vittime di abusi sessuali, il pontefice «fustiga il clericalismo riconoscendo in esso una delle cause di questa malattia che attanaglia la Chiesa – sottolinea il teologo gesuita –. Il clericalismo è una “maniera deviata di concepire le autorità nella Chiesa”; esso, “favorito dai preti o dai laici, dà vita a una scissione nel corpo ecclesiale che incoraggia e aiuta a perpetrare molti dei mali che oggi denunciamo”».

Nell’intervento, dal titolo “Dialogo e autorità tra società e Chiesa”, Theobald allarga al di là della Chiesa, dentro l’insieme di relazioni che formano la nostra vita quotidiana, l’ambito di riflessione sulla questione di un esercizio non clericale dell’autorità.

L’esercizio del dialogo

In quell’impresa sempre rischiosa che è il dialogo, perché richiede ai partner di essere disponibili a spendersi fino in fondo nel gioco dell’incontro, siamo tutti inevitabilmente mossi da interessi nei confronti degli altri – ed è qui che la violenza trova terreno per insinuarsi sottilmente e, alle volte, uscire allo scoperto. Nella dinamica del dialogo si manifestano pure alcune nostre convinzioni personali e spesso esse mettono a dura prova l’intesa, che è lo scopo del dialogo – a livello personale, in seno alla società e alla Chiesa – e che suppone la capacità di ascolto.

Il dialogo è reso possibile – spiega Theobald – «allorché si verifica una specifica volontà e una rara capacità di “uscire da sé” per intendere realmente gli interessi e le attese altrui. Si tratta di una attitudine propriamente spirituale che attraversa le frontiere abituali tra la Chiesa e la società. L’adesione alla tradizione cristiana non è in alcun modo una garanzia né della volontà né della capacità di dialogare con l’altro (il Sinodo sulla famiglia e le turbolenze che stiamo attraversando ne sono una viva illustrazione). Inversamente, non si può attribuire alla mancanza di qualunque riferimento cristiano la sparizione automatica della capacità di “uscire da sé”, di vincere l’indifferenza, ovvero la propensione a imporre i propri interessi ingaggiando così un vero dialogo con gli altri».

Solamente un dialogo paziente permette, in quanto tale, di liberare e di sviluppare, all’interno delle nostre società iper-organizzate e burocratizzate, «un terreno del vivere insieme, che non è il frutto di una logica di efficacia o non deriva da una sofisticata retorica di persuasione, ma che è in grado di far accadere un incontro al livello delle nostre convinzioni più profonde. Esso – sostieneTheobald – può allora sfociare in un’“intesa” che è la risultanza della percezione di tutti i partecipanti, compresi gli ultimi, di essere stati ascoltati e, in più, compresi dagli altri, senza che questi adottino tutti la stessa posizione. Come frutto di un tale dialogo, l’intesa consiste nel fare affidamento e considerare l’apporto delle “risorse spirituali” di ciascuno in vista di un migliore vivere-insieme che riguarda tutti».

Il vero dialogo implica una «conversione radicale»

Il ruolo dell’autorità

Oggi percepiamo, in una buona parte della popolazione europea, l’appello a delle autorità forti; d’altra parte notiamo che non poche autorità sanno bene che non giungeranno ad un’intesa almeno minimale, in non importa quale ambito, senza appoggiarsi in una qualche forma di consenso sociale. «Nelle nostre società, dove il potere di diritto è indebolito e ogni sorta di potere di fatto, fondato sull’ascendente personale, rischia di imporsi e di essere ricercato da una parte della popolazione, la differenza che caratterizza ciò o colui che è autorevole è data dalla credibilità».

Ai tre criteri classici della credibilità su cui poggia l’autorità nel «dialogo sociale» – coerenza, capacità di empatia, riferimento all’altro da sé/assenza di autoreferenzialità – Theobald ne aggiunge un quarto di carattere sapienziale – autolimitazione – e un quinto di ordine profetico – vigilanza nei confronti degli esclusi dal dialogo.

«Gli abusi sessuali, commessi da alcuni membri del clero, e dissimulati da altri, che hanno un potere di fatto e un potere giuridico – chiosa Theobald –, conducono alla distruzione, attraverso i primi tre criteri, della credibilità dell’istituzione ecclesiale (che si sarebbe voluto proteggere) e della fiducia che in essa è riposta in quanto portatrice di un’autorità libera nei confronti di se stessa. Il riconoscimento, da parte di papa Francesco e da parte di qualche vescovo, di questa situazione di estrema gravità, rappresenta un primo passo, necessario ma non sufficiente, al fine di attraversare questa crisi che durerà, senza dubbio, ancora. Dovranno essere compiuti altri passi in ordine al governo della Chiesa».

Sinodalità e fraternità

Al cuore della crisi attuale si delinea un passo nuovo. L’obiettivo di papa Francesco è una riforma reale del governo ecclesiale, e tale revisione va intesa certamente in senso spirituale, «ma essa – sottolinea il teologo gesuita – deve condurre verso una nuova figura del vivere insieme nella Chiesa, figura che Francesco descrive con l’espressione “una Chiesa interamente sinodale”».

È all’interno di una teologia del dialogo che il ruolo dell’autorità ritrova un giusto spazio, entro l’ambito dei cinque criteri sopra menzionati, che si distendono fra plausibilità etica (i primi due) e tradizione biblica e cristiana (i tre successivi).

Nessuna società può esistere senza un dialogo sociale capace di superare l’eterno combattimento degli interessi personali o gruppali e la lotta tra poteri di fatto e di diritto. «Solo un sentimento reale e quasi-fisico di “fraternità” – sostiene Theobald – può rendere possibile un superamento della lotta sociale e dare accesso ad un’intesa e ad una coesione, pur sempre fragile e provvisoria. L’autorità si trasforma qui in “autorità della fraternità”; trasformazione che suppone un’autorità fraterna, capace di suscitare, per contagio, l’evangelico sentimento di fraternità – o lo “spirito di fratellanza”, secondo l’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – là dove le tormente della storia rischiano di ingoiarla».

Questo «sentimento di fraternità» è la condizione «spirituale» di ogni dialogo.

La Chiesa può ancora «essere autorevole» all’interno delle nostre società laiche, «a condizione – precisa Theobald – che essa tiri tutte le conseguenze di ciò che in questo tempo è successo e che si impegni in una veritiera riforma del suo modo di governo. Essa può offrire l’immagine di una Chiesa fraterna e dunque sinodale e deliberante. Essa può anche giocare il ruolo di una “rabdomante”, capace di scoprire, “come testimone”, lo spirito di fraternità all’opera all’interno dei nostri dialoghi quotidiani e presso gli esclusi dalle nostre conversazioni».

L’orientamento del dialogo e dell’esercizio dell’autorità verso la «mistica della fraternità» (cf. Evangelii gaudium, n. 87) è precisamente l’apporto di papa Francesco sul modo di presenza della Chiesa all’interno delle nostre società.

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