Matteo, il vescovo che non ti aspetti

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Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna da ottobre 2015, 60 anni, ha conseguito il baccalaureato in teologia alla Lateranense e si è laureato in lettere e filosofia all’università di Roma con una tesi in storia del cristianesimo. Sta entrando nel cuore di molti perché si fa prossimo alla gente. È uno di quelli che risponde ai criteri di papa Bergoglio: un vescovo padre e fratello, che abbraccia tutti, mite e misericordioso; non ambizioso, amante sia della povertà interiore che di quella esteriore, senza una psicologia da “principe della Chiesa”.

L’ intervista al neo arcivescovo di Bologna

In occasione della festa di san Tommaso d’Aquino, copatrono della Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, mons. Zuppi, gran cancelliere della Facoltà stessa, ha rilasciato un’intervista su “Teologia, Chiesa locale e evangelizzazione”. Riascoltandola pacatamente, emergono alcuni tratti teologici e culturali molto interessanti per dire continuità e discontinuità.

Il primo tratto riguarda il rapporto tra teologia e pastorale nella Chiesa locale. Nel passato questo rapporto purtroppo ha preso anche strade divergenti, se non parallele. Secondo Zuppi, l’evangelizzazione richiede invece oggi una teologia come riflessione su contenuti e strumenti (altrimenti rischia la “praticoneria” e la superficialità) e, allo stesso tempo, la teologia richiede un confronto con la pastorale per non diventare una mera riflessione teorica e accademica. Una lettura autentica e profonda dell’umanità e una teologia che riesca a interpretare la storia sono sinergie essenziali per il futuro della Chiesa.

Il secondo tratto è il tema della teologia dell’evangelizzazione. Siamo nel solco della Chiesa missionaria voluta da papa Francesco. Questa è una costante degli ultimi decenni della riflessione a Bologna e si intravede la possibilità di ritrovare su questo tema un nuovo ulteriore slancio. Occorre scegliere sempre la via della misericordia e non quella, avrebbe detto papa Giovanni XXIII, che ricorre alle armi del rigore. In situazioni difficili si pensa che il rigore eviti le ambiguità e la medicina della misericordia si presti invece a troppe illazioni: secondo l’arcivescovo, invece, proprio la teologia deve aiutare a liberarsi dal rigore inutile e che allontana, mostrando come la terapia delle misericordia sia più coinvolgente ed esigente di un forte rigorismo!

Il terzo tratto è il coinvolgimento con la storia dell’umanità. La Facoltà teologica deve stare dentro questa storia: se si isola, rischia di vanificarsi. Si tratta di una grande sfida. Pensiamo al grande tema dell’integrazione, del tipo di umanizzazione in continuo veloce mutamento, di una città sempre più al plurale, della casa comune secondo la Laudato si’. Tante sfide… solo l’umanesimo permette alla Chiesa di respirare e di far respirare la gente. Dopo aver sottolineato l’attualità nel pensiero di san Tommaso (nulla è irraggiungibile alla riflessione individuale, tutto ciò che è umano è raggiungibile da una vera teologia), mons. Zuppi ha condiviso la sua biblioteca personale a cui ha attinto negli anni la sua formazione e ispirazione. Innanzitutto i Padri della Chiesa antica, che parlano anche oggi; tutta la riflessione post-conciliare con cui egli è cresciuto; tutta la produzione più alta degli uomini che hanno prefigurato il concilio (egli ha citato in particolare Mazzolari: teologo e pastore!). C’è poi da confrontarsi con la riflessione che scaturisce dalle scienze umane, per non decontestualizzare la riflessione stessa, ma inserirla nell’incarnazione del Vangelo.

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