Come una goccia nel tempo

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come goccia

 

È la quarta lettera pastorale del vescovo Lauro – dopo Il dodicesimo cammello (2018), La vita è bella (2017) e Silenzio e attesa (2016) – quella che è stata diffusa il 26 giugno di quest’anno, festa di san Vigilio e intitolata semplicemente Come goccia. Il riferimento anche visivo nella copertina, oltre che al detto «La goccia scava la pietra», dice subito fedeltà nel tempo, costanza, continuità e perseveranza. Non è tanto la forza la caratteristica principale, ma quel cadere lento e continuo capace con la pazienza di scavare la roccia non con la forza, ma con la persistenza del suo tocco regolare. Al di là dell’immagine si rimanda al contenuto del «per sempre», che non è così abituale ai nostri giorni.

Fedeltà nel tempo

Monsignor Lauro Tisi ricorda in apertura l’esempio di fedeltà di suor Ersilia Mantovani, 97 anni, di Arco e da cinquant’anni missionaria in Marocco, incontrata di recente e abbracciata dal papa nella sua visita a Rabat. È un’eloquente immagine di fedeltà nel tempo, che lei stessa ha ricordato scrivendo a Vita Trentina poco dopo l’uscita della lettera Come goccia.

Si direbbero cose un po’ paradossali, eppure ancor oggi parlano di un impegno che sa passare dal provvisorio e revocabile al definitivo, in linea del resto con quella sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo.

È certamente uno scontro con la mentalità che pretenderebbe di fare del provvisorio e sempre revocabile una risorsa; ma questo lascia sempre l’amaro in bocca o un che di insoddisfazione, perché nel profondo di noi siamo orientati al definitivo, sottolinea la lettera.

Quando si celebra il 25°, il 50° o più viene da chiedersi se assisteremo ancora a così significativi traguardi: ce lo auguriamo, perché anche oggi la goccia del bene continua a scavare.

Immersi come siamo in una «cultura dell’usa e getta», che rende fragili le nostre parole, complice la tempesta verbale in cui siamo immersi, dobbiamo saper guardare a quel silenzio di 30 anni di Gesù a Nazaret, dove mette le solide basi di tutta la sua missione.

L’arcivescovo di Trento ricorda poi un’altra significativa storia: quella di un anziano di 84 anni che sull’Appennino toscano accompagna ogni giorno a scuola e poi riporta a casa, fedelmente, un ragazzino ipovedente, sperando che un giorno riacquisti la vista e lo possa riconoscere con gli occhi e non solo al tatto: «Un esempio – commenta Tisi – di fedeltà cristallina, non a dettami etici ma alla bellezza dell’essere umano».

Eppure anche tra i cosiddetti «nativi digitali» c’è una domanda di fedeltà a cui, insiste don Lauro, gli adulti devono imparare a saper rispondere, valorizzando i loro talenti e anche incoraggiandoli con un sostegno non puramente emotivo o formale. In particolare aiutarli a scoprire e coltivare la propria vocazione, tenendo vivo anche il sogno di «farsi un giorno una famiglia», o di intraprendere vocazioni impegnative come quella della consacrazione, del sacerdozio o dello stesso matrimonio.

Profumo d’eternità

Non manca l’invito che l’arcivescovo rivolge ad alimentare la propria solidità umana e spirituale con l’ascolto della Parola e la preghiera e ricercando percorsi comunitari contro l’individualismo. San Benedetto da Norcia seppe farlo nella sua epoca e pose – in tempi di generale decadenza – le radici umane e spirituali di una nuova Europa.

Una parola va pure ai giovani esortandoli a lavorare per un ambiente custodito e rinnovato, per un Trentino migliore.

Il riferimento va pure all’esempio di Antonio Megalizzi (e alla sua famiglia) che ha saputo coltivare un sogno più ampio e meno provinciale, esempio per tanti giovani d’oggi.

Anche un sogno di spendersi per il bene nel dialogo socio-politico, spesso andando contro le mode o il disimpegno, possono rappresentare quella goccia benefica che scalfisce culture tentate di chiusure impaurite e sa librare ali di sogni che – se fatti propri da molti delle nuove generazioni – possono davvero trasformare la nostra casa comune. All’insegna del gratuito, del per sempre e di sogni che si avverano nel concreto.

Anche custodendo il creato, a cui dare un nome e significato, come fece Adamo alle origini. Creazione come habitat della fedeltà e manifestazione del «per sempre», dono di Dio all’uomo, chiamato a «partecipare attivamente, giorno dopo giorno al miracolo della creazione».

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