Alla ricerca del volto autentico di Dio

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Dopo aver presentato su SettimanaNews (26 settembre 2019) il libro Non è quel che credi. Liberarsi dalle false immagini di Dio (Bologna, EDB, 2019, pagine 168, euro 13) di Francesco Cosentino, docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana e officiale della Congregazione per il clero, ne pubblichiamo ora l’ampia recensione di Andrea Lebra.

«Fare pace con Dio, liberandosi delle immagini distorte di lui, è una delle più grandi avventure spirituali dei nostri giorni e una delle poche possibilità che abbiamo per aprirci a una vera relazione con il Signore. La questione delle immagini di Dio richiama una delle grandi frontiere odierne dell’evangelizzazione, della spiritualità e della teologia».

Immagine di DioLo scrive Francesco Cosentino nel saggio Non è quel che credi – Liberarsi dalle false immagini di Dio, in libreria da pochi giorni.

Docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana, autore di numerose pubblicazioni di grande interesse, specializzato sul tema dell’ateismo e del dialogo con i non credenti, Cosentino è un giovane teologo «alla papa Francesco» che, unendo alla chiarezza del linguaggio la profondità del pensiero, sa – come direbbe il suo amico e collega Armando Matteo – «costruire ponti tra il Vangelo e la storia e, viceversa, tra la storia e il Vangelo, nella duplice consapevolezza che nessun’epoca è in grado di tradurre senza resto il mistero di fede custodito nelle parole e negli eventi di Gesù e che, nello stesso tempo, nessun’epoca è priva di un suo tratto specifico capace di gettare nuova luce su quelle parole e su quegli eventi».

Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente la scorsa estate, nell’ambito di un’intensa giornata di riflessione sul tema “La profezia del Regno di Dio nel tempo secolare”.

In quel contesto, il prof. Cosentino aveva fatto la seguente affermazione di straordinaria importanza, che sviluppa magistralmente nel suo nuovo libro: «Bisogna dirlo con franchezza: ci sono state e ci sono troppe caricature di Dio, troppe immagini sbagliate, parziali, severe e poco umane di lui, troppi volti di Dio costruiti sulla misura dei bisogni e degli egoismi umani o sul metro delle intenzioni clericali, troppi idoli scambiati per Dio e che altro non sono se non una sua deformazione. Se non riusciamo a disfarcene, sarà impossibile evangelizzare, cioè rendere presente nel nostro tempo secolare il Regno di Dio, che coincide in sostanza con la persona di Gesù Cristo e il suo messaggio di salvezza».

Una riscoperta affascinante dell’autentica immagine di Dio

Il saggio contiene una breve ed efficace Prefazione di Enzo Bianchi che qualifica l’analisi di Cosentino «lucida e tagliente», mai «impietosa» o «arrogante», sempre «colma di attenzione, di cura, di sollecitudine verso le persone, siano esse ormai lontane dalla compagine ecclesiale, magari preda di un’acidità verso un passato di pesi e asfissia, oppure stancamente assestate in una condizione senza molte prospettive di speranza vitale».

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Nell’Introduzione l’autore esplicita la motivazione che l’ha indotto a scrivere il libro (il «fraintendimento di Dio» che è di ostacolo alla vita cristiana) e il conseguente obiettivo che si propone di perseguire (aiutare le persone a «percorrere una via di guarigione dalle immagini di Dio negative e malsane», che spesso hanno ferito la loro vita).

Il contenuto è sviluppato in cinque capitoli, scritti con un linguaggio perfettamente comprensibile e non appesantiti da note di carattere scientifico-accademico.

Cosentino invita il lettore a prendere atto che oggi l’ostilità silenziosa nei confronti di Dio o l’indifferenza religiosa di molte persone non dipendono tanto da argomenti intellettuali contro la fede, ma piuttosto dal fatto che esse, da un lato, sono rimaste ferme alle sole nozioni catechistiche apprese su Dio nell’infanzia, dall’altro, non hanno avuto la possibilità di fare un’esperienza personale di fede e di vita ecclesiale in grado di aiutarle a “immaginare” Dio nel modo in cui lo ha fatto Gesù di Nazaret (cap. 1).

Di Dio possiamo e dobbiamo dire molte cose, perché è necessario per la nostra vita, ma dobbiamo essere ben coscienti che, in definitiva, potremo sempre e solo dire povere parole umane, impotenti davanti al Mistero, che resta inevitabilmente molto al di là di quanto esse possano esprimere (cap. 2).

Vengono poi stigmatizzate alcune delle immagini negative di Dio (il Dio tappabuchi, il Dio giudice che castiga, il Dio contabile e legalista, il Dio del sacrificio, il Dio dell’efficienza) che hanno talvolta finito per sostituire il Dio vivente della rivelazione cristiana (cap. 3).

A queste si contrappongono le immagini di Dio che «fanno bene all’anima», che emergono da una lettura delle sacre Scritture attenta, meditata e intelligente, ma soprattutto collegata con il mistero della redenzione realizzatasi in Gesù. Immagini che ci parlano di Dio come di colui che prospetta percorsi di piena umanizzazione (cap. 4).

Ma è soprattutto nell’ultimo capitolo che il lettore viene esortato e incoraggiato a ritornare all’esperienza dell’incontro con Gesù per vedere in lui e nel suo Vangelo la prima e più grande via di guarigione delle immagini sbagliate di Dio. E’ nel volto dell’Uomo di Nazaret, infatti, che si possono cogliere, senza fraintendimenti o riduzioni, i lineamenti di Dio, che nessuno – come si legge in Gv 1,18 – ha mai visto, ma che ci è stato rivelato in modo insuperabile dal Signore Gesù.

Amico ateo, Dio non è quello al quale tu non credi!

La conclusione contiene icasticamente alcune convinzioni del docente di Teologia fondamentale che meritano di essere riportate testualmente.

Immagine di Dio«Con molti atei condivido il fatto che l’esistenza di un Dio che mi toglie l’incombenza delle responsabilità personali e sociali rappresenta semplicemente un comodo rifugio per scappare dalla vita». «Sono d’accordo con loro sul fatto che una certa religione dell’aldilà ha debilitato la battaglia per la giustizia e per il bene su questa terra, soffocando nel popolo la santa rivolta della profezia».

«Penso che gli atei abbiano ragione quando dicono che un Dio sempre appostato all’angolo della strada per vedere dove cadiamo e dove sbagliamo per poi punirci e umiliarci è insopportabile e che un Dio che si erge davanti alla coscienza come un serioso signore da temere e diventa una specie di guastafeste di tutte le gioie terrene restando tutto il tempo con l’indice puntato per mandarci all’inferno, è una persona oppressiva che toglie il respiro».

«Sono d’accordo con gli atei quando affermano che credere in un Dio incasellato nei precetti morali, che stende l’ombra del sospetto sui piaceri della vita, che esige il dolore e il sacrificio, è un atto di masochismo».

«E credo che abbiano ragione a denunciare quell’onnipotenza di Dio che ha il volto dell’autoritarismo e di una giustizia arbitraria, togliendo all’uomo la libertà di agire».

In conclusione, il Dio a cui molti atei non credono «è lo stesso Dio a cui un discepolo di Gesù non crederà mai. Semplicemente perché non esiste e, quando ci ostiniamo a sostituirlo al vero Dio, facciamo del male a noi stessi e agli altri».

Un «libro-ah!»

Xavier Thévenot, già professore di teologia all’Institut Catholique di Parigi, una delle grandi figure della teologia morale post-conciliare, deceduto purtroppo prematuramente nel 2004, distingueva, tra i tanti, tre tipi di libri: il libro-boh!, a proposito del quale, dopo averlo leggiucchiato, emetti, a causa del suo tecnicismo ermetico, un boh! di delusione; il libro-uhm!, davanti al quali esprimi un giudizio ad un tempo ammirato e dubitativo, del genere Uhm ! C’è qualcosa in quest’opera di interessante, ma dovrei andare più a fondo con una lettura che si avvicini allo studio; infine il libro-ah!, che, letto e meditato, ti riempie di gioia e ti porta a dire: Ah, che libro! Ve lo consiglio!», perché dalla lettura ne hai ricavato e continui a ricavarne un grande beneficio culturale e spirituale.

Non è quel che credi di Francesco Cosentino va collocato, a mio giudizio, tra i libri-ah, che sono di grande aiuto a chi, come me, si colloca nella schiera degli «umili cercatori» e dei «pellegrini affacciati sui bordi del mistero, chiamati a uscire da noi stessi, a metterci in viaggio, a sognare i sogni di Dio, a cercare, a lottare e sperare». Desiderosi di fissare lo sguardo su quell’«oltre che rappresenta per noi l’orizzonte ultimo in cui la vita può trovare luce e senso».

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 10 ottobre 2019

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