La colpa di Lehmann

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Il Rapporto dello studio legale di Ratisbona sui casi di abuso nella diocesi di Mainz «mostra in dettaglio come il card. Lehmann in pubblico ha minimizzato la sua conoscenza delle cose, la sua responsabilità e quella della Chiesa per proteggere l’immagine dell’istituzione (…). Il Rapporto tratteggia la peggiore immagine del card. Lehmann che sia possibile pensare. Il vescovo, un tempo visto come la figura luminosa dei progressisti, sulla base di principi solidi, e come uno dei maggiori teologi del suo tempo, si rivela essere un bugiardo insensibile che fa di tutto per proteggere l’istituzione fino alla fine – nonostante ben conoscesse i fatti riguardanti la sua diocesi» (Felix Neumann).

Così il sito katholisch.de, della Conferenza episcopale tedesca, riscrive la figura di un suo ex presidente: «in nome della verità per le vittime non vi possono più essere monumenti intoccabili» – ha commentato il successore di Lehmann a Mainz mons. Peter Kohlgraf.

E così, impietosamente, è caduto un altro dei grandi monumenti della Chiesa cattolica. Come è giusto che fosse. Nella gestione degli abusi sessuali contro minori, nella mancanza di capacità empatica di entrare in rapporto con le vittime, nel privilegiare lo stato clericale davanti al reato commesso, in un malsano senso del dovere di proteggere l’istituzione ecclesiale e la sua immagine, sembra sempre più che non si salvi nessuno di una generazione di vescovi.

Poco importa il loro schieramento ecclesiale, ne troviamo da tutti i lati: progressisti e conservatori, di sinistra e di destra, non meno che al centro, capaci di intessere un dialogo con la modernità oppure profondamente convinti che essa rappresenti il principio di una decadenza della civilizzazione occidentale.

Tutti si trovano pian piano accomunati nel naufragio di violenze occultate, se non volutamente protette, di vite e corpi spezzati dalla Chiesa che non hanno trovato né ascolto né riconoscimento da parte di questa generazione di vescovi.

Tutti insieme, drammaticamente, per la prima volta – alla distanza ideologica che li separava nel pensare il cattolicesimo moderno corrisponde una prossimità sconvolgente nel modo di pensare, di agire e di comprendere il ruolo del ministero episcopale nella Chiesa cattolica.

Non si può più continuare a dire che, anche per quanto riguarda i vescovi, si tratta di casi singoli, di tratti della personalità individuale. Lehmann è il caso eclatante di un fallimento del ruolo episcopale davanti agli abusi attuati nella Chiesa cattolica. È una questione di corpo, non di membra.

E come tale va affrontata, non tenendosela stretta tra le mani di pari, ma consegnandola ad altri: chiedendo aiuto a chiunque ne abbia le competenze a ripensare l’immagine e l’esercizio del ministero episcopale nella Chiesa e per la comunità dei credenti.

C’è una forza perversa del corporativismo clericale che impedisce al ministero ordinato, di qualsiasi ordine e grado, di uscire dalle secche nelle quali hanno incagliato una barca su cui non ci sono solo loro. Mani disponibili a spingerla fuori per riprendere il largo ce ne sono – per una volta, affidiamoci a esse e alla loro fede. Ma affidiamoci anche a mani senza fede che comprendono che lo sgretolamento della Chiesa cattolica in questo nostro momento storico lascerebbe pericolosamente sguarnita l’umanità e la società contemporanea.

Anche questa è una pratica di verità che dobbiamo alle vittime, al silenzio a cui le abbiamo costrette, alla solitudine in cui le abbiamo lasciate.

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Un commento

  1. Lorenzo M. 7 marzo 2023

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