Rosengarten: il ruolo attuale della teologia

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ruolo teologia

Richard Rosengarten, professore alla Divinity School dell’Università di Chicago e ex decano della medesima, ha concesso a don Massimo Nardello un’intervista sul valore pubblico della teologia.

English Version

  • Prof. Rosengarten, il pubblico dibattito di idee nelle società occidentali pluralistiche abbraccia molte forme di conoscenza, come la scienza, l’economia, la politica, la storia, la filosofia, la letteratura e così via. Secondo lei, in questo contesto pluralistico c’è un ruolo anche per le religioni e le loro teologie? Se esiste, quale potrebbe essere?

Sì, c’è assolutamente un ruolo, tra le “forme di conoscenza”, per la religione e la teologia che costituiscono il nostro pubblico scambio di convinzioni. In breve: questo ruolo consiste nel richiamare l’attenzione su ciò che noi come umani giudichiamo essere il significato ultimo e complessivo della vita e del nostro operare nel mondo.

Questo ruolo dev’essere, allo stesso tempo, coraggioso nella sua espressione e tuttavia profondamente attento e rispettoso di ciò che altre forme di pensiero e di esperienza possono insegnarci. Ma la teologia può offrirci l’àncora alle richieste trascendenti all’interno di una cultura, purché sia debitamente umile nel suo riconoscimento e nel suo impegno verso le altre forme di conoscenza.

  • Qual è la finalità di una American Divinity School e in che modo differisce dallo scopo di una facoltà di teologia confessionale come quelle che abbiamo in Italia?

Questa è una domanda complessa a livello empirico, perché le stesse American Divinity Schools differiscono per storia, eredità e affiliazione. Ma, in generale, direi che le scuole americane di teologia, in virtù della loro associazione con le università di ricerca, collocano le loro conoscenze religiose all’interno del discorso più ampio dell’università circa la ricerca della verità e il suo utilizzo per cui tale ricerca e i suoi risultati possono essere usati per il miglioramento della società.

In una prospettiva positiva, le American Divinity Schools all’interno delle università funzionano come dovrebbe funzionare la religione nel discorso pubblico nella società.

Vorrei aggiungere – sempre pensando al loro aspetto positivo – che queste scuole di solito non sono “confessionali” nel senso che esistono per promuovere l’insegnamento di una particolare tradizione che chiamiamo cristiana.

Esse piuttosto studiano e insegnano il cristianesimo come una tradizione, così che le fonti di quella tradizione sono del tutto disponibili per l’indagine. Come studente di dottorato a Chicago, ho avuto il privilegio di studiare “la storia della teologia cristiana” con Bernard McGinn, B.A. Gerrish, Langdon Gilkey, Anne Carr e David Tracy.

Benché diversi come formazione e per specifico interesse accademico, ognuno aveva la consapevolezza di insegnare “la tradizione”.

  • Vede una diminuzione di interesse per la teologia e per il discorso religioso nella società americana contemporanea? In caso affermativo, quali sono le cause?

Non vedo una diminuzione di interesse per la teologia e per il discorso religioso quanto piuttosto una loro frammentazione. Oggi c’è un’enfasi molto forte sulla teologia “contestuale”, che si propone di accentuare il locale e il particolare come fonte e oggetto della teologia.

Questo impulso è certamente buono, ma pone anche una sfida al teologo che cerca di parlare in quanto teologo. Ci sono parecchie visioni teologiche!

  • Come accademico di un paese religiosamente pluralistico sin dalle origini, cosa suggerisce alla teologia italiana e alla Chiesa cattolica, che da molti secoli sono radicate in una cultura cattolica diffusa e indiscussa?

Dalla prospettiva americana (di una persona!), l’Italia e il cattolicesimo romano rivelano una storia e un’eredità di più lungo periodo di quella americana e ciò è impressionante e stimolante. D’altra parte, ritengo che si possa scoprire in America una sorta di dinamismo e di accoglienza delle nuove formulazioni, anziché affidarsi alle pratiche tradizionali.

Direi che un cattolicesimo veramente vibrante ha bisogno di entrambi così che ciascuno può trarre vantaggio e imparare dalla sua controparte. Il cattolicesimo è veramente una religione “globale” e la considerazione più importante – sia che si consideri da Roma o da Chicago, da Milano o da Los Angeles – è di pensare come meglio favorire questa ricchissima interazione tra tradizione e trasformazione.


  • Prof. Rosengarten, the public conversation of pluralistic Western societies involves many forms of knowledge, like scienze, economics, politics, history, philosophy, literature, art and so on. In your opinion, in this pluralistic environment is there a role also for religions and their theologies, and if so which could it be?

There absolutely is a role for religion and theology in, as you phrase it, “the forms of knowledge” that constitute our public conversation.  In brief, that role is to call attention to what we as humans judge to be the ultimate or encompassing meaning-making claims of our life and labor in the world.

That role must be at once bold in its expression, yet utterly attendant to and respectful of what other forms of logic and fact can teach us.  But theology can offer us the anchor for the transcendent claims within a cul;ture, so long as it is also appropriately humble in its recognition and engagement with other forms of knowledge.

  • What’s the goal of an American Divinity School and how it differs from the aim of a confessional faculty of theology like the ones we have here in Italy?

This is a complex question on the empirical level, because American Divinity Schools themselves differ in history and heritage and affiliation.  But in general, I would say that American divinity schools, by virtue of their association with research universities, situate their scholarship on religion within the larger discourse of the University about the quest for truth and the uses to which that quest, and its results, can be put for the enhancement of society.

At their best, American Divinity Schools function within universities the way religion should function in public conversation in society.

I would add that – again, at their best – these schools are usually not “confessional” in the sense that they exist to promote learning within a particular Christian denominational tradition.  They rather study and teach Christianity as a tradition, so that the sources of that tradition are all fully available to investigation.

As a doctoral student at Chicago, I was privileged to study “the history of Christian theology” with Bernard McGinn, B.A. Gerrish, Langdon Gilkey, Anne Carr, and David Tracy.  While different in background and specific scholarly interest, each understood himself or herself to be teaching “the tradition.”

  • Do you see a decrement of interest for theology and religious speech in contemporary American society? If so, which are the causes?

I do not see a decrease in interest or religious speech so much as a splintering of these.  There is a very strong emphasis today on “contextual” theology, which seeks to accentuate the local and particular as source and as object of theology.

That impulse is an honorable one, but it also creates a challenge for the theologian who seeks to speak as a theologian.  There are many theological voices!

  • As an academic citizen of a country which has been religiously pluralistic from its beginning, what do you suggest to Italian theology and Catholic Church, who for many centuries have been rooted in a widespread an undisputed Catholic culture?

From this (one person’s!) American perspective, Italy and Roman Catholicism bespeak a longer history and heritage than America and that is both impressive and inspirational.  On the other hand, I suppose that one can discover in America a kind of dynamism and receptivity to new formulations, rather than a reliance on traditional practices.

I would say that a truly vibrant Catholicism needs both, and that each can benefit and learn from its counterpart.  Catholicism is truly a “global” religion and the most important consideration – whether one is considering from Rome or from Chicago, from Milan or from Los Angeles – is to think about how best to foster this very rich interaction of tradition and transformation.

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 26 agosto 2020

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