Sabato Santo: il “riposo” di Cristo

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L’umile discesa Cristo nel regno della morte

Di là dell’intricata e, per certi versi, problematica interpretazione della discesa agli inferi, un punto chiaro è che essa è la discesa di Gesù nel regno della morte o, come si diceva più frequentemente e più brutalmente nel passato, la discesa di Cristo agli inferi, nel “luogo” dei morti che prima dell’opera redentiva di Gesù non potevano ancora essere ammessi alla visione beatificante di Dio. Si è parlato di “riposo del Sabato Santo” di Gesù nel sepolcro: i significati di questa intrigante espressione sono molteplici e oltrepassano il senso liturgico di questo giorno del triduo pasquale.

Qualcuno di quei significati va protetto da derive passivizzanti ed è inoltre possibile accrescere l’elenco delle interpretazioni teologiche di quel giorno. Ma, in concreto, quali sono i significati del “riposo di Gesù nel Sabato Santo”?

Il secondo Adamo cerca tra i morti il primo Adamo

Cristo discende nel cuore della terra a visitare la comunità dei morti che l’ha preceduto; egli va a incontrare Adamo, l’uomo fatto in vista di lui (cf. Col 1; Ef 1), ossia l’uomo di tutti i tempi e gli uomini di tutta la storia.

L’affermazione della discesa agli inferi è un’affermazione sulla profondità e sulla universalità della salvezza: il discendere e l’ascendere sono indicazioni sensibili[1] per dire che l’opera redentrice e salvatrice di Cristo pervade l’intero cosmo, meglio, l’intera creazione. Cristo, essendo Adamo più di Adamo (cf. Rm 5,14), cerca tutti gli uomini e ogni uomo nella profondità più riposta di lui: egli va nel “cuore” dell’uomo. Solo lui sa compiere questa penetrazione della vita dell’uomo: «lui solo infatti sa cosa c’è dentro l’uomo, lui solo lo sa», ha affermato Giovanni Paolo II nel suo Discorso d’inizio del pontificato (22.10.1978).

Cristo, secondo Adamo, «va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione».[2]

Discendendo agli inferi, il Cristo porta la salvezza dentro l’uomo, dentro il suo cuore, dentro le fibre più intime della sua vita, anzi nel cuore della sua morte.

Questa salvezza – irradiantesi anche fino alle profondità dell’uomo – si diparte da tutti i misteri di Cristo, a cominciare dall’incarnazione, ma soprattutto dall’evento di Pasqua, dove egli ha la possibilità di purificare i tempi (anche quelli passati), di lavare la storia e il mondo battezzandoli nel suo sangue glorioso.

Il riposo di Cristo

In forma litanica si può dire che quel “riposo di Cristo” è misterioso, proprio nel senso che è ricco e pregnante di significati misterici, cioè di valori salvifici dati da Dio:

1) significa che il Redentore, in quanto uomo, ha subìto la morte, assumendo il destino di morte di tutti gli uomini fino in fondo, condividendo con loro non solo l’atto del morire, ma anche lo stato di morte;

2) completa il movimento kenotico o di abbassamento, che è iniziato con l’incarnazione, si protratto per tutta l’esistenza di Gesù, raggiungendo punti bassissimi con la passione, la crocifissione e la morte: la discesa agli inferi è l’ultimo gradino di tale abbassamento;

3) esprime il radicalismo della del Redentore verso quelli che deve e vuol salvare su missione del Padre;

4) è l’irradiazione più vasta e più profonda della forza salvifica della morte di Gesù, che così penetra nelle viscere della creazione e della storia, nei penetrali più riposti del cuore dell’uomo, che non è sfiorato dalla morte di Cristo, ma efficacemente penetrato, perforato, invaso dalla sua forza salvifica;

5) è l’evangelizzazione dei morti da parte di Gesù sepolto, mostrando che non si dà una geografia in alcun modo limitata di essa, dal momento che oltrepassa perfino la soglia della vita e viene resa ai morti: «andò e portò agli spiriti in prigione il suo messaggio» (1Pt 3,19);

6) inizia l’applicazione della salvezza di Cristo già meritata dalla sua morte e celebrata sulla sua croce (per dirla con un’espressione della “teologia scolastica”, la “salvezza oggettiva” si fa “salvezza soggettiva”): «Se il redentore, che, in forza della sua innocenza, propriamente non era sottomesso al destino della morte, si accosta ai morti dopo il suo atto sulla croce, ciò non può avere per loro che il significato e l’efficacia di una comunicazione della forza di redenzione. Si tratta allora di indirizzare verso il regno dei morti le forze sprigionatesi dalla redenzione».[3]

L’umile discesa Cristo nel regno della morte

Almeno due sono le interpretazioni da evitare quando si parla del “riposo di Gesù nel Sabato Santo”. Anzitutto non significa che Gesù sospende la sua opera salvifica, che si riposa di essa, che crea un intervallo, un’assenza nel suo pellegrinare messianico, nella sua ricerca pastorale della pecora perduta (cf. Gv 10,1-21). è esattamente il contrario: con la “discesa” Cristo è andato dove non è mai andato, nella parte più bassa, più profonda, più estrema, più depressa dell’essere uomo: lì si può dire al massimo del Figlio di Dio che ha condiviso, eccetto il peccato, la condizione umana (cf. Eb 4,15).

Con la “discesa”, Cristo è andato dove nessun uomo sa andare; ha camminato a ritroso, raggiungendo il passato dell’uomo: così Gesù comincia a mostrare – sia pure nel modo invisibile del mistero – di essere lo stesso ieri, oggi e sempre (cf. Eb 13,1-8; Sal 26,1.3. 5.8b-9abc; Mc 6,14-29).

La seconda interpretazione errata da evitare è questa ed è legata all’altra. La discesa agli inferi non va immaginata come un andare dalla parte opposta della Gloria e del Cielo di Dio, che sono appunto pensate come realtà alte, che sono in alto. Al contrario, essa è orientata alla risurrezione e alla conseguente Gloria.

Il massimo del discendere non può essere per Gesù che l’inizio della sua risalita, del suo ascendere, del suo risorgere dai morti e del suo essere glorificato. Cosicché la discesa agli inferi si lega in modo essenziale alla “teologia della morte”, divenendone uno dei suoi fuochi più luminosi, e uno dei suoi punti di forza più duri e tenaci: essa «è l’applicazione della forza di redenzione a tutta l’umanità passata, da parte del redentore che a questa umanità ha finalmente e definitivamente aperto l’accesso a Dio, andandola a cercare nella sua sfera più bassa, nella sua situazione più oscura e – per esprimerci ancora per immagini – nel punto più profondo del cosmo».[4]


[1] Le immagini sensibili della discesa e dell’ascesa di Gesù Cristo adottano l’antica immagine del mondo a tre piani, che non corrisponde al pensiero moderno, per cui (si usa dire) che l’uomo del nostro tempo non potrebbe affermare simili formulazioni delle verità di fede; ma si dà il caso che le verità di fede non sono mai legate per la vita e per la morte a una determinata immagine del mondo (cf. L. Scheffczik, Discese agli inferi (nel regno della morte), il terzo giorno risuscitò da morte, in Aa.Vv., Io credo, p. 62).

[2] Ufficio delle letture del Sabato Santo. Un’icona del Sabato Santo del 1502, di Dionisij e allievi, che si trova nel Museo di San Pietroburgo, rappresenta il Cristo risorto non nell’atto di uscire dalla tomba, ma in quello di sprofondarvi. Cristo entra nel cuore della terra, perché la storia degli uomini possa ritrovare la sua verità e servire così ad Adamo non per nasconderlo davanti a Dio, ma per riconsegnarlo a lui, redento e glorificato. Cristo non esce dalla tomba come uno che si è liberato dalla morte e scappa via: egli non ha vinto la morte per se stesso, come un superuomo, ma discende negli inferi, nel mondo della morte, nell’impero delle tenebre che tiene schiavo Adamo e la sua discendenza. Egli tende le mani ad Adamo ed Eva: li prende per il polso (il luogo dove si misura la vita) e li riporta all’esistenza: comincia così il cammino nel seno della Trinità, il ritorno al Padre, porto di salvezza di ogni uomo (cf. T. Spidlík-M. I. Rupnik, Narrativa dell’immagine, Lipa, Roma 1996, pp. 51-53).

[3] L. Scheffczik, Discese agli inferi (nel regno della morte), il terzo giorno risuscitò da morte, a cura di Wihelm Sandfuchs, in Aa.Vv., Io credo, Cittadella, Assisi 1977, pp. 63-64.

[4] L. Scheffczik, Discese agli inferi (nel regno della morte), il terzo giorno risuscitò da morte, in Aa.Vv., Io credo, p. 64.

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