Mettere al mondo la speranza

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Due voci di donna – Ilenya Goss, pastore valdese, e Lucia Vantini, filosofa e teologa – hanno dialogato sul tema “Meditatio futuri: mettere al mondo la speranza” nell’incontro conclusivo del ciclo “Dove va la morale? – Etica delle generazioni”.

Non è stato solo un discorso teoretico, fatto di parole e di concetti, quello di Ilenya Goss, pastore valdese e membro della Commissione Bioetica della Tavola valdese, all’incontro conclusivo del ciclo “Dove va la morale? – Etica delle generazioni”, promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza assieme a Fisp. Con la musica del flauto traverso e le parole di un canto ebraico (ascolta), oltre alla mente sono stati coinvolti gli altri sensi, per far sperimentare che, quando si parla di “mettere al mondo la speranza” (questo era il tema da sviscerare), le parole non bastano, è necessario pensare con tutto il nostro essere.

E mettere al mondo la speranza può essere, oggi, una gravidanza a rischio, soprattutto quando la speranza cristiana voglia fare il suo ingresso nel mondo delle speranze umane, come ha sottolineato l’altra relatrice, Lucia Vantini, filosofa e teologa, docente all’Istituto superiore di scienze religiose di Verona.

Un dialogo a due voci di donna, consonanti e convergenti nell’indicare la necessità di educarci al senso di possibilità, a sperare senza lasciarci schiacciare dalla paura paralizzante e senza rassegnarci al male.

Ilenya Goss: dare cittadinanza alla speranza

Precarietà, incognite, paura, rabbia, tristezza… il tempo delle “passioni tristi” porta a chiudere le frontiere, la casa, il cuore perché ci si sente minacciati; eppure vediamo segni di speranza, come le persone che partono per cercare migliori condizioni di vita. «La speranza non è solo emozione né solo ragione – spiega Goss –, ma è come un punto d’appoggio che permette di avere un piede in avanti, come un runner, che mi porta, step by step, al domani. La speranza deve essere messa al mondo, la storia non va automaticamente correggendosi. Abbiamo una responsabilità, oltre alla libertà».

Un richiamo alla radice ebraica della fede cristiana ci mostra un popolo che vive di speranza: la speranza, fondata sulla promessa di Dio fatta ad Abramo, da sempre muove e sorregge il cammino del popolo ebraico. «La promessa apre la relazione con Dio e con l’altro, è forza che aiuta ad attraversare la tenebra verso una nuova vita – afferma Goss – ed è resistenza attiva alle passioni tristi e alla disperazione».

Mettere al mondo la speranza, virtù non solo razionale ma movimento della libertà e del desiderio, «è fare un salto che fa superare la disperazione per offrire a se stessi e agli altri ancora una possibilità. È credere di più alla luce che viene dalla risurrezione che alla disperazione che viene dalla storia ed è resistenza contro ogni forma di morte nella lotta per la giustizia sociale, economica, ecologica».

Lucia Vantini: la responsabilità della speranza

In un eterno presente senza direzione la speranza rischia di essere paralizzata fra l’ingenuità e l’arroganza; va invece riaffermata come necessaria, sostiene Vantini appoggiandosi all’eredità di tre autori: il pensiero utopico di Ernst Bloch (speranza come “atto cognitivo orientante”), di cui si avverte l’influsso sia nella ragione poetica di Maria Zambrano (speranza come “fame” e come “ponte”) sia e soprattutto nella teologia evangelica di Jürgen Moltmann (teologia della speranza come chiave di lettura del cristianesimo), che è stata recepita con grande entusiasmo negli anni ’70 da una teologia cattolica che usciva dal Concilio con la sensazione di potersi fidare del mondo. Oggi ci sono pensatori che ci invitano a prendere sul serio la disperazione (Günther Anders, Slavoj Zizek, Hans Jonas).

«In questo panorama dobbiamo avere il coraggio di mettere al mondo la speranza – afferma Vantini –, ne siamo responsabili non solo per noi ma anche per chi l’ha esaurita. Credere in Cristo è credere che il male non può prevalere nell’esistenza, perché Gesù l’ha dimostrato come incompatibile con la salvezza di Dio».

Sperare in Cristo «prevede un’etica – della vita, della terra, della giustizia… –, e ci porta a preoccuparci di tutti i crocefissi della storia – il malato che spera di guarire, il carcerato che spera di tornare libero, il migrante che spera di approdare, l’affamato che spera di mangiare, il bambino che spera di crescere… –, con la fiducia che il male può essere vinto sia sul versante storico sia, soprattutto, su quello escatologico. Per questo, oltre a preoccuparci del senso di realtà, dobbiamo educarci al senso di possibilità».

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