Terra Santa: preoccupati i vescovi cattolici

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betlemme

Secondo i vescovi cattolici, in Terra Santa c’è il rischio di un ulteriore aumento della violenza in alcuni settori della nuova coalizione di governo. Il deterioramento della situazione politica è preoccupante.

È quanto ha comunicato il 13 dicembre scorso il Consiglio degli ordinari cattolici di Terra Santa («Assemblée des Ordinaires Catholiques de Terre Sainte»). Un filo di speranza, invece, è il ritorno dei pellegrini, che, oltre al benessere materiale, «favorisce anche una maggiore attenzione alla Terra Santa». Con la venuta dei pellegrini si creano posti di lavoro, viene promossa la prosperità e vi è la diffusa sensazione «che non siamo dimenticati».

I vescovi hanno manifestato grande preoccupazione per il futuro governo in Israele. Alcuni membri della coalizione governativa si sarebbero espressi «in modo molto divisivo nei confronti della comunità araba o di altra comunità non ebraica». In questo modo, si alimenta la sfiducia e si gettano le basi per ulteriori violenze. «La violenza verbale prima o poi si trasformerà inevitabilmente anche in violenza fisica», affermano i vescovi. Per questo hanno invitato i leader politici e religiosi di tutte le denominazioni a «promuovere il rispetto reciproco e non la divisione o sentimenti di odio».

Nell’attuale contesto – secondo i vescovi – è necessario fare degli investimenti nell’istruzione e nella formazione sia nell’ambiente ebraico sia in quello arabo. I recenti tagli ai finanziamenti governativi hanno invece messo a repentaglio il futuro di alcune istituzioni educative cristiane che svolgono un ruolo importante nella società.

Inoltre, i vescovi hanno espresso preoccupazione per la violenza, la criminalità e la mancanza di sicurezza all’interno della società araba in Israele. Il governo dovrebbe prestare maggiore attenzione alle comunità arabe e offrire maggiore sostegno alle città arabe.

I vescovi definiscono particolarmente drammatica la situazione nei territori palestinesi occupati. In questi territori sono stati incarcerati anche dei minori, mentre i coloni israeliani proseguono nell’espansione dei loro insediamenti, restringendo in tal modo lo spazio vitale dei palestinesi.

Nella dichiarazione si dice: «Quest’anno abbiamo assistito a un aumento della violenza, con il più alto numero di vittime palestinesi da oltre vent’anni». Da non sottovalutare, però, anche gli attacchi alla popolazione ebraica.

Segni di speranza sono – secondo i vescovi – le numerose persone, le associazioni e movimenti locali di diversa estrazione nazionale e religiosa che si sono impegnati per favorire l’amicizia e la solidarietà. Hanno agito come «anticorpi» contro le sempre maggiori tentazioni di isolamento e di rifiuto del dialogo e dell’incontro.

Il 19 luglio scorso, il parlamento israeliano ha approvato la legge sulle nazionalità con 62 voti favorevoli e 56 contrari. Il testo definisce Israele la «casa nazionale del popolo ebraico». In Israele – si sottolinea nel testo – il popolo ebraico è l’unico che può «rispondere al suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione».

Nella legge sono definiti anche i simboli dello Stato: la bandiera con sfondo bianco tra due strisce blu e al centro la stella di David, il candelabro dalle sette braccia, l’inno nazionale. È scritto: «Gerusalemme, completa e unita, è la capitale di Israele».


Nella traduzione della testata online della Custodia francescana di Terra Santa, i punti salienti del comunicato degli ordinari cattolici (13 dicembre 2022; titoletti redazionali).

«Mentre in Israele va prendendo forma un nuovo governo, che speriamo porti stabilità politica, vorremmo esprimere la nostra preoccupazione per il contesto politico e per il graduale deteriorarsi della più generale situazione politica e sociale in Terra Santa».

• Attenti alle parole!

«Alcune dichiarazioni fatte da membri della coalizione governativa [israeliana] sono molto divisive nei confronti della comunità araba o comunque non ebraica. Sono contrarie allo spirito di coesistenza pacifica e costruttiva tra le varie comunità che compongono la nostra società. Tali dichiarazioni favoriscono coloro che in questo Paese vogliono la divisione. Creano sfiducia e risentimento. Pongono le basi per ulteriori violenze. La violenza nel linguaggio inevitabilmente, prima o poi, si trasforma anche in violenza fisica».

• Maggiore attenzione alla comunità araba israeliana

«Ci auguriamo che, sotto questo governo, l’attenzione delle autorità civili del Paese venga restituita con equità alle diverse comunità che compongono la società israeliana, evitando discriminazioni o preferenze».

«Siamo preoccupati per la violenza e la mancanza di sicurezza all’interno della comunità araba in Israele, ferita da continui incidenti e da una criminalità diffusa. Questi rendono la vita delle famiglie sempre più fragile. È necessario prestare maggiore attenzione alle comunità arabe in Israele e curare meglio lo sviluppo delle città arabe».

• Educare è una priorità

«L’istruzione, sia in ambiente ebraico che arabo, richiede maggiore attenzione da parte delle autorità. Il futuro delle nostre comunità dipende da come investiamo ora nella formazione e nell’educazione. Alla luce delle attuali tendenze alla divisione e alla violenza, l’educazione dei nostri figli è il più urgente di tutti gli sforzi».

«Le scuole cristiane in Israele sono, ancora una volta, sull’orlo di una crisi. I recenti tagli ai finanziamenti governativi mettono a rischio il futuro di molti dei nostri istituti scolastici, che svolgono ancora un ruolo importante nel campo dell’istruzione all’interno della nostra società».

• Gli stranieri tra noi

«I lavoratori stranieri, i richiedenti asilo e i loro figli fanno parte della vita della Chiesa. Ancora una volta siamo chiamati a dare voce a molti che vivono in una sorta di limbo giuridico, senza adeguate garanzie e senza chiare prospettive per il loro futuro».

• La violenza montante

«Dobbiamo esprimere la nostra grande preoccupazione per quanto sta accadendo in Palestina e nei Territori occupati. Che la situazione si stia progressivamente e rapidamente deteriorando è evidente anche dai numeri: quest’anno abbiamo assistito a un’impennata della violenza, con il più alto numero di morti palestinesi in oltre vent’anni. La violenza dei coloni negli insediamenti è sempre più in aumento. Lo spazio vitale a disposizione della popolazione palestinese continua a ridursi, a causa della crescita a ritmo sostenuto degli insediamenti. Assistiamo anche ad attacchi alla popolazione ebraica. La violenza non è mai giustificata e deve essere sempre condannata, indipendentemente dalla sua provenienza. Nessuno dovrebbe morire perché è ebreo o perché è arabo».

• Rispettare i minori

«Dobbiamo anche criticare l’arresto e la detenzione di diversi minori palestinesi, soprattutto a Gerusalemme Est. L’arresto e la detenzione di minori per motivi politici non dovrebbero mai essere la norma in un Paese democratico. Tutti, soprattutto i giovani, hanno il diritto di vivere in pace e sicurezza, di costruire un futuro migliore e di essere trattati con giustizia e dignità. La vita umana e i diritti umani devono essere rispettati».

• Il processo di pace va rilanciato

«L’assenza di un vero processo di pace, basato sul diritto internazionale, porterà a maggiori sofferenze. La violenza è la conseguenza di una profonda sfiducia, e forse anche dell’odio, che si sta radicando nei cuori delle due popolazioni, israeliana e palestinese. È responsabilità comune di tutti, soprattutto dei leader religiosi e politici di tutte le confessioni, promuovere il rispetto reciproco e non la divisione o i sentimenti di odio».

• In nome dei più poveri

«Alziamo la voce per i bisogni dei più poveri e dei più deboli: per garantire al popolo palestinese dignità e libertà nella sua terra, per dare una soluzione stabile e giustizia ai cinque milioni di palestinesi che vivono nei Territori occupati e per far sì che in Terra Santa tutte le comunità nazionali abbiano pari diritti».

• Il ritorno dei pellegrini

«L’aspetto positivo è il ritorno dei pellegrini in Terra Santa. Essi riportano vita e movimento nelle strade e nei vicoli della Città Santa, di Betlemme, di Nazaret e degli altri luoghi di pellegrinaggio, e quindi riportano il sorriso a molte famiglie, non solo cristiane, che hanno potuto tornare a lavorare. Questo afflusso di pellegrini non porta solo benessere materiale, ma anche maggiore consapevolezza e attenzione alla Terra Santa e ci fa sentire che non siamo dimenticati».

• Non tutto va male

«Dobbiamo anche sottolineare che non tutto in Terra Santa va male, e che ci sono anche segni di consolazione: molti individui, associazioni e movimenti locali, di diversa estrazione nazionale e religiosa, desiderano costruire amicizia e solidarietà in questo nostro contesto sociale e politico diviso. Il loro amore ci fa sperare e credere che nella nostra società ci siano ancora forti “anticorpi”, cioè chi vuole ancora reagire alle tentazioni sempre più forti di chiusura e di rifiuto del dialogo e dell’incontro, con iniziative di incontro e di solidarietà aperte a tutti».

• Un appello e una preghiera

«Facciamo nostre le parole di papa Francesco, che recentemente ha detto: “Seguo con preoccupazione l’aumento della violenza e degli scontri che da mesi si verificano nello Stato di Palestina e in Israele… La violenza uccide il futuro, spezzando la vita dei giovani e indebolendo le speranze di pace… Auspico che le autorità israeliane e palestinesi prendano più facilmente a cuore la ricerca del dialogo, costruendo la fiducia reciproca, senza la quale non ci sarà mai una soluzione pacifica in Terra Santa” (Angelus, 27 novembre 2022)».

«Invitiamo tutte le nostre comunità a pregare per la pace a Gerusalemme, in Terra Santa e in ogni luogo del mondo dove la violenza, l’odio e la divisione sono fonte di sofferenza».

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