Discorso alla città

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Seguendo una più che decennale tradizione il vescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha rivolto un discorso alla città in occasione della festa del patrono S. Ambrogio. Il testo integrale può essere letto sul sito della Chiesa ambrosiana, come invito alla lettura proponiamo qui la parte finale del discorso.

La nostra società complessa rischia di essere vitti-ma della sua complessità. Come in una specie di babilonia confusa, tutti possono parlare e tutti possono essere ignorati.

Ci si difende dallo smarrimento con l’indifferenza. Siamo invece chiamati e siamo capaci di affrontare l’emergenza spirituale con un fiducioso farci avanti: tocca a noi, tocca a noi tutti insieme.

Non ci sono scorciatoie

Si dovrebbe trovare una via semplice, persuasiva, democratica per decidere. Infatti, la suscettibilità litigiosa, il puntiglio di difendere il punto di vista e l’interesse particolare, la complicità di una burocrazia cavillosa rendono i procedimenti decisionali di una lentezza scoraggiante e si finisce per compiere sforzi sproporzionati per produrre minuzie, aggiustamenti inadeguati, compromessi insoddisfacenti. Non esistono però scorciatoie. L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte “facili” del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri.

 Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti. Non mancano esempi incoraggianti in ogni setto-re della nostra società. Una conoscenza più attenta di tutte le forme di associazionismo di categorie, di iniziative di solidarietà, tutte le forme di collaborazione tra istituzioni culturali, sociali, sindacali, politiche, scolastiche, finanziarie, l’impegno delle istituzioni pubbliche per coordinare forze e risorse presenti sul territorio conoscono procedure decisionali che producono buoni frutti.

Lo stesso dialogo fraterno tra confessioni e Chiese cristiane è un esempio promettente, come pure gli sforzi per creare relazioni di conoscenza, di stima e di collaborazione tra le religioni, ormai presenti in modo plurale, come è ben visibile anche a Milano.

Mi faccio voce della comunità della Chiesa ambrosiana per dichiarare la disponibilità a partecipare a tutti i livelli ai processi che si ispirano alla visione che diventa sogno condiviso e può dare forma alla comunità plurale. La comunità cattolica ambrosiana è composta da uomini e donne che sentono iscritta nella loro identità la persuasione che “tocca a noi!”, perciò è in cammino. E in questo periodo ha preso decisioni e intrapreso cammini. Posso accennare a questi “lavori in corso” nella comunità diocesana per segnalare un contributo che vogliamo dare all’alleanza e un territorio su cui i cattolici possono incontrarsi con le istituzioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

La Chiesa ambrosiana sul territorio

È in atto un ripensamento e un rilancio dell’artico-lazione della presenza della Chiesa sul territorio. Si vorrebbe creare e rilanciare la possibilità e la pratica delle alleanze necessarie tra tutte le espressioni della Chiesa: le parrocchie, le associazioni, i movimenti, le comunità etniche, le organizzazioni di solidarietà e di assistenza, gli istituti di vita consacrata, il personale che opera nella scuola, nelle cappellanie ospedaliere e universitarie, nei variegati mondi del lavoro e della cultura.

Sempre incombe il rischio di elaborare strategie e affaticarci in organizzazioni. L’intenzione è invece quella di affrontare l’emergenza spirituale e sociale, ardenti per il fuoco che arde in noi per opera dello Spirito Santo e pazienti per quella sapienza che viene dall’alto che ci consente di sentirci a nostro agio nella storia. Queste alleanze a livello locale sono necessarie per attuare gli orientamenti emersi nel “sinodo minore” Chiesa dalle genti.

Non abbiamo trovato la soluzione, non abbiamo ancora visto realizzazioni esemplari, incontriamo spesso scetticismo e lentezze. Ma siamo persuasi che sia una via da percorrere con tenacia e intelligenza perché tutti i cattolici, ciascuno con la sua età e la sua vocazione, con i suoi compiti e la sua professione, con la sua origine e cultura, possano sentire la Chiesa ambrosiana come la loro Chiesa. Questa esperienza ecclesiale può essere uno sti-molo per percorsi analoghi anche nella società civile e può favorire un dialogo fecondo e fattive sinergie tra la comunità cattolica e le amministrazioni e istituzioni pubbliche.

Del resto nelle comunità locali il convergere di cattolici caratterizzati dalla varietà delle vocazioni, impegnati in differenti responsabilità sociali, provenienti da diverse culture e Paesi è già una realtà che rivela aspetti promettenti, per quanto non privi di limiti e di fatiche.

Crediamo nell’alleanza educativa

La collaborazione con le famiglie per la responsabilità educativa è profondamente radicata nella comunità ambrosiana. Neppure la comunità cristiana è esente dal rischio di giustapporre iniziative e proposte che risultano essere per le famiglie ulteriori adempimenti invece che supporti alla loro opera educativa. Perciò si è formulato il proposito di riconoscere e promuovere comunità educanti, cioè convergenze di tutte le proposte educative rivolte ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani, per condividere la visione e dare concretezza ai valori che ispirano la sollecitudine educativa della comunità cristiana.

Già sono presenti e operanti a livello territoriale espressioni educative della comunità cristiana che cercano e realizzano alleanze: gli oratori, le associa-zioni, i movimenti, la rete dei consultori familiari, il tavolo delle scuole paritarie, l’articolazione territoriale delle iniziative caritative e sociali grazie alla regia di Caritas ambrosiana, le comunità di recupero per problemi di dipendenza, eccetera.

L’elenco dei tentativi compiuti non è per esibire risultati, ma per riconoscere l’insufficienza. Speri-mentiamo l’inadeguatezza delle risorse disponibili rispetto alla gravità della emergenza educativa. È quindi urgente una forma di collaborazione più in-tensa, più attenta, tra istituzioni pubbliche ed ecclesiali, tra tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tra fedeli di ogni religione.

In questo orizzonte è bene non dimenticare mai il contributo che le diverse religioni e confessioni cristiane sono chiamate a dare per costruire percorsi condivisi, per promuovere la fraternità tra tutte le persone e l’amicizia sociale (cfr. FT 271-285); questo sia nel mantenere buone relazioni tra persone che ap-partengono a diverse tradizioni religiose e spirituali, sia nel richiamare tutti a tenere l’orizzonte della vita sempre aperto all’inedito e al mistero di Dio. Quando diciamo che ora “tocca a noi, tutti insieme” indichiamo una fraternità universale non autoreferente, ma sempre aperta agli altri e all’Altro, alla Trascendenza che non sostituisce, ma sostiene e rafforza la nostra responsabilità condivisa.

In questa occasione della festa del patrono della Chiesa ambrosiana, della città e della regione mi faccio voce della comunità cattolica per dire la nostra disponibilità e il nostro appello: sogniamo insieme, condividiamo con tutti il nostro sogno e la nostra visione, decidiamo insieme. Siamo alleati: questa terra, questa umanità, ne hanno bisogno.

Una Chiesa grata

In conclusione, voglio ringraziare, elogiare e incoraggiare quelli che si fanno avanti. Quelli che si fanno avanti e dicono: “Eccomi! Tocca a me!”.

Voglio ringraziare coloro che si fanno avanti per gli incarichi istituzionali e ne assumono le responsabilità. Conoscono la complessità delle situazioni, sono consapevoli di non avere ricette e soluzioni per tutti i problemi, ma si mettono in gioco, con spirito di servizio. Si dicono: “Tocca a noi, eccoci!”.

Voglio ringraziare, elogiare e incoraggiare quelli che si fanno avanti. Sanno che, oltre a essere servi, sa-ranno anche bersagli, talora di critiche fondate e costruttive, talora di polemiche ingenerose, aggressive e offensive. Ma si fanno avanti, perché sono convinti: “Tocca a noi!”.

Voglio ringraziare, elogiare e incoraggiare i sindaci, le forze dell’ordine, gli operatori dei servizi pubblici che nel momento dell’emergenza e nella vita ordinaria, di fronte ai disastri e di fronte ai problemi quotidiani si fanno avanti con la naturalezza di chi dice: “Tocca a noi!”.

Voglio anche ringraziare, elogiare e incoraggiare coloro che comprendono che c’è un momento per farsi da parte, che non si ritengono inamovibili né in-sostituibili e prendono la decisione saggia di lasciare il posto ad altri, sempre con l’animo di chi dice: “Adesso tocca a me farmi da parte!”.

Voglio ringraziare, elogiare e incoraggiare quel-li che per la loro situazione familiare, personale, professionale non possono farsi avanti, non posso-no fare altro che quello che già fanno, ma si alzano ogni mattina e senza sbuffare, senza lamentarsi, si mettono all’opera e si dicono: “Tocca a noi! Tocca a noi assistere i malati che abbiamo in casa, curare i malati ricoverati, visitare i malati a casa, fare lezione, far funzionare l’ufficio, i trasporti, insomma la città. Tocca a noi!”.

Voglio ringraziare, elogiare e incoraggiare quelli che si fanno avanti per le opere di volontariato e di fronte alla miseria, di fronte all’umanità ferita, de-solata, abbandonata si mettono a servizio e dicono: “Eccoci, tocca a noi!”.

Voglio ringraziare tutti voi, fratelli e sorelle, che siete abitati da una inquietudine di fronte al fratello, alla sorella che ha bisogno di aiuto e che voi non riuscite ad aiutare. Vorreste dire, come il buon samaritano che prova profonda compassione per l’uomo feri-to in cui si imbatte: “Tocca a me!”, e finite la giornata con un senso di inadempienza e di impotenza. Anche l’inquietudine è un modo per dire: “Tocca a me! Che cosa posso fare?”. Prima o poi si aprono strade.

Voglio farmi avanti anch’io, insieme con tutti i fratelli e le sorelle di buona volontà, insieme con i preti e i diaconi, insieme con i consacrati e le consacrate, insieme con gli operatori delle istituzioni ecclesiali; vogliamo farci avanti per dichiarare di fronte alla città, di fronte alla gente dei nostri paesi: “Eccoci! Tocca a noi!”.

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